Quel sottile legame tra missili russi e forniture di gas all’Europa

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L’attacco all’Isis del 7 ottobre non è stata una scelta casuale: il lancio è avvenuto dal Mar Caspio, nuovo fronte della guerra energetica in cui Mosca è coinvolta

L’attacco missilistico lanciato dalla Russia il 7 ottobre scorso contro i guerriglieri dell’Isis ha colto di sorpresa un po’ tutte le cancellerie mondiali. A stupire non è stato tanto l’impiego di missili da crociera Kalibr (gli omologhi dei Tomahawk in dotazione alle forze Nato), quanto piuttosto il luogo da dove sono stati lanciati: il Mar Caspio, a quasi duemila chilometri di distanza dai loro bersagli dello Stato islamico. Ma se dal punto di vista militare il califfato di Al-Baghdadi era l’obiettivo principale delle unità navali della Kaspijskaja Flotilija (la Flottiglia della Caspio, come viene chiamata), dal punto di vista politico gli obiettivi russi erano altri. E se siano stati centrati, non è ancora chiaro.

Per capire cosa ci sia dietro il lancio di quei missili cruise, bisogna partire dal settembre dello scorso anno, quando i leader di Russia, Kazakhstan, Azerbaigian, Turkmenistan e Iran (foto in apertura) emisero una dichiarazione d’intenti congiunta finalizzata a una rapida definizione dello status politico del Mar Caspio: allora i cinque Paesi rivieraschi concordarono sulla necessità di una convenzione internazionale in grado di disciplinare lo sfruttamento delle risorse del bacino, in particolare delle sue ricchissime riserve di idrocarburi, stimate in 235 miliardi di barili di greggio (quasi un quarto dell’intero Medio Oriente) e oltre 9 trilioni di metri cubi di gas.

Nel corso degli ultimi dodici mesi, tre avvenimenti sono andati tuttavia a modificare sensibilmente gli equilibri di forza vigenti sulle rive del bacino, accrescendo nettamente il peso strategico dell’area rispetto a quello di appena un anno fa: la crisi ucraina, il rallentamento dell’economia cinese e la revoca dell’embargo occidentale all’Iran.

Dapprima la guerra nell’ex repubblica sovietica e le conseguenti sanzioni tra Russia e Ue hanno rafforzato non poco lo schieramento trasversale di coloro i quali, a Bruxelles come nelle capitali dell’Unione europea, ritengono ormai giunto il momento di tagliare il cordone ombelicale con le forniture di gas russe. Poi il costante calo del Pil cinese ha cominciato a farsi sentire anche sull’import energetico, tanto da spingere il Turkmenistan, uno dei principali fornitori di Pechino, a guardare all’Europa come nuovo redditizio mercato su cui vendere il proprio gas. Infine, l’accordo sul nucleare iraniano ha sciolto Teheran dalle sanzioni economiche, tanto che ora anche la Repubblica islamica punta a vendere il suo gas nel Vecchio Continente e guarda con interesse al Corridoio Meridionale (Southern Gas Corridor), la ciclopica opera che dal 2020, tramite i gasdotti trans-anatolico (Tanap) e trans-adriatico (Tap), trasporterà il gas dell’Azerbaigian fino in Puglia, da dove Snam Rete Gas provvederà poi a distribuirlo in Italia e in Europa.

Mar CaspioProprio l’Azerbaigian, alleato di ferro della Turchia, è il fulcro di questo nuovo asse strategico della Sponda Sud del Mar Caspio: ad agosto tra i governi di Baku e Teheran si sono tenuti dei primi colloqui sul ruolo di “tramite” che il gasdotto azero potrà avere riguardo all’export iraniano diretto a Occidente, mentre con il dirimpettaio Turkmenistan, gli azeri stanno già progettando la costruzione sotto il Mar Caspio del Trans-Caspian Pipeline (Tcp), un gasdotto in grado di allacciare entro il 2019 gli enormi giacimenti situati nelle province orientali turkmene al Corridoio Meridionale.

Queste manovre intorno al Southern Gas Corridor non possono piacere perciò alla Russia, che teme contraccolpi per il granitico monopolio di Gazprom sulle forniture energetiche all’Europa, peraltro già in calo nell’ultimo biennio. Se fino a ieri la concorrenza del solo gas azero poteva giusto infastidire il colosso energetico russo, il possibile arrivo sul mercato europeo di quello dal Turkmenistan e dall’Iran rischia seriamente di sfilare di mano ai russi la “clava energetica” con la quale hanno costruito gli ultimi dieci anni di rapporti, non sempre idilliaci e alla pari, con l’Ue.

Proprio in virtù di questi non facili trascorsi con Mosca, la costruzione del Southern Gas Corridor gode dell’ appoggio politico dell’Unione europea, che lo ritiene il degno successore di Nabucco, il gasdotto Ue progettato per garantire una prima diversificazione delle forniture energetiche, poi abbandonato per gli eccessivi costi di realizzazione. A conferma di ciò, basta solo ricordare che il Tap (ovvero la parte del Corridoio Meridionale che attraverserà i territori comunitari) non è stato bloccato dalle norme antitrust previste dal Terzo Pacchetto Energia, che proibiscono a una compagnia energetica di essere contemporaneamente proprietario e gestore di un’infrastruttura energetica: Bruxelles ha già concesso in tal senso una deroga alla Socar, la compagnia energetica di Stato dell’Azerbaigian azionista di maggioranza del Tap, dopo aver rifiutato lo stesso trattamento di favore alla Gazprom per il suo gasdotto South Stream.

Questa presa di posizione da parte dell’Ue preoccupa il Cremlino, che con l’apertura del Southern Gas Corridor potrebbe veder mutare gli equilibri del mercato energetico europeo a netto svantaggio della Gazprom. Il condizionale è d’obbligo, perchè il Corridoio Meridionale nasce essenzialmente come infrastruttura di trasporto del solo gas proveniente dal giacimento azero Shah Deniz 2: ciò significa che, dopo il taglio del nastro inaugurale, nell’hub italiano di San Foca, potranno arrivare ogni anno appena 10 miliardi di metri cubi di gas. Considerate le riserve disponibili, si tratta di un quantitativo che pone inevitabilmente la questione dell’inadeguatezza di Tap e Tanap a soddisfare la domanda europea.

Un’inadeAzerbaigianguatezza ancor più evidente, se si considera la capacità di trasporto da 63 miliardi di metri cubi annui di gas di Turkish Stream, il nuovo gasdotto diretto in Europa via Turchia che la Russia vuol costruire in sostituzione dell'”abortito” South Stream. A inizio estate la Socar aveva ipotizzato perfino un suo utilizzo per aumentare le consegne di gas all’Europa, prima che lo sviluppo del progetto s’impantanasse inaspettatamente nelle beghe politico-burocratiche tra Mosca e Ankara. Tramontata questa ipotesi, a oggi l’unico modo per far fronte a un incremento della richiesta energetica europea passa inevitabilmente per un raddoppio della portata del Tap da 10 a 20 miliardi di metri cubi annui. E un aspetto da non sottovalutare è che l’Iran, proprio in questa fase, potrebbe cogliere la palla al balzo ed entrare in gioco, non più soltanto come fruitore del gasdotto.

Con un’intervista all’agenzia turca Anadolu, il 18 agosto scorso il numero uno di Tap Ian Bradshaw ha smentito un ingresso di Teheran nel progetto («non abbiamo ricevuto proposte nè formulato inviti ufficiali» ha dichiarato il manager britannico), ma non ha nascosto l’effettivo interesse del governo iraniano a partecipare alla realizzazione del gasdotto euro-azero. Pochi giorni dopo infatti, Mahmoud Vaezi, ministro delle Comunicazioni di Teheran, ha annunciato che l’Iran intende cooperare con l’Azerbaigian nell’utilizzo del Corridoio Meridionale per far giungere il proprio gas sui mercati europei. Una dichiarazione che fa il paio con quella rilasciata a inizio agosto da Mehdi Mohtashami, a capo della Commissione azero-iraniana per la cooperazione economica, che aveva ribadito come il TAP resti per Teheran il canale privilegiato per l’esportazione di gas in Europa. Per gli iraniani il gasdotto trans-adriatico rappresenta una più che concreta alternativa al progetto di un nuovo gasdotto diretto verso l’Ue attraverso l’Iraq, la cui reale fattibilità è ritenuta un’incognita a causa della forte instabilità politica nel vicino territorio iracheno. Proprio per tale motivo, l’Iran potrebbe concentrare i suoi sforzi e le sue risorse sul Tap, acquisendo quote del progetto e mettendo a disposizione nuovi capitali da impiegare per arrivare, a medio termine, a un raddoppio della capacità di portata del gasdotto.

Questo inedito asse Baku-Ashgabat-Teheran ha messo per la prima volta la Russia in condizione di non riuscire a imporre propri diktat nel gruppo dei Caspian Five. Lo si è potuto notare in particolare dal muro-contro-muro con Azerbaigian e Turkmenistan per la realizzazione del Tcp, sulla cui costruzione Mosca ha sollevato obiezioni di natura ambientale e soprattutto politica, denunciando l’illegittimità di una decisione presa “a due”, che secondo il Cremlino avrebbe dovuto invece ricevere il placet anche delle altre nazioni che si affacciano sul Caspio. Tali accuse sono state seccamente respinte dai governi di Baku e Ashgabat, che hanno sottolineato il loro pieno diritto a realizzare l’infrastruttura, rivendicando la sovranità di una scelta che riguarda la loro politica energetica.

Putin con il presidente iraniano RouhaniIl recente interesse mostrato poi dalla Turchia verso il progetto azero-turkmeno e le minacce di Erdogan di affossare definitivamente Turkish Stream se Mosca in Siria continuerà a proteggere l’odiato Bashar al-Assad hanno fatto aumentare sulle sponde della Moscova il nervosismo, percepito anche durante la riunione dei vice-ministri degli Esteri delle nazioni del Mar Caspio tenuta a Mosca a inizio settembre. Con l’economia in recessione, il prezzo del petrolio in ribasso e quasi un terzo delle riserve di valuta estera “bruciate” lo scorso inverno per sostenere il rublo travolto dalla speculazione, Vladimir Putin non può permettersi una defaillance russa anche sulle forniture di gas all’Europa.

Il massiccio lancio missilistico di inizio ottobre indica dunque la chiara volontà del Cremlino di mostrare i muscoli agli occhi dei vicini Azerbaigian e Turkmenistan e del loro “padrino” turco, con lo scopo di riequilibrare rapidamente a proprio favore i nuovi assetti nel gruppo delle nazioni del Mar Caspio. Come poi si può facilmente dedurre dall’intensa attività diplomatica con Teheran, Mosca sta cercando di portare dalla sua parte l’Iran: il ruolo cruciale avuto dalla Russia nella trattativa sul nucleare e il fronte comune anti-Isis in Siria lasciano intendere che, nel corso dell’annunciata visita del presidente russo nella capitale iraniana, i temi da discutere con il suo omologo Rouhani non riguarderanno solo il futuro di Bashar al-Assad.

Alessandro Ronga (@alexronga)

Foto © Wikicommons

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Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

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