Quando a Roma, nell’anno del Giubileo, imperava la ghigliottina

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Nell’Anno Santo del 1825 giunsero nella Città Eterna oltre 325.000 pellegrini provenienti da tutta Europa. Testimoni di esecuzioni avvenute spesso senza pietà

Era il 23 novembre del 1825, Anno Giubilare tenacemente voluto da Papa Leone XII, quando in Piazza del Popolo a Roma furono ghigliottinati i due carbonari Leonida Montanari e Angelo Targhini. Una targa, affissa sul muro, per chi supera la Porta del Popolo, ne ricorda l’esecuzione. Montanari era medico condotto a Rocca di Papa mentre Targhini era il figlio del cuoco del Papa. I due appartenevano alla società segreta “La Carboneria”. Gli appartenenti a questa “vendita carbonara” avevano idee e scopi abbastanza confusi nello spirito liberale che li animava ed erano scarsamente collegati tra di loro. Tutti volevano una costituzione che ponesse fine all’assolutismo. Alcuni propugnavano l’abolizione del potere temporale, mentre altri erano favorevoli all’idea di un regno costituzionale con il papa-re. Tra una moltitudine di folla vociante nella piazza, i due salirono sul patibolo. Si erano resi responsabili del ferimento di un certo Pontini, un carbonaro traditore che aveva “venduto” i suoi amici alla polizia pontificia. Montanari una sera, accompagnato dal Targhini incontrò il traditore e gli pianto tra le due scapole un pugnale. Il Pontini non morì e i due, nonostante si trattasse di una semplice ferita, furono imprigionati, processati e condannati a morte come rei di “lesa maestà e per ferite con pericolo”. Erano tempi in cui la diffusione delle idee carbonare procurava in Vaticano particolare apprensione, in quanto vivo era il ricordo di quando nel 1798, anno della proclamazione della Repubblica Romana, Papa Pio VI era stato prigioniero in Francia. Nel 1800 doveva essere indetto il ventesimo Giubileo ma la difficile situazione della Chiesa durante l’egemonia napoleonica, impedì a Pio VII, succedutogli, di indirlo. Il 24 maggio del 1800 il Papa concesse solo due settimane per lucrare l’indulgenza e questo Giubileo non è conteggiato tra gli Anni Santi ordinari.

mastrotitta-2Ritornando a Targhini e Montanari, non vi fu alcuna pietà per questi due carbonari come invece i familiari speravano nello spirito di perdono dell’anno giubilare, nonostante fossero giunte a Papa Leone XII, anche da famiglie nobili europee, richieste di commutare la pena di morte in ergastolo. L’esecutore fu Mastro Titta, figura storica ricordato come il “boja non solamente a Roma ma anche nelle Marche. A Jesi nel 1797 Mastro Titta eseguì la condanna a morte di Pacifico Santinelli, un ubriaco che condotto nelle carceri locali aveva strozzato il carceriere e sua moglie, a Porto Recanati ove eseguì lo squartamento del brigante Paolo Salvati, a Fermo ove nel 1805 ghigliottinò Luigi Masi che aveva commesso un assassinio e uno stupro. Mastro Titta era il diminutivo di Giambattista Bugatti e Mastro era inteso come “maestro di giustizia”. Ufficialmente faceva il verniciatore di ombrelli. Tra il 1796 e il 1864, quando andò “in pensione con 30 scudi al mese”, eseguì ben 516 condanne a morte. A Roma abitava in zona Borgo, così per eseguire le condanne a morte  che spesso si tenevano in Piazza Ponte Sant’Angelo, doveva “passare ponte”, espressione rimasta storica per la funzione alla quale era deputato. Mastro Titta andava all’appuntamento con la morte, intabarrato nel suo “mantello scarlatto”, cimelio esposto al Museo di Criminologia di Via Giulia, si confessava e si comunicava come ad un rito sacro. L’esecuzione costituiva un vero e proprio spettacolo, con il corteo del condannato aperto dal salmodiare delle confraternite, il drappello dei soldati disposti in quadrato, la folla vociante che lanciava invettive. Sul palco i tre attori: il condannato, il boia, il suo assistente. Nel momento in cui la mannaia calava sul collo del disgraziato i genitori presenti assestavano ai figli uno schiaffo «ammonitore perché servisse da esempio a non commettere cattive azioni». Alla fine del tragico evento restava il popolino, che sfollando dalla piazza, cercava una possibile interpretazione per ricavarne i numeri da giocare al lotto.

 

Giancarlo Cocco

Foto © Wikicommons

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Giancarlo Cocco
Laureato in Scienze Sociali ad indirizzo psicologico opera da oltre trenta anni come operatore della comunicazione. Ha iniziato la sua attività giornalistica presso l’area Comunicazione di Telecom Italia monitorando i summit europei, vanta collaborazioni con articoli sul mensile di Esperienza organo dell’associazione Seniores d’Azienda, è inserito nella redazione di News Continuare insieme dei Seniores di Telecom Italia ed è titolare della rubrica “Europa”, collabora con il mensile 50ePiù ed è accreditato per conto di questa rivista presso la Sala stampa Vaticana, l’ufficio stampa del Parlamento europeo e l’ufficio stampa del Ministero degli Affari Esteri. Dal 2010 è corrispondente da Roma del quotidiano on-line delle Marche Picusonline.

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