Nel corso di una conferenza sono state approfondite le conseguenze a medio e a lungo termine delle scelte di ripristino del patrimonio architettonico nel centro Italia
Mercoledì primo marzo all’Accademia di Danimarca, a Roma, Jan-Jonathan Bock (the Wolf Institute, Cambridge) è intervenuto sul tema della ridefinizione dei centri urbani a seguito di disastri naturali come un sisma, prendendo in esame in particolare il caso del 6 aprile 2009 a L’Aquila, in Abruzzo e degli avvenimenti che seguirono. L’allora governo di Centrodestra ottenne inizialmente riconoscimenti dall’estero, per la rapida assicurazione che vi sarebbe stata una ricostruzione. Mezzi di comunicazione stranieri, che erano stati critici verso l’esecutivo, si mostrarono ben disposti nei confronti delle promesse che riguardavano la città. Il premier dell’epoca, Silvio Berlusconi, era stato per molti anni imprenditore dell’edilizia: su questa base riuscì a presentarsi come un esperto e promise che la durata della ricostruzione sarebbe stata limitata a pochi anni.
In seguito un nuovo presidente del Consiglio, Mario Monti, affidò la competenza al ministero della Coesione. Nel 2013 il centro storico cittadino era ancora in stato di abbandono. Seguirono i governi di Centrosinistra, che a loro volta non portarono alla risoluzione della disgregazione sociale, causata dalla dispersione della popolazione del capoluogo in piccoli insediamenti nella provincia, una situazione accompagnata, nel periodo immediatamente successivo al disastro, dalla decisione di impedire a gruppi e associazioni territoriali di influire in qualsiasi modo sulle circostanze della ricostruzione.
Il carattere permanente dei nuovi insediamenti attorno a L’Aquila (nella realizzazione dei quali venne indirizzato tutto lo sforzo economico) vide la perdita di abitudini di vita consolidate nel centro urbano. Un provvedimento che segnò il distacco dei cittadini dal capoluogo fu la proibizione di rientrare nelle case e nei quartieri, tanto più che la disposizione, adottata per ragioni di sicurezza, restò in vigore molto a lungo. La scelta di mirare a risultati, anche di immagine, di breve termine, influenzò la sorte dell’area colpita, che avrebbe avuto bisogno di un progetto di ricostruzione duraturo e adeguato alla complessità delle strutture, molte delle quali antiche, danneggiate.
L’Accademia di Danimarca a Roma, attualmente diretta da Marianne Pade, è stata costruita nel 1967 dall’architetto Kay Fischer; tra 2014 e 2015 – con il sostegno del ministero della Cultura danese – è stata ristrutturata, con la supervisione di Bente Lange relativamente all’architettura (che ha mantenuto il suo aspetto iniziale). Sono stati da allora ottimizzati l’approvvigionamento e il risparmio energetico della struttura e l’esposizione alla luce degli ambienti che compongono l’edificio. L’istituto permette a ricercatori danesi di compiere approfondimenti sul patrimonio archeologico della capitale italiana. La conferenza del primo marzo si è svolta con la cooperazione della British School at Rome e della École Française de Rome.
Aldo Ciummo
Foto © Aldo Ciummo