Indipendenza della Catalogna sì, no, forse

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Ultimatum Rajoy: «fermatevi entro lunedì». Oggi festa nazionale in Spagna, ma Puigdemont (e il basco Urkullu) non va al ricevimento a Palazzo Reale

In pieno conflitto per il referendum prima e la dichiarazione poi catalane, la crisi istituzionale più grave vissuta dalla Spagna dalla fine della dittatura franchista si compiono mentre nel Paese si festeggia la giornata di festa nazionale. Re Felipe VI e il premier Mariano Rajoy, dopo aver assistito alla tradizionale sfilata militare, hanno riceviuto a Palazzo Reale i presidenti delle comunità autonome spagnole, tutte meno il catalano Carles Puigdemont e il basco Inigo Urkullu.

Come se non bastasse nella giornata odierna ben 100 comuni catalani non hanno chiuso oggi per la festa nazionale spagnola della Hispanidad, nel pieno della crisi fra Barcellona e Madrid, fra i quali le città di Girona e Badalona. Ma nel frattempo il potere centrale organizza le contromosse. Il premier Rajoy ha pubblicamente chiesto alla Catalogna di fermare l’avventura secessionista entro lunedì – dopo la dichiarazione di indipendenza “sospesa” di Carles Puigdemont ieri, che ha scatenato l’ira di Madrid.

Il capo del governo spagnolo ha attivato oggi la procedura per l’applicazione dell’articolo 155 della costituzione, che consente di sospendere di fatto l’autonomia catalana e destituirne il presidente e i ministri. Rajoy ha lanciato, dunque, l’ultimatum: entro lunedì alle 10 Puigdemont deve chiarire se ha effettivamente dichiarato o meno l’indipendenza, attentando all’unità della Spagna. Se l’ha fatto, entro giovedì dovrà “rettificare”. Altrimenti Rajoy chiederà al Senato di attivare “l’arma atomica” della procedura descritta dall’articolo 155.

Il premier spagnolo, che visibilmente non era entusiasta all’ idea di dover ricorrere a questo meccanismo coercitivo, oggi ha alla fine ceduto alle mille pressioni che si sono esercitate su di lui dopo il duro discorso di re Felipe del 3 ottobre scorso contro la Catalogna. Dalla destra del suo partito e dalla vicepremier Soraya de Santamaria, dalla stampa madrilena compatta nell’invocare l’art. 155, dall’alleato Albert Rivera di Ciudadanos. La notte scorsa, dopo il pronunciamento di Puigdemont, Rajoy ha concordato la mossa con il leader socialista Pedro Sanchez. In cambio dell’appoggio del Psoe, Sanchez ha ottenuto l’accordo di Rajoy per l’avvio di una riforma della costituzione che cerchi di offrire una nuova sistemazione istituzionale alla Catalogna.

Quello che non si aspettava il governatore catalano è il muro compatto dell’Europa contro la secessione, giudicata “illegale” della Catalogna dalla Spagna: linea dura contro Barcellona, e sostegno pieno a Madrid. Da Berlino a Parigi, passando per Roma e Bruxelles, per una volta le voci hanno parlato tutte all’unisono. Contro il pericolosissimo precedente all’interno della stessa Ue. E proprio la Commissione Ue, infatti, ha dato il «là» alle reazioni dalle capitali europee mettendo l’accento sul “sostegno” agli “sforzi per superare le divisioni” tra Barcellona e Madrid.

Con un focus preciso, «assicurare l’unità e il rispetto della Costituzione spagnola». La reazione arriva il giorno dopo l’inatteso appello, a qualche ora dal cruciale discorso del “president” catalano Carles Puigdemont, da parte del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. L’ex premier polacco, oggi al vertice dell’istituzione costituita dai capi di Stato e di governo, ha chiesto – rompendo così il silenzio dietro cui l’Ue si era trincerata da giorni – di «non annunciare una decisione che renderebbe il dialogo impossibile».

D’altronde, nel gioco delle posizioni, ieri la Catalogna si è proclamata per un minuto Repubblica catalana. Dopo un niente ha  sospeso la secessione, per tentare “la formula slovena“. Lubiana al momento della separazione da Belgrado aveva dapprima dichiarato l’indipendenza, ma poi l’aveva sospesa per sei mesi, per arrivare a un divorzio negoziato con Belgrado. Ma la legge catalana del referendum prevedeva una dichiarazione d’indipendenza entro due giorni dalla proclamazione dei risultati, in caso di vittoria del “sì” al referendum del primo ottobre. Ma come avevano capito i dirigenti sloveni, Puigdemont ha teso la mano a Madrid per convincerla.

«Non abbiamo nulla contro la Spagna e contro gli spagnoli. Anzi, vogliamo capirci meglio. Non siamo delinquenti, pazzi o golpisti, siamo gente normale che vuole poter votare», ha detto in spagnolo. Il “president” ha ricordato l’infelice vicenda dellostatuto catalano del 2006, ratificato dal popolo della Catalogna e poi bocciato nel 2010 dalla Corte costituzionale spagnola. Così è cominciata la sfida catalana, da allora sono iniziate le marce oceaniche per l’indipendenza a Barcellona e la corsa al referendum.

 

Keiko Jiménez

Foto © The Washington Post (apertura), The Guardian, European Union, The Indipendent, BBC

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