Banche venete, compatibili con regole Ue sugli aiuti di Stato

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Per la commissaria Margrethe Vestager era necessario l’intervento pubblico nazionale per proteggere economia. Ma le polemiche si moltiplicano, dal resto d’Europa e in Italia

È arrivato il via libera dall’Unione europea all’operazione messa in campo dal governo italiano per salvare Veneto banca e Popolare di Vicenza (BPVI). La Commissione Ue ha giudicato gli aiuti di Stato compatibili con le regole, perché non provocano distorsioni della concorrenza. Questo annuncio fa seguito alla dichiarazione del 23 giugno 2017 della Banca centrale europea (BCE), in qualità di autorità di vigilanza, che Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca erano in dissesto o a rischio di dissesto e alle decisioni del Comitato unico di risoluzione (SRB), l’autorità competente in materia di risoluzioni, secondo cui l’azione di risoluzione non era giustificata nell’interesse pubblico in nessuno dei due casi. Secondo il diritto dell’Unione europea, in tali circostanze si applicano le norme nazionali in materia di insolvenza e spetta alle autorità nazionali responsabili liquidare l’istituzione ai sensi del diritto fallimentare nazionale.

Gli aiuti erano «necessari ad evitare turbolenze economiche nel Veneto», ha sostenuto l’esecutivo italiano e quello comunitario, attraverso la commissaria competente Margrethe Vestager ha appoggiato l’argomento, convinta che fosse giusto proteggere le più di cinquantamila piccole e medie imprese che avrebbero subito i contraccolpi di un fallimento disordinato. Sono mesi che la trattativa tra il governo italiano e la Commissione europea sulle banche venete va avanti. Ma è solo da pochi giorni che si è abbandonata l’ipotesi a cui si è lavorato intensamente per due mesi e mezzo, cioè la ricapitalizzazione preventiva, ovvero lo schema adottato per Monte dei Paschi di Siena. Per applicarla allo stesso modo mancava la presenza di capitali privati che coprissero le perdite attese. Si è perciò cercata un’altra soluzione, sempre in accordo con Bruxelles che negli ultimi giorni ricordava come anche le regole europee sugli aiuti di Stato abbiano una certa flessibilità.

Numerose polemiche ha suscitato la soluzione scelta per questa vicenda italiana nel resto d’Europa. Il britannico Financial Times scrive un de profundis sull’Unione bancaria comunitaria, resa ancora più lontana dopo questa vicenda. Un’operazione che invia un ”messaggio chiaro”, ovvero che le banche italiane, «o almeno alcune delle preferite, hanno garanzie statali. Le implicazioni dal punto di vista della concorrenza sono ovvie».

Dalla Spagna si levano critiche per il “salvataggio all’italiana” dopo il blitz imposto a Banco Popular, ceduto allo stesso modo per un euro simbolico al Santander, però a spese dei suoi 300mila piccoli azionisti. Non come nel caso delle banche venete, in cui Intesa Sanpaolo per la stessa quota prenderà solo la parte attiva delle due, lasciando i debiti – come scrive El Mundo – calcolabili per «700 euro a ogni contribuente italiano».

Il quotidiano El Pais s’interroga «se in Italia ci sia una bolla bancaria?» e in un editoriale scrive che «non possono coesistere due modelli di risoluzione bancaria in Europa, uno rigido e sottoposto alla norma che non c’è danaro pubblico per i salvataggi, e un altro discrezionale nel quale lo Stato interviene senza restrizioni con il pretesto dell’urgenza e facendosi scudo della scusa universale che “l’intervento era necessario e urgente”».

Opinionisti di ogni parte del continente prevedono ora ricorsi contro la vendita o il fallimento di altri istituti di credito nel recente passato, soprattutto da parte di quei risparmiatori che hanno perso tutto nelle operazioni, dopo il caso italiano. Ma le accuse più dure, difficile non prevederlo, arrivano dalla Germania: «meglio far uscire dal mercato le banche non redditizie piuttosto che tenerle in vita attraverso una ricapitalizzazione precauzionale», commenta così il ministero delle Finanze tedesco attraverso la sua portavoce, Friederike von Tiesenhausen, secondo quanto riferisce Bloomberg.

   Markus Ferber

«È uno scandaloso aggiramento delle regole dell’Unione bancaria» critica l’eurodeputato tedesco dei Verdi, Sven Giegold. A cui si unisce il connazionale (ma del Ppe) Markus Ferber, esperto finanziario della Csu e vicepresidente della commissione Affari economici del Parlamento europeo: «con questa decisione la Commissione europea porta l’Unione bancaria sul letto di morte».

Anche in Italia le polemiche non si sopiscono. Per il segretario di Scelta Civica Enrico Zanetti lo Stato doveva rilevare anche la parte sana delle due banche venete «come da piano originario con ricapitalizzazione precauzionale che andava fatto anche a costo di forzare temporaneamente il rapporto con l’Europa e riallinearsi successivamente». A rispondergli è direttamente il presidente di Intesa, Gian Mario Gros-Pietro: «chi dice che Intesa è stata avvantaggiata non ha compreso il meccanismo» perché «la parte sana degli attivi non è sufficiente a pareggiare i passivi». Il commento avviene a margine dell’assemblea dell’Unione industriale di Torino. «L’intervento dello Stato non è a vantaggio di Intesa ma solo a pareggio degli oneri. Per questo la Dg Comp europea dice che non c’è distorsione della concorrenza».

Risposte dal governo italiano e dal ministro dell’Economia Padoan le chiede il governatore veneto Luca Zaia. «Cos’è successo in appena una settimana per passare da una ricapitalizzazione precauzionale da 1,2 miliardi alla vendita di due banche a un euro? Quale posizione ha tenuto il governo in Europa?». La soluzione Intesa, spiegano dall’esecutivo, è stata scelta per salvare gli oltre 100mila posti di lavoro e 6.000 sportelli: questi alcuni dei numeri delle due banche venete e Intesa insieme.

Le banche venete sono una realtà di circa 11.300 dipendenti per 980 sportelli: 5.366 dipendenti sono nella Popolare di Vicenza e 5.944 in Veneto Banca, in base ai bilanci 2016. A Vicenza il piano al 2019 prevedeva circa 700 uscite, con 575 lavoratori potenzialmente prepensionabili con fondo esuberi, secondo la stima del sindacato dei bancari Fabi. A Montebelluna le uscite nel piano al 2020 erano 180. Il colosso Intesa Sanpaolo ha oltre 89.100 dipendenti in Italia e estero con circa 1.000 uscite previste nel piano al 2020 e 332 lavoratori prepensionabili con fondo esuberi (sempre dato Fabi).

 

Sophia Ballarin

Foto © Blastingnews.com, Movimentoconsumatori.it, European Union

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