“Chinamen”, l’avvincente storia dei cinesi di Milano

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Una graphic novel di Ciaj Rocchi e Matteo Demonte narra l’arrivo dei primi immigrati, le difficoltà durante il Fascismo, i matrimoni misti e l’integrazione

Anni fa, mentre ero a cena in uno dei ristoranti della Chinatown milanese, una cliente cinese originaria di Pechino mi disse con aria stupita: «Questo posto è una sorpresa. Sa, tutti i cinesi di Milano vengono dalla parte interna dello Zhejiang, che non ha una gran cucina». Era la prima volta che sentivo parlare di Zhejiang, né immaginavo che i “nostri” cinesi venissero tutti da questa regione a sud di Shanghai.

Oggi il turismo ha reso la Cina più vicina a noi, ma ben pochi italiani sanno che siamo il Paese europeo che vanta il maggior numero di cittadini cinesi residenti (quasi 200 mila su un totale di 826 mila in Europa, secondo il censimento 2011). E la maggior parte di loro, a Milano come altrove, vengono dallo Zhejiang, che forse non vanterà grandi chef, ma è una terra di gente intraprendente e coraggiosa. Ce lo raccontano due giovani milanesi, Ciaj Rocchi e Matteo Demonte (nella foto), nella loro graphic novel Chinamen – Un secolo di cinesi a Milano, che rientra in più ampio progetto promosso dal Museo del Mudec e dal Comune di Milano, volto a far conoscere la comunità cinese che vive fra noi, ormai da oltre cent’anni, attraverso una mostra aperta fino al 17 aprile prossimo, un documentario a fumetti e il libro.

Dopo aver narrato nel loro libro precedente, Primavere e autunni, la storia del nonno di Matteo, Wu Li Shan, giunto a Milano nel 1931, i due illustratori e videomaker stavolta si sono cimentati con la ricostruzione delle vicende dei primi cinesi giunti in Italia, a cominciare dal pioniere Wu Qiankui, che nel 1904 era partito da un paesino vicino a Qing Tian, nello Zhejiang, per vendere statuine cinesi realizzate in una pietra simile alla giada, e the. Questo signore dal codino era stato dapprima a Brescia e nel 1906, grazie a un conoscente italiano, aveva partecipato all’Esposizione Universale di Milano, dove per la prima volta c’era un padiglione cinese. Per i milanesi, questa è la prima occasione di incontro con la gente del Celeste Impero, dai modi e dall’apparenza esotica.

Non passeranno molti anni, e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale offrirà un’altra interessante opportunità. Il governo cinese, desideroso di intrecciare relazioni paritarie con le potenze europee, metterà a disposizione un contingente di 140 mila volontari che andranno a costruire trincee, lavoreranno nelle fabbriche e nelle fattorie, per supplire alla manodopera locale partita al fronte. Questo contingente proveniva soprattutto dallo Shandong, e alla fine del conflitto circa 2000 di questi giovani uomini scelsero di restare in Francia. Alcuni di loro sposarono donne francesi e diedero vita alla prima Chinatown parigina.

Come spiega il sinologo Daniele Brigadoi Cologna in un breve saggio contenuto nel libro di Rocchi e Demonte, i Chinamen – questi immigrati cinesi che dal XIX secolo andarono ove le potenze coloniali e in ascesa richiedevano forza lavoro – erano soprattutto uomini. Le donne arrivarono molto più tardi (come Chen Yuhua, prima immigrata cinese in Italia nel 1960). Nel 1926, i primi commercianti cinesi di perle erano giovani maschi. Il Fascismo e poi la guerra, che tramutò le poche centinaia di cinesi in Italia in potenziali nemici, non furono morbidi con la comunità. Ci furono rastrellamenti, campi di prigionia ma anche storie d’amore. Come quelle che fiorirono fra alcuni cinesi al confino ad Atri, in Abruzzo, e le donne del posto. Dopo il 1946, qualcuno scelse di tornare in patria, portandosi anche la moglie europea, ma tanti decisero di restare e di rimboccarsi le maniche per contribuire alla rinascita del nostro Paese.

Scegliendo le vite esemplari di alcuni personaggi della comunità cinese di Milano e non solo, Ciaj Rocchi e Matteo Demonte ci offrono un affresco di un Novecento poco noto, ma affascinante. Storie di uomini ordinari, così esotici ma anche così simili a tanti di noi, con il fiuto per il business nel dna e affiancati da mogli italiane che spesso si sono rivelate determinanti nel loro successo.

Come la precedente graphic novel, anche Chinamen si legge d’un fiato, mossi dalla curiosità di scoprire un mondo perduto, ma che grazie ai discendenti di questi immigrati in cerca di fortuna, oggi offre nuove prospettive di integrazione e di arricchimento reciproco.

Maria Tatsos

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Ciaj Rocchi e Matteo Demonte

Chinamen. Un secolo di cinesi a Milano

pp.186, 18 euro

Edizioni Becco Giallo

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Immagini gentilmente fornite dagli autori

 

 

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Maria Tatsos
Giornalista professionista, è laureata in Scienze Politiche e diplomata in Lingua e Cultura Giapponese presso l'IsiAO di Milano. Attualmente lavora come freelance per vari periodici femminili, collabora con il Museo Popoli e Culture del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime) e con il Centro di Cultura Italia-Asia. Tiene corsi di scrittura autobiografica ed è autrice di alcuni libri, che spaziano dai diritti dei consumatori alle religioni asiatiche. È autrice del romanzo storico "La ragazza del Mar Nero" sulla tragedia dei greci del Ponto (2016) e di "Mai più schiavi" (2018), un saggio su Biram Dah Abeid e sulla schiavitù in Mauritania, entrambi editi da Paoline. Nel tempo libero coltiva fiori e colleziona storie di giardini, giardinieri e cacciatori di piante che racconta nel corso "Giardini e dintorni".

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