Nagorno-Karabakh, il conflitto invisibile ignorato dall’Europa

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Ad aprile scorso quattro giorni di intensi combattimenti hanno fatto temere la ripresa di una guerra mai del tutto sopita

Sulla strada per Areni, in Armenia. La nostra guida ci informa che, dall’altra parte delle montagne, c’è l’Azerbaijan. Da oltre venti anni i due Paesi si contendono il controllo di questo territorio del Caucaso meridionale, ancora oggi teatro di combattimenti. Procediamo nel paesaggio impervio, con la neve che turbina attorno al nostro veicolo e la nebbia che ci avvolge con dita di fantasma, rendendo la visibilità quasi nulla. Superiamo un pullman diretto in Iran. Molti turisti provenienti da questo Paese decidono di visitare l’Armenia a capodanno, ci spiega la nostra guida, per festeggiare eludendo i severi divieti in materia di alcolici e di comportamento imposti dalla religione islamica. Attraverso i vetri appannati scorgo le sagome di quelle persone sconosciute che, di lì a poche ore, transiteranno per la frontiera, rientrando nel proprio Paese. Cerco di immaginare le loro vite, i loro pensieri nascosti. Resteranno sempre un mistero per noi, indecifrabile come il paesaggio che stiamo lentamente e faticosamente attraversando.

img_7021Nonostante gli accordi del 1994 l’Armenia, dalle solide radici cristiane, e l’Azerbaijan musulmano non hanno mai cessato di contendersi questa regione. Le accuse reciproche riguardo le periodiche violazioni della tregua fanno parte di una dinamica ormai consolidata. «Un bombardamento potrebbe avvenire in qualsiasi momento», ci dice ancora la guida indicando il gruppo di casupole proscpiciente la fabbrica di vino Areni, di fronte alla quale abbiamo parcheggiato l’auto. «Qualche tempo fa quel villaggio è stato interessato da un fuoco improvviso», aggiunge. Stentiamo a credere alle sue parole. Le case sono state riparate, e l’atmosfera tranquilla sembra smentire tali catastrofiche previsioni.

Entriamo nella fabbrica. Alcuni turisti russi sorseggiano tè caldo, mentre altri partecipano a una degustazione di vino e vodka locale. Anche noi decidiamo di seguire il loro esempio, per scaldarci un poco dopo il lungo viaggio. Attraversiamo una gola spettacolare per visitare il monastero di Novarank. Il luogo è magnifico. I rari visitatori non turbano l’atmosfera silenziosa, ovattata dalla neve che seguita a cadere copiosa conferendo un sapore favolistico al complesso monastico.

Dopo qualche giorno ci dirigiamo a nord. Nel villaggio montano di Haghpat conosciamo Arthur, un ragazzo dallo sguardo serio che ha servito nell’esercito per due anni, partecipando a vari combattimenti. Di fronte alla tavola imbandita per le festività stentiamo a chiedergli qualcosa al riguardo. Arthur ha uno sguardo schietto, la cui naturale cordialità è appena incrinata da una sottile inquietudine. Il padre ci confessa che la guerra ha instillato una certa aggressività in un carattere altrimenti mite. La famiglia che ci ha offerto ospitalità si occupa del monastero di Haghpat, uno dei più suggestivi dell’intera Armenia. Ancora una volta mi stupisce scoprire come le placide atmosfere di questo territorio nascondano i fuochi di un conflitto sempre sul punto di esplodere.

img_7018Il dissidio ha origini antiche. Nel 1923, nonostante i numerosi pareri contrari, Stalin volle incorporare il Nagorno-Karabakh, abitato in prevalenza da armeni cristiani, nella repubblica musulmana dell’Azerbaijan, allora parte dell’URSS. Nel 1988 la provincia decise la secessione, provocando la reazione del governo di Baku. Il conflitto che ne seguì lasciò sul campo migliaia di morti e infiniti flussi di profughi. Oggi questo territorio è di fatto un’enclave armena all’interno  dell’Azerbaijan.

Dopo una certa timidezza iniziale, Arthur inizia a raccontare. Ad aprile gli azeri hanno sferrato un’offensiva durata quattro giorni, conclusa con un bilancio pesante in termini di vite umane. Si è trattato degli scontri più violenti dalla tregua del 1994. Arthur ha visto morire un suo compagno a pochi metri da lui, freddato dal tiro di un cecchino. Con orgoglio ci dice che i morti dell’altra fazione sono stati molto più numerosi rispetto ai caduti dell’esercito armeno. «Gli azeri, benchè equipaggiati in maniera migliore, sono molto meno coraggiosi di noi», aggiunge con fare spavaldo.

La Russia, da anni garante della fragile tregua, anche stavolta è riuscita a sopire momentaneamente il conflitto. «Per quanto ancora riuscirà a farlo?» ci chiediamo senza esternare in alcun modo il nostro pensiero. Con la crisi ucraina aperta e la guerra in Siria ancora in atto, un riacutizzarsi delle ostilità potrebbe creare un ulteriore problema per i precari equilibri dell’area.

Arthur ha postato un video su you tube, nel quale lo si vede compiere i più svariati esercizi ginnici, flessioni, piegamenti, corsa e volteggi alla sbarra, a torso nudo nel paesaggio innevato. Un filmato abbastanza lungo, da lasciare come ricordo ai suoi genitori nel caso fosse caduto nel conflitto. «Abbastanza lungo per riguardarlo e piangere», aggiunge la madre con poche parole appena sussurrate, mentre un velo di tristezza le offusca la voce.

Riccardo Cenci

Foto all’interno dell’articolo fornite da Arthur Sokhakyan

Immagine in evidenza estratta da You tube

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Riccardo Cenci
Riccardo Cenci. Laureato in Lingue e letterature straniere moderne ed in Lettere presso l’Università La Sapienza. Giornalista pubblicista, ha iniziato come critico nel campo della musica classica, per estendere in seguito la propria attività all’intero ambito culturale. Ha collaborato con numerosi quotidiani, periodici, radio e siti web. All’intensa attività giornalistica ha affiancato quella di docente e di scrittore. Ha pubblicato vari libri (raccolte di racconti e romanzi). Attualmente lavora come Dirigente presso l’Enpam.

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