Il Premier UK non intende consentire il voto parlamentare sulla Brexit

0
517

La discussione sulla legittimità della valutazione di Westminster in merito all’attivazione dell’art. 50 TFUE continua a dividere il governo inglese e i MPs

Recentemente Theresa May, primo ministro britannico, ha annunciato che intende accelerare il processo verso la Brexit.

A fine mese l’inquilino del numero 10 di  Downing Street  ha tenuto una riunione di governo nel corso della quale ha chiesto a «tutti i ministri di preparare i piani dettagliati per garantire l’attuazione nei rispettivi comparti dello sganciamento da Bruxelles nei termini più favorevoli possibili».

Ebbene,  da un punto di vista della strategia politica del nuovo Prime Minister, la vera novità è la decisione di attivare il procedimento di recesso dal TFUE, secondo quanto previsto dall’art. 50 del medesimo Trattato, senza sottoporre detta decisione al vaglio del Parlamento di Westminster.

Invero, secondo i consulenti legali del governo inglese, ai fini dell’attivazione dell’art. 50 TFUE, conformemente al diritto costituzionale britannico, non risulterebbe necessario il voto parlamentare su tale materia. La tesi dell’esecutivo britannico si baserebbe sul fatto che tale atto sarebbe da qualificare come “prerogative power”, di talché non sussisterebbe alcun obbligo per il governo di sottoporre al vaglio di Westminster, una siffatta epocale decisione [1].

Al riguardo, Geoffrey Robertson, membro del  Queen’s Counsel (‘QC’) [2], fondatore del Doughty Street Chambers, in relazione al recente risultato del Referendum del 24 giugno 2016 con il quale il popolo britannico ha optato per il Leave, ha rilevato come il Parlamento debba ancora esprimere il suo voto in merito all’attivazione del procedimento ex art. 50 TFUE e, come, in relazione a tale materia, i membri del Parlamento abbiano il dovere di votare secondo coscienza affinché si possa agire nel miglior interesse della Gran Bretagna.

Non a caso, continua il costituzionalista inglese, l’atto con il quale si è indetto il referendum non contiene disposizioni in merito al suo “impatto” poiché si è configurato come un atto «semplicemente consultivo».

Pertanto, un nuovo atto del Parlamento è necessario affinché si possa abrogare l’European Community Act del 1972 con il quale il Regno Unito fu ammesso tra i Paesi membri dell’Unione europea.

Di conseguenza l’abrogazione del predetto statute può essere disposta solo attraverso una votazione del Parlamento che si pronunci a suo favore.

Dunque, l’avvocato costituzionalista, ritiene che «solo i membri del Parlamento hanno il diritto di approvare o abrogare una norma di legge» (ndrstatute”). Invero, il risultato del referendum di per sé non ha alcuna forza normativa. Solo gli MPs [3] hanno il diritto di decidere su una siffatta materia [4].

Inoltre, per Mr Robertson «gli MPs sono legittimati e obbligati a votare contro l’attivazione del procedimento di cui all’art. 50 TFUE. Se essi pensano che sia nell’interesse del Regno Unito votare in tal senso, allora in questo caso», aggiunge il giurista,  «non è ancora finita» [5].

L’intervistato ha notato come «la Democrazia in Gran Bretagna non significhi solo applicazione della regola della maggioranza. Non è la tirannia della maggioranza o la tirannia delle masse». In realtà, a parere di Robertson, sono i rappresentati degli elettori, non le masse stesse, che votano per loro.

Sulla questione dell’attivazione della procedura ex art. 50 TFUE l’esperto di British law osserva come «molte dichiarazioni stupide» sono state fatte in merito alla semplicità con cui poteva essere inviata una nota all’Ue per applicare la cennata disposizione del Trattato di Lisbona [6].

In realtà, precisa l’avvocato Robertson, lo stesso  articolo 50 TFUE indica in modo chiaro come «uno Stato possa decidere di lasciare l’Ue solo se agisce in conformità con le norme del proprio ordinamento costituzionale».

Concludendo la sua intervista, l’illustre giurista ha osservato come uno dei fondamentali capisaldi di natura costituzionale del sistema britannico consista proprio nel fatto che una simile «decisione  debba essere adottata dal Parlamento. Tale passaggio richiede una votazione e l’approvazione di una norma. A novembre la situazione sarà totalmente diversa», nota, l’intervistato, poiché, allo stato, «secondo i sondaggi un milione di persone che a suo tempo ha votato per il Leave avrebbe cambiato idea. Dunque, a novembre dovrebbero essere 5 i milioni di persone contrari al divorzio con l’Ue». [7]

Egualmente, durante un intervista al Times, altro membro del Queen’s Counsel, Mr Charles Flint, delle Blackstone Chambers, ha sottolineato come «per la legge inglese, prima di dare seguito alla Brexit occorra sottoporre tale questione al voto dei Members of Parliament». Non a caso, nota il giurista, in applicazione del European Act del 2011 una modifica del Trattato sul funzionamento dell’Ue, in base ad un accordo tra gli Stati membri, «potrebbe richiedere sia l’approvazione tramite referendum che mediante un Atto del Parlamento» [8]

23parlamento-ingles-e-big-ben

A parere del Primo Ministro Theresa May, l’idea che gli MPs possano imporre il loro veto alla Brexit nel corso di una votazione in Parlamento è «qualcosa di tremendo e il fatto stesso che una siffatta minaccia si palesi dimostra quanto molti di questi politici siano fuori dalla realtà». Quest’ultimi, nota un osservatore, «non sono soli posto che secondo fonti governative molti funzionari dello Stato inglese non sarebbero entusiasti della Brexit».

Al riguardo il capo del governo britannico vuole sia «immediatamente chiaro che la Whitehall non potrà opporre il suo veto alla Brexit»[9].

Per quanto attiene alle recenti dichiarazioni di Lord O’Donnell, ex Segretary of Cabinet, secondo le quali non v’è alcuna necessità di procedere velocemente all’attivazione dei negoziati che dovrebbero portare alla Brexit, la Signora May ha rilevato come «egli sia un uomo di grande esperienza e quanto la sua opinione sia apprezzabile; tuttavia la sua analisi è errata. Egli sembra credere che la Brexit non è inevitabile poiché il risultato del referendum incoraggerà l’Ue a procedere a delle riforme e, pertanto, ciò aumenterà l’entusiasmo del popolo britannico per la permanenza del Regno Unito nell’Unione».

Secondo Lord O’Donnell potrebbe essere avventato procedere all’attivazione della procedura di cui all’art. 50 TFUE senza prima aver sottoposto la questione ad una votazione comune. Ciò, nota l’autorevole politico inglese, «sebbene i leaders dell’Ue,  sin dall’esito del referendum, abbiano fatto di tutto  per contraddire la predetta speranza. Al riguardo, osserva O’Donnell, riferendosi al summit di Ventotene, «la settimana scorsa i leaders di Francia, Germania ed Italia erano in piedi su un ponte di una portaerei a discutere di incremento della cooperazione difensiva. Il loro approccio nei riguardi della crisi non era orientato sul venir meno dell’Ue bensì su come procedere per renderla più forte e centralizzata: la loro risposta a tutte le questioni è “più Europa”. Si tratta di un mix di vanità e ingenuità che ha spinto 17.4 milioni di britannici a votare per il Leave. Essi non possono essere ignorati» [9].

Sul punto si è osservato come la Brexit abbia, di fatto, prodotto delle spaccature all’interno del governo May. Invero, molti, all’interno dell’esecutivo vorrebbero un’uscita morbida altri invece preferirebbero agire con maggiore decisione.

Al riguardo, durante il recente incontro tra la May e i suoi ministri, non si è mancato di sottolineare come alcuni analisti abbiano raccomandato di attendere l’esito delle elezioni in Germania e in Francia che dovrebbero avere luogo l’anno prossimo, prima di avviare la procedura di cui all’art. 50 TFUE.

Ma, all’interno dell’esecutivo non v’è comunanza d’intenti in merito alle modalità con le quali occorrerebbe impostare le trattative con l’Ue. Ad esempio, nota un osservatore, «per Philip Hammond, cancelliere dello Scacchiere» la «priorità» consisterebbe nel «proteggere il settore finanziario, il vero cuore economico di Londra, e quello automobilistico, l’ultima industria “tradizionale” del Regno Unito. Come? Garantendo l’accesso al mercato europeo: 500 milioni di consumatori» [10].

Viceversa, osserva l’intervistatore, «per David Davis e Liam Fox, i ministri incaricati dopo il referendum del 23 giugno di gestire il divorzio, Brexit significa chiusura delle frontiere per evitare l’afflusso di nuovi migranti».

In ogni caso, si è rilevato come il Prime Minister insista affinché il cronoprogramma che dovrebbe portare alla Brexit sia chiaro e il più indolore possibile. A tal fine la May «ha chiesto a tutti i ministri di redigere una tabella di marcia per ogni dicastero». La statista, coltiva la speranza che a seguito della Brexit l’economia del Regno Unito possa essere interessata da un sostanziale sviluppo.

Al momento, il premier inglese resta in attesa della sentenza dell’Alta corte di giustizia adita da cittadini rappresentati dal prestigioso  studio legale Mischon de Reya. La tesi a sostegno dell’azione legale intentata si basa sul fatto che l’art. 50 TFUE può essere applicato solo a seguito della sottoposizione della questione innanzi al Parlamento, il quale ha la facoltà di concedere o non concedere l’autorizzazione all’attivazione del procedimento de quo [11].

Dunque la May è determinata a non consentire che l’attivazione della procedura per dare avvio alla Brexit sia sottoposta al voto parlamentare. Al riguardo, si è rilevato come fra i vari politici e opinionisti «in passato» anche «l’ex premier Tony Blair e il candidato alla leadership del Labour Owen Smith» abbiano ipotizzato come «i parlamentari a favore della campagna del Remain» avrebbero potuto usare «il voto in Parlamento per bloccare la Brexit».

Certamente, le recentissime dichiarazioni del primo ministro britannico lasciano alquanto interdetti se solo si pone mente a quanto rilevato dal Sunday il 14 agosto 2016. Invero, solo due settimane orsono fonti imprecisate osservavano come l’uscita del Regno Unito dall’Ue avrebbe potuto essere rimandata alla fine del 2019 considerate le notevoli difficoltà che l’amministrazione britannica stava incontrando e, soprattutto, le imminenti elezioni in Francia e in Germania.

A nostro parere, la legittimità della sottoposizione della questione Brexit al vaglio del Parlamento diviene ancor più dirimente, posto che, qualora detto passaggio parlamentare fosse effettuato proprio in considerazione della particolare eterogeneità sul piano territoriale dei risultati del referendum del 23 giugno scorso, è molto probabile che un eventuale votazione in sede parlamentare sarebbe fortemente influenzata dalle diverse ed eterogenee istanze dell’elettorato nei confronti dei rispettivi rappresentanti.

Al contempo, non può non sottolinearsi come permanga nei confronti del Regno Unito un atteggiamento di rigore da parte di importanti Paesi membri dell’Ue come la Germania la quale –  nonostante l’atteggiamento della cancelliera Angela Merkel, che già all’indomani del referendum del giugno 2016 aveva mostrato una certa accondiscendenza nei confronti dell’establishment londinese – per bocca dello stesso vice della statista tedesca, Sigmar Gabriel, ha chiarito: «Nessun trattamento di favore per la Gran Bretagna, che non dovrà aspettarsi “cose carine” nei negoziati per l’attuazione della Brexit » [12].

Sigmar_Gabriel_2015_(cropped)

Sul punto il socialdemocratico Gabriel, che oltre ad essere il vicecancelliere e anche il ministro dell’economia della Germania, ha chiarito come la Brexit sia «più che altro un problema psicologico e soprattutto un enorme problema politico» nei confronti del quale «occorre chiarezza  poiché il mondo guarda in questa fase all’Europa coma aun continente instabile”. Conclude, poi, il ministro tedesco, affermando che se l’Ue dovesse gestire in modo sbagliato la Brexit «saremmo in grossi guai ed è per questo che dobbiamo assicurare che la Gran Bretagna non ottenga, per così dire, “cose carine” né sfugga alle sue responsabilità». [13].

Per tutta risposta, osserva il Sole24ore, il 31 agosto 2016 la premier britannica ha affermato che la «la Gran Bretagna deve ora puntare sulle opportunità al di fuori dell’Unione europea e, dopo aver scelto di uscire dalla porta principale, non deve ora tentare di rientrare nella Ue “dalla porta di servizio”» [14].

Dunque, rileva l’autore, «Dopo un lungo silenzio, che ha dato adito a illazioni di ogni genere, oggi la premier che ha preso il posto di David Cameron ha voluto chiarire alcuni punti fondamentali. Non ci sarà un secondo  referendum» e «non ci saranno elezioni anticipate e il Parlamento sarà consultato ma non avrà l’ultima parola sui tempi e i modi di Brexit, ha poi fatto sapere la May».

Infine,  la premier inglese ha chiarito come  «L’articolo 50 del Trattato Ue – quello che regola il meccanismo di recesso volontario e unilaterale di un Paese dall’Unione europeanon verrà invocato almeno fino all’inizio dell’anno prossimo per dare tempo al governo di delineare una strategia negoziale coerente e dettagliata».

Da ultimo, la leader inglese ha sottolineato come si debba «continuare a mettere in chiaro che Brexit significa Brexit e che riusciremo a renderlo un successo. Nuove opportunità si aprono per noi mentre forgiamo un nuovo ruolo per la Gran Bretagna nel mondo» [15].

In merito a gli effetti della Brexit sull’economia britannica a distanza di due mesi dal Referendum del 23 giugno 2016 appare opportuno richiamare le prime analisi su tali aspetti.

Dopo circa un mese, secondo il Fatto quotidiano, in Gran Bretagna sono aumentate dell’1,4% le vendite al dettaglio. Inoltre. Secondo il quotidiano, il mese di luglio, ha fatto registrare anche un aumento dell’inflazione [16].

Un altro osservatore ha evidenziato come a distanza di due mesi dal referendum e a un mese dall’insediamento del nuovo governo «il costo della Brexit inizia pian piano a definirsi» Invero, secondo l’autore, in Gran Bretagna al momento si stanno verificando «aumento dell’inflazione, aumento dei prezzi dei beni e servizi e allentamento della domanda, con conseguente aumento dei costi per i produttori. Soltanto nel mese di luglio il Regno Unito ha visto crescere dello 0,6 % il livello dell’inflazione, che per la Bank of England dovrebbe arrivare a toccare quota 3% nel 2017. Si tratta del più forte aumento registrato dal novembre 2014 […]». [17]

Al 30 agosto 2016, rileva l’Ansa, «nonostante le paure e le previsioni nere evocate da molti esperti riguardo la Brexit sono in pienoboombar, ristoranti e hotel in Gran Bretagna». Invero, secondo il  Times, «che cita un rapporto della Cbi», associazione britannica di industriali, «l’industria dei servizi – che rappresenta l’80% dell’economia nazionalesi è ulteriormente rafforzata negli ultimi tre mesi […]» e «a fare la parte del leone è proprio il settore dell’accoglienza, con Londra in particolare che è meta di un numero sempre maggiore di turisti».

In conclusione, appare evidente come la questione Brexit impedisca l’effettuazione di valutazioni di carattere economico e geopolitico  persino a breve termine. Considerata la complessità delle implicazioni per la Gran Bretagna ma anche per il resto d’Europa derivanti da un tale “rivoluzione” non resta che auspicare la massima coesione tra i Paesi tuttora membri dell’Ue affinché l’Unione possa concretamente gestire al meglio da un punto di vista finanziario, economico e geopolitico la vicenda Brexit e, soprattutto, possa concretamente concentrarsi sulla individuazione delle soluzioni alle  gravi problematiche che affliggono il Vecchio Continente fra le quali, in testa a tutte, vi è la disoccupazione giovanile e, da qualche tempo, anche l’altrettanto preoccupante fenomeno della mancanza di occupazione fra adulti in età matura.

 

Roberto Scavizzi

Foto © Wikicommons

 

 

 

 

 

 

 

[1] Ansa

[2]  ll «Queen’s Counsel (Consiglio della Regina), chiamato King’s Counsel (Consiglio del Re) quando a regnare è un uomo, è costituito da una élite di barristers. Questo status è concesso tramite littera patente dal re. Poiché i membri del Consiglio tradizionalmente indossano indumenti di seta, il fatto di acquisire questo status viene familiarmente indicato come “prendere la seta” (taking silk). Un giurista deve servire almeno per dieci anni come barrister e dimostrare di essere eccellente per potere ambire a questo titolo».     https://it.wikipedia.org/wiki/Barrister

[3] l’acronimo MPs si riferisce ai Members of Parliament, cioè a dire i membri del Parlamento di Westminster.

[4] http://www.independent.co.uk/news/uk/politics/brexit-loophole-eu-referendum-mps-law-legal-legislation-constitution-a7105181.html

[5] ibidem

[6]  ibidem

[7] ibidem

[8] ibidem

[9] http://www.telegraph.co.uk/opinion/2016/08/28/whitehall-must-not-try-to-block-brexit/

[10] http://www.affaritaliani.it/affari-europei/la-brexit-spacca-gia-il-governo-di-theresa-may-438142.html

[11] ibidem

[12] Ansa

[13] Ansa

[14] http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-08-31/theresa-may-londra-non-rientrera-ue-porta-servizio-134633.shtml?uuid=ADyA8rCB

[15] ibidem

[16] http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08/18/brexit-nel-primo-mese-dopo-il-referendum-aumenta-la-vendita-al-dettaglio-14/2982325/

[17] http://www.linkiesta.it/it/article/2016/08/17/dopo-le-illusioni-della-brexit-arriva-la-realta-linghilterra-e-in-rece/31498/

 

Articolo precedenteIn Spagna si va verso il terzo round di elezioni in un anno
Articolo successivoUsa e Cina s’impegnano veramente a ridurre i gas serra
Roberto Scavizzi
Avvocato e docente universitario a contratto presso università private. L'attività accademica ha ad oggetto la materia dell'Informatica giuridica in ambito internazionale e la materia dei diritti d'autore. Come legale opera principalmente nel settore del diritto dell'impresa e svolge attività formativa professionale nel settore giuridico in ambito pubblico e privato. Inoltre è autore di pubblicazioni di diritto e articoli giornalistici per riviste d'arte e d'attualità.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui