Kamikaze di Pietroburgo è kirghiso, legami con i siriani

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Direttiva dell’autoproclamato Stato Islamico: «Colpire Usa, Russia e Ue». Caccia alla cellula del killer. Fermati 7 reclutatori al Nusra e Isis. Attentato per la presenza di Putin?

L’attacco terroristico di San Pietroburgo è costato la vita a 14 persone e ne ha ferite più di 50, tre delle quali in gravi condizioni. Il responsabile dell’attentato è Akbardjon Djalilov, 22enne originario del Kirghizistan ma con passaporto russo. Si è fatto esplodere (o lo hanno fatto esplodere, come si sta cominciando a ipotizzare) nel vagone della linea blu della metropolitana. Ora si aspettano i dettagli dalle indagini preliminari sul secondo ordigno, quello rinvenuto (inesploso) nella stazione di Ploshchad Vosstaniya.

I media russi descrivono la seconda bomba del tutto simile all’ordigno usato da Djalilov per composizione e fattura, ma molto più potente. Era collegata ad un cellulare e non a un «meccanismo ad orologeria». Circostanza che porta gli inquirenti a «non escludere» che pure la bomba trasportata dal 22enne kirghiso possa essere stata innescata «a distanza» dai complici del ragazzo, che forse «controllavano i suoi movimenti».

Akbarzhon Jalilov

L’azione, dunque, non è stata compiuta da un lupo solitario ma da “una cellula“, tant’è vero che gli inquirenti starebbero valutando le posizioni di altri due ragazzi sulla ventina, sempre originari dell’Asia Centrale. Anzi, stando a quanto ricostruito dal quotidiano Kommersant, i servizi segretisapevanoche l’ex capitale degli zar era nel mirino degli estremisti e stavano cercando di bloccare l’attacco ma erano riusciti a individuare solo un elemento di “basso rango gerarchico”, che non aveva accesso alle informazioni privilegiate dei capi.

I servizi sarebbero comunque intervenuti tempestivamente disattivando la rete di telefonia mobile della Ploshchad Vosstaniya e impedendo così alla bomba di esplodere; un intervento che ha evitato una strage ancor più grave. Certo, la ricostruzione sembra fatta apposta per permettere ai servizi di salvare la faccia, proprio nel giorno in cui il Cremlino ha dichiarato che «bisognerà capire» se l’attentato ha una connessione con la presenza di Vladimir Putin (nato proprio qui, nella foto sotto mentre depone dei fiori in ricordo delle vittime, ndr) a San Pietroburgo.

Gli inquirenti hanno pure fatto trapelare che Djalilov aveva legami con «miliziani siriani», lasciando intendere che la pista dell’estremismo islamico è quella più probabile. Una rivendicazione ufficiale, però, ancora manca: l’audio di 36 minuti pubblicato dal portavoce dell’Isis, Abu Al-Hasan Al-Muhajir, in cui esorta i jihadisti ad attaccare l’Europa, la Russia e gli Stati Uniti perché «la guerra contro i nostri nemici è globale» non si classifica come tale.

Poliziotti e agenti dell’Fsb, i servizi di sicurezza russi, hanno inoltre fermato sette persone originarie dell’Asia Centrale con l’accusa di svolgere attività di reclutamento «per conto di al Nusra e Stato Islamico, soprattutto tra i connazionali» e nel corso delle perquisizione è stato «sequestrato materiale propagandistico islamista». Il gruppo, però, non sembra avere contatti con Jalilov, il cui background continua ad essere scandagliato alla ricerca di legami con l’Isis.

 

Arina Moskovskaja

Foto © Sky News

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