Il vino siciliano volano per il made in Italy all’estero

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Nel 2016 Italia seconda in Europa per export. La Sicilia la regione con più ettari riservati alla coltivazione di uve. Siamo stati in val di Noto per scoprire alcune realtà interessanti

Il vino italiano si sa, è molto apprezzato non soltanto in patria ma anche all’estero. A confermarlo, i dati Eurostat relativi allo scorso anno dai quali emerge come principale esportatore la Francia (41%) seguita da Italia (28%) e Spagna (13%). La metà dell’export del vino dei Paesi Ue è rivolto a Paesi al di fuori dell’Unione, in primis gli Stati Uniti (33%) seguiti da Cina (9%) Canada (8%) Giappone (7%) e Hong Kong (7%). Anche i dati relativi alla superficie dei vigneti nell’Ue sono interessanti: al primo posto troviamo infatti la Spagna, con il 30% del totale dell’Unione, seguita da Francia (25%) e Italia (19%). Nel Belpaese, la regione con più ettari coltivati a vite è la Sicilia.

I numeri di Eurostat rappresentano senza dubbio un ottimo spunto riflessione, ma da soli non bastano. Abbiamo infatti voluto conoscere in modo più approfondito la realtà vitivinicola siciliana (o almeno una parte di essa), venire a contatto con aziende e produttori per capire come si sta muovendo il comparto, anche in considerazione di questa spinta verso il mercato estero e quali contributi ha dato e sta dando l’Unione europea per la crescita e lo sviluppo del settore.

Grazie al press tour organizzato da Cronachedigusto, giornale online di enogastronomia, abbiamo avuto modo di scoprire alcuni luoghi della Sicilia sud-orientale. Siamo nella Val di Noto, qui si trovano le otto città riconosciute nel 2002 patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Il barocco è lussureggiante almeno quanto la natura: non solo mare, ma alberi da frutto, fichi d’india, olivi e viti. A sormontare il territorio, “Iddu”, l’Etna. Si va dalla costa alle alture, il terreni sembrano essere perfetti per la coltivazione di uva: dall’argilloso al calcareo fino a quello lavico.

Qui hanno la loro casa alcuni storici vitigni utilizzati tradizionalmente per produrre vino da taglio, tra quelli autoctoni a bacca rossa spicca il Nero d’Avola, ma anche il Frappato e il Nerello Mascalese. Tra quelli a bacca bianca ricordiamo il Grillo, l’Inzolia, il Carricante.
Proprio partendo dalla ricchezza di questo territorio e mantenendo ben viva la tradizione, negli anni si sono sviluppate alcune realtà enologiche interessanti. Nel corso del nostro tour abbiamo visitato alcune cantine della Val di Noto: abbiamo avuto così modo di conoscerne la storia, e ascoltare i loro progetti per il futuro. Si tratta di aziende che esportano fra il 60% e l’80% della loro produzione e che in diversi casi hanno fatto uso dei fondi europei (OCM) per l’acquisto di macchinari o per interventi in vigna.

Il nostro viaggio inizia con la visita a Feudo Maccari, che rappresenta la scommessa di Antonio Moretti Cuseri, imprenditore di successo nel settore tessile e già titolare della Tenuta Sette Ponti ad Arezzo.

Dopo un viaggio nella Val di Noto, il fascino di questa terra lo cattura a tal punto da fargli decidere di produrre proprio qui. Siamo negli anni Novanta e nella strada che va da Noto a Pachino Moretti Cuseri decide di iniziare la sua avventura siciliana. Questo è il terroir del Nero d’Avola, uno dei vitigni autoctoni più rappresentativi dell’isola. Ed è su questa uva che l’imprenditore decide di puntare, coltivandola come da tradizione, ad alberello. Nel 2000 cominciano i primi acquisti di Moretti Cuseri: inizia l’avventura di Feudo Maccari, che si estende per 70 ettari. Non solo vigneti, ma anche una foresteria, la cantina con l’ampia bottaia, la sala degustazione. Già avviato il percorso per ottenere la certificazione bio nel 2018.

Spostandoci a nord arriviamo nel comune di Chiaramonte Gulfi, in provincia di Ragusa. Qui conosciamo due realtà molto diverse. La prima, è l’azienda agricola Poggio di Bortolone, risalente addirittura alla fine del Settecento e tramandata negli anni di padre in figlio. Oggi l’azienda è gestita da Pierluigi, che ha mantenuto viva la tradizione di famiglia, apportando tuttavia cambiamenti per rimanere sempre al passo con i tempi. L’imbottigliamento di vino inizia con il padre di Pierluigi negli anni Settanta. È degli anni Ottanta il primo cerasuolo Poggio di Bortolone, al quale segue poi un secondo, contessa Costanza. Di anno in anno continuano le sperimentazioni in vigna e in cantina. Nel 2005 il territorio in cui si trova l’azienda ottiene la D.O.C.G. Cerasuolo di Vittoria.

Nello stesso comune, conosciamo un’altra realtà molto interessante: stiamo parlando di Gulfi, cantina pioniera nella valorizzazione del principale vitigno a bacca rossa della Sicilia e nella riscoperta dei prestigiosi cru di Pachino. La storia di Gulfi è appassionante perché ci racconta di un’Italia operosa e determinata. Ci parla dei sacrifici dei nostri padri, dell’importanza delle tradizioni, dell’attaccamento (nel senso più sano del termine) alla propria terra. È la storia di Raffaele Catania, siciliano emigrato a Parigi nel secondo dopoguerra in cerca di lavoro. Con i soldi risparmiati Raffaele compra i primi appezzamenti, che dovranno dare sostentamento alla famiglia quando sarà possibile tornare in Sicilia. Il figlio Vito parte con la famiglia a 5 anni e torna a 20. Ritrova le terre di famiglia e decide di riversare su di esse quanto imparato in Francia. Inizia così la produzione di vini di Gulfi, fondata sulla ricerca di un equilibrio fra ambiente e vigna nel rispetto del territorio e con grande sensibilità. A raccontarci questa storia è Salvo Foti, l’enologo che ha seguito l’azienda sin dall’inizio e ora, dopo la scomparsa di Vito Catania, ne ha raccolto l’eredità. Parlare con Foti e capire il successo di questa azienda è un tutt’uno.

La competenza, la passione e l’estremo riguardo verso l’aspetto più umano di questo mestiere, trasudano da ogni sua parola. E non è certo un caso che sia considerato l’artefice della rinascita enologica della Sicilia sud-orientale.
Ecco dunque che il vino ritorna ad assumere il ruolo che storicamente ha sempre avuto: è espressione di una civiltà e simbolo della sua cultura.

Valentina Ferraro

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Valentina Ferraro
Laureata in letteratura contemporanea, ha lavorato per diversi anni come editor per una casa editrice romana, per poi avvicinarsi alla sua più grande passione: la scrittura, intesa come mezzo di comunicazione a 360 gradi. Ha iniziato scrivendo di cinema e cultura per diverse testate sia online che cartacee (fra queste, “Il quotidiano della Sera” e il settimanale “Il Punto”). Dopo il primo viaggio a Bruxelles, nel 2014, ha scoperto un forte interesse per l’Unione europea, iniziando così ad approfondire le tematiche relative all’Ue. La spiccata curiosità per l’universo della “comunicazione 2.0” l’ha portata a mettersi alla prova anche come blogger. Di recente la scrittura ha incontrato un’altra sua grande passione: l’enogastronomia.

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