Il rebus di Belfast, l’Irlanda del Nord ora è sospesa tra Regno Unito e Unione europea

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Il premier Enda Kenny difende in Europa il rapporto unico tra Dublino e Londra oltre al confine aperto in Ulster

Il ministro agli Affari Esteri della Repubblica d’Irlanda, Charlie Flanagan, è impegnato oggi, 29 giugno, in un incontro a Belfast con Theresa Villiers, segretaria all’Irlanda del Nord (per l’UK), Colum Eastwood, leader del Social Democratic and Labour Party (SDLP) dell’Ulster e David Ford, il quale è alla guida del Partito dell’Alleanza nella provincia autonoma nel quadro istituzionale del Regno Unito. Gli argomenti principali del meeting sono il futuro del confine tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda e l’assicurazione che i problemi derivanti dall’uscita di Londra dall’Unione europea saranno affrontati in una prospettiva che continuerà a tenere conto dell’isola d’Irlanda nella sua interezza. Ritardi nelle procedure stanno già innervosendo quanti hanno bisogno di rinnovare un passaporto: molti residenti britannici stanno intasando di richieste gli uffici competenti. Lo Sinn Féin (la sinistra repubblicana) chiede sia rispettato il voto per rimanere nell’Unione europea di coloro che vivono in Irlanda del Nord, oltre confini progressivamente dimenticati grazie agli effetti degli accordi di pace dell’aprile del 1998, gli Accordi del Venerdì Santo (Good Friday Agreement): la rimozione dei controlli e della presenza di militari che fornivano bersagli propagandistici e concreti a gruppi armati.

Si ritorna a parlare di confini e di dazi, di documenti necessari per viaggiare, di cose cui non si pensava più, in una Unione europea comprendente entrambe le parti dell’isola e che aveva fornito alla Repubblica d’Irlanda e al Regno Unito uno spazio di discussione diverso da quel luogo fino ad allora condiviso solo nell’ostile confronto nazionale e religioso che aveva portato la provincia dell’Irlanda del Nord alla ribalta della cronaca in modo anacronistico, anche nel mondo diviso in due del Novecento. Il ritorno di confini “rigidi” all’interno dell’Irlanda frenerebbe gli scambi, intralcerebbe il tragitto quotidiano attraverso la frontiera di 18.000 lavoratori (e più di 5000 studenti), respingerebbe le due comunità, nazionalista irlandese e lealista britannica, nel reciproco antagonismo. Per questo l’Irlanda del Nord il 23 giugno ha rifiutato con quasi il 56% dei voti contro 44% la tentazione del “Leave” e oltre allo Sinn Féin e al Social Democratic and Labour Party hanno sostenuto il “Remain” anche gli unionisti (protestanti) dell’Ulster Unionist Party e il Partito dell’Alleanza (che comprende sia cattolici che protestanti). Il Democratic Unionist Party, tradizionalmente più intransigente, ha sostenuto invece il “Leave”.

L’Irlanda del Nord si interroga sul futuro del contributo fino ad oggi assicurato dall’Unione europea, valutabile per il periodo fino al 2020 in circa tre miliardi di euro. Gli ex primi ministri britannici John Major (Conservatori) e Tony Blair (Laburisti) nel sostenere le ragioni del “Remain” hanno sottolineato che la reintroduzione di barriere al commercio potrebbe appesantire i disagi sociali che spesso hanno minacciato il processo di pace, riportando le fasce più deboli della popolazione al trinceramento identitario e allo scontro con i vecchi avversari (i protestanti espressione del dominio britannico per i nazionalisti, i cattolici e l’Eire per i lealisti). I gruppi repubblicani dissidenti rispetto al processo di pace dopo il referendum hanno trovato terreno fertile, nella delusione per il trascinamento fuori dalla UE della maggioranza europeista dell’Irlanda del Nord, per sostenere che solo la voce dell’Inghilterra conta. Colum Eastwood, leader del Social Democratic and Labour Party, ha affermato che a Derry queste forze irriducibili (a differenza dello Sinn Féin, che è a favore del Remain come l’SDLP) vedono nel ripristino di un confine visibile e sorvegliato la possibilità di un ritorno allo scontro diretto come mezzo per riunificare l’Irlanda.

Il “Fresh Start”, il modello istituzionale subentrato con l’avvio del governo di Arlene Foster (Democratic Unionist Party) l’11 gennaio 2016, può essere considerato un passo in avanti rispetto al “Good Friday Agreement” che aveva trattenuto insieme nell’esecutivo i rappresentanti di ogni settore significativo della società nordirlandese (il Democratic Unionist Party dei lealisti pro-britannici; lo Sinn Féin dei repubblicani nazionalisti irlandesi vicini all’Ira; il Social Democratic and Labour Party degli irlandesi pro-Repubblica moderati; l’Ulster Unionist Party dei protestanti filobritannici moderati, il partito dell’Alleanza comprendente sia protestanti che cattolici) perchè con il “Fresh Start” l’assemblea nordirlandese ha assunto un profilo parlamentare più continentale: una maggioranza formata dai due ex maggiori avversari, Democratic Unionist Party e Sinn Féin, e una opposizione formata da cattolici del SDLP e protestanti dell’UUP più l’Alliance Party, con schieramenti finalmente trasversali alle due principali comunità di riferimento (nazionalista irlandese e lealista protestante) rendendo quindi superfluo il complicato sistema di governo previsto dal Good Friday Agreement, in cui tutti i partiti di qualche peso avevano poteri legislativi ed esecutivi, spesso utilizzati per sostenere politiche di sviluppo economico e sociale di svariati segmenti della società, con un lievitamento di costi che ha sfidato spesso la pazienza di Londra, rimanendo però sostenibile a lungo grazie al pesante contributo europeo, che oggi non può più essere dato per scontato. Inoltre l’agricoltura nella provincia poggia sulla PAC (politica agricola europea) per l’ottantasette per cento del reddito. La Repubblica di Irlanda lavora con il Regno Unito in ambiti infrastrutturali come l’energia, perciò svariate strutture istituzionali e imprenditoriali sono state lentamente rafforzate a livello unitario nell’isola.

L’elettorato nordirlandese che è stato tra le speranze della campagna del “Remain”, in un voto che ha poi dato effettivamente un risultato ravvicinato tra i due schieramenti, oggi è un rompicapo per la Repubblica d’Irlanda e per il Regno Unito, perchè se è chiara la preferenza della provincia per la continuità della presenza britannica nella Ue e della cooperazione in tutta l’isola, sarebbe ben più difficile ponderare le reazioni che implementare un confine esterno dell’Unione europea provocherebbe: se questo margine coincidesse con quello esistente (ma reso nei decenni recenti irrilevante dagli accordi di pace nel quadro della comune appartenenza alla Ue) di trecento miglia tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica e ritrovasse una concretezza evidente in controlli e attese, allora la comunità irlandese avrebbe l’impressione di un salto nel passato, anzi aggravato dalla separazione dall’Unione europea contro il voto della maggioranza della popolazione nella provincia (anche di molti protestanti, lealisti e unionisti). Se invece il confine esterno della Ue passasse – come suggerito da alcuni esponenti del “Leave” durante la campagna referendaria in Ulster – attorno all’isola, in questo caso la percezione di allontanamento da Londra e di ingerenza di Dublino (tuttora al centro di turbolente manifestazioni di lealisti pro-britannici in occasione di marce negate attraverso i quartieri cattolici di Belfast e di contese sulla esposizione dei simboli britannici su edifici istituzionali) spaventerebbe e umilierebbe la comunità fedele alla corona, specie nell’eventualità disorientante di un allontanamento dal Regno Unito da parte della Scozia (con più del 60% favorevole al “Remain”) considerando che questa è la parte dell’UK cui storicamente i protestanti dell’Irlanda del Nord fanno riferimento per provenienza.

Ecco perchè ieri, martedì 28 giugno, nel corso dell’incontro tra i 28 a Bruxelles, la questione dell’Irlanda del Nord è stata al centro della richiesta del Taoiseach (primo ministro irlandese) Enda Kenny ai partner europei: riconoscere l’integrazione economica e sociale delle due isole e la necessità di non trascinare il buon rapporto faticosamente costruito tra i due Paesi nel mezzo delle tensioni generate dall’allontanamento tra Londra e l’Unione europea, evitando di interrompere il processo di pace (accelerato con il disarmo dell’Ira tra luglio e settembre 2005) e tutelando il confine aperto che Repubblica d’Irlanda, Regno Unito e provincia autonoma dell’Irlanda del Nord considerano ormai una base irrinunciabile per il progresso socio-economico nelle due isole.

 

Aldo Ciummo

Foto © European Union , 2016 (in apertura, da sinistra a destra, Jennifer McCann, la commissaria Corina Creţu and Emma Pengelly, per il lancio del programma di cooperazione transfrontaliera PACE finalizzato ad approfondire la riconciliazione nell’Irlanda del Nord e nella regione frontaliera dell’Irlanda)

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Aldo Ciummo
Giornalista e fotografo specializzato in questioni del Nord Europa e dell’Unione europea, ha vissuto a lungo in Irlanda. Da free lance viaggia spesso nei Paesi scandinavi e scrive in inglese su testate internazionali, tra le quali “Eastwest”, o in italiano per "Eurocomunicazione" e “Startupitalia". In seguito alla laurea in Scienze della Comunicazione presso l’Università “La Sapienza” di Roma, ha studiato Relazioni Internazionali alla Fondazione Lelio e Lisli Basso e Fotografia all’ISFCI a Roma.

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