Altra procedura Ue d’infrazione contro Varsavia

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Dopo le mancate ricollocazioni, per la legge “imbavaglia-giudici”: «minata l’indipendenza delle Corti». Alta tensione con Bruxelles e Strasburgo. E col presidente Andrzej Duda

Unione europea e Consiglio d’Europa contro l’attuale leadership in Polonia. Come abbiamo già scritto nei giorni scorsi da settimane vi è uno scontro su una riforma che minaccia di mettere il sistema giudiziario sotto il controllo del governo. La Commissione europea, come aveva più volte promesso, ha lanciato formalmente la procedura d’infrazione annunciata il 26 luglio, non appena la Gazzetta ufficiale polacca ha pubblicato una delle leggi contestate.

La norma in questione dà al ministro della Giustizia il potere discrezionale di prolungare il mandato dei giudici in età pensionabile e di nominare o revocare i presidenti dei tribunali, elementi che per Bruxelles e Strasburgo «ne minano l’indipendenza» consentendo al governo di «esercitare un’influenza sui giudici». Criticata, poi, anche la disparità di genere, con le donne mandate in pensione a 60 anni e gli uomini a 65.

   La Corte Suprema polacca a Varsavia

Ora Varsavia ha un mese di tempo per rispondere ma se le cose andranno come nel recente passato, dal governo polacco non arriverà alcuna apertura. Peraltro Jarosław Aleksander Kaczyński, il leader del Pis, il partito conservatore Diritto e giustizia nazionalista di destra al potere nel Paese, ha già fatto sapere nei giorni scorsi che la riforma della giustizia andrà avanti. Criticando il presidente Andrzej Duda (dello stesso partito di provenienza) per avere posto il veto su altre due leggi, che mettono nel mirino dell’esecutivo il Consiglio nazionale della magistratura e la Corte suprema.

È su quest’ultima che Bruxelles ha tracciato la sua linea rossa: se il governo di Beata Maria Kusińska, coniugata Szydło, cercherà di aggirare il veto per ottenere il potere di allontanare i giudici dell’Alta Corte, partirà subito la procedura per attivare le sanzioni più gravi previste dall’articolo 7 dei Trattati, con la sospensione del diritto di voto al Consiglio. Arma spuntata in partenza, tuttavia, per l’opposizione annunciata dell’Ungheria, anche lei in rotta di collisione con Bruxelles. Per far scattare l’art. 7 è infatti necessaria l’unanimità degli Stati dell’Unione europea.

   Frans Timmermans

Il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans, che segue il dossier, ha denunciato più volte la mancata volontà di dialogo da parte di Varsavia. Ora ha scritto di nuovo al ministro degli Esteri per reiterare l’invito a fare ripartire «quanto prima» le comunicazioni. Se la Polonia resterà in silenzio, tra un mese la procedura di infrazione potrebbe passare alla fase successiva, con una nuova lettera. Poi si finirà davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

Su un altro fronte la Polonia è sotto procedura d’infrazione, insieme a Repubblica Ceca e Ungheria: per inadempimento degli obblighi giuridici in materia di ricollocazione. Nei giorni scorsi la Commissione europea ha inviato un parere motivato ai tre Paesi, perché nonostante i ripetuti inviti ad agire e l’avvio, lo scorso mese (15 giugno con l’invio di una lettera di costituzione in mora), di procedure di infrazione, lrisposte fornite non sono risultate soddisfacenti in quanto non indicavano che tali Paesi avrebbero rapidamente iniziato le ricollocazioni nel loro territorio.

Le decisioni del Consiglio europeo impongono agli Stati membri di impegnarsi a mettere a disposizione posti per la ricollocazione ogni tre mesi al fine di garantire una procedura di ricollocazione rapida e ordinata. La Polonia non ha effettuato alcuna ricollocazione né preso alcun impegno dal dicembre 2015. I tre Paesi devono ora rispondere al parere motivato entro un mese, anziché entro il consueto termine di due mesi, vista la procedura d’urgenza. Se non rispondono o se le osservazioni presentate nella risposta non sono soddisfacenti, la Commissione può anche in questo caso decidere di passare alla fase successiva della procedura d’infrazione e adire la Corte di giustizia dell’Unione europea.

 

Elena Boschi

Foto © Wiki e Creative Commons, Consiglio d’Europa, Unione europea

(In apertura, a sinistra, i premier di Ungheria e Polonia Viktor Orban e Beata Szydło

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Elena Boschi
Aretina, classe '81. Laureata in giurisprudenza e storia, si avvicina all'attività multimediale dopo un master e anni di pratica pubblicistica, occupandosi principalmente di politica e cronaca nazionale. Ultimamente la sua attenzione e passione si cimenta con l'attualità europea, grazie anche alla collaborazione con una importante associazione internazionale.

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