Migranti e minaccia terroristica rischiano di accelerare una crisi già in atto

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L’uscita del Regno Unito dalla Ue sarebbe un duro colpo inferto a un’Europa già vacillante e politicamente divisa

Chi ama analizzare i momenti di crisi, quelle situazioni durante le quali tutto inizia a scricchiolare, anche se pochi sembrano esserne realmente consapevoli, sa che l’Europa sta attraversando un momento particolarmente arduo della propria storia. Chi conosce la grande letteratura mitteleuropea sa che, prima dei due conflitti mondiali che hanno insanguinato il Novecento, gli intellettuali più acuti avevano già sentore di quanto stava accadendo. Solo che la politica è solitamente sorda a questi segnali.

Iniziamo dall’Austria. Il cancelliere Werner Faymann, alla guida del Paese per otto anni, ha dovuto arrendersi alla progressiva e inarrestabile perdita di consenso che ha interessato la sua persona e l’intero partito socialdemocratico. Conseguenza di una politica incerta e zoppicante, incapace di invertire la spirale nella quale l’Austria sembra imbottigliata. Si è cercato di eludere i problemi, si è rimandata l’attuazione delle riforme strutturali necessarie a mantenere la competitività internazionale. Su queste indecisioni prolifera il nazionalista Hofer, l’erede di Haider, il quale propone ricette populiste accattivanti per una nazione preoccupata di mantenere inviolata la propria prosperità, spaventato dalle notizie di un rallentamento dell’economia. Eppure dovrebbe essere chiaro che nessuno è immune dalle dinamiche internazionali, che tali problemi si risolvono insieme o non si risolvono. Nessuno può dirsi al riparo nel ristretto ambito della propria torre d’avorio.

P031198000402-526894Veniamo ora alla Gran Bretagna. Preoccupato dai possibili esiti del referendum che si terrà il prossimo 23 giugno, il premier David Cameron parla esplicitamente di una minaccia alla pace nel caso di un’uscita del suo Paese dalla Ue. Ai temi dello sviluppo e della crescita, solitamente chiamati in causa, si aggiunge ora lo spettro della guerra. Cameron rinnova la memoria storica parlando di un’Europa eternamente belligerante prima dell’avvento della Ue, ancora instabile come testimonia il conflitto nell’ex Yugoslavia, sventola nuovi spauracchi come quello dell’Isis e quello di una Russia nuovamente minacciosa e in grado di orientare gli scenari geopolitici internazionali. L’ex sindaco di Londra Boris Johnson, fautore di un’uscita dalla Ue, lo accusa di esagerare, spingendo sul pedale della paura. Eppure proprio sulla paura generata dalle crescenti ondate migratorie si basano in massima parte le ragioni dei fautori di un divorzio da Bruxelles.

La posizione della Gran Bretagna è sempre stata anomala, contraria a ulteriori passi verso l’integrazione politica e monetaria. L’accordo siglato a febbraio con l’Unione europea va in questa direzione. Lo statuto speciale accordato al Regno Unito dovrebbe rappresentare un viatico sufficiente per la permanenza nella Ue, una rassicurazione per un elettorato confuso e disorientato. In realtà siamo di fronte a un ennesimo strappo, che mina la natura e i principi fondanti dell’Europa.

L’ipotesi Brexit spaventa, e potrebbe essere l’inizio di un processo di disgregazione inarrestabile. L’architettura europea non ha basi solide. Come un castello di carte rischia di crollare al minimo alito di vento. Tutto questo mentre l’estrema destra trionfa in numerosi Paesi come la Polonia e l’Ungheria, con effetti destabilizzanti per l’Ue.

La Germania dal canto suo tira un momentaneo sospiro di sollievo, visto che il numero degli arrivi di profughi si è drasticamente ridotto in seguito al tanto discusso accordo con la Turchia. Un documento che oggi vacilla di fronte alle dimissioni del primo ministro Ahmet Davutoglu, dalla linea più moderata rispetto a quella portata avanti dal presidente Erdogan, e dalle perplessità da molti sollevate riguardo la questione dei visti. Quanto potrà durare l’abbraccio con un Paese che viola palesemente e in maniera sempre più aperta i diritti fondamentali, come quello all’informazione? La chiusura della rotta balcanica, inoltre, non fa altro che aggravare la situazione in Italia. Spostare o rimandare i problemi non significa risolverli. L’ottica puramente emergenziale non aiuta a recuperare forza e credibilità alla causa europeista.

Riccardo Cenci

Immagini © European Union , 2016

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Riccardo Cenci
Riccardo Cenci. Laureato in Lingue e letterature straniere moderne ed in Lettere presso l’Università La Sapienza. Giornalista pubblicista, ha iniziato come critico nel campo della musica classica, per estendere in seguito la propria attività all’intero ambito culturale. Ha collaborato con numerosi quotidiani, periodici, radio e siti web. All’intensa attività giornalistica ha affiancato quella di docente e di scrittore. Ha pubblicato vari libri (raccolte di racconti e romanzi). Attualmente lavora come Dirigente presso l’Enpam.

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