Terrorismo unisce, Trump divide su clima, commercio e migranti

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Cosa lega e i nodi che separano: il vertice del “Gruppo dei Sette Grandi” finisce come previsto. A Taormina si parlano due lingue diverse, ma se «i tedeschi sono cattivi»…

La presidenza italiana del vertice G7 dà un immagine di un mondo unito nella sfida contro il terrorismo, pronto a rafforzare misure e impegni comuni. Ma non riesce a fare passi avanti sul clima, che resta al palo, e chiude con un compromesso al ribasso sui migranti. È tutto racchiuso qui, a Taormina va in scena un film prevedibile e a tratti grottesco. Ma si è trattato – se si vanno a leggere i commenti in giro per il mondo – comunque di un successo. Se non altro per il turismo che potrà produrre…

Ma riavvolgiamo il nastro e partiamo dalla premessa. Al tavolo dei lavori, com’era facilmente prevedibile, pesa la posizione del neopresidente americano Donald Trump, che si propone disponibile al dialogo ma di fatto ripropone le tematiche con cui ha prepotentemente messo all’angolo la diplomazia pre e post elettorale e resta fermo sui suoi paletti. Non solo sull’accordo di Parigi sul clima, dove si trova schierati tutti contro (ma il peso Usa è determinante e non solo dal punto di vista politico) ma anche sulla questione dei migranti, ridimensionando le aspettative dell’Unione europea – anche se sappiamo bene che una buona parte ne condivide in silenzio (o meno) i pensieri – e della presidenza italiana.

Le questioni internazionali, in primis Siria, Libia e Corea del Nord, vedono i Sette Grandi  – mancando due grossi calibri come Cina e Russia – dalla stessa parte (quella statunitense, a onor del vero). Come suddetto, non sul clima e sui migranti. Ma un altro nodo è quello del commercio, un tavolo spinoso tra gli europei che spingono per il multilateralismo – qui tra presidente della Commissione europea, presidente del Consiglio europeo, e ben 3 Paesi (il Regno Unito è già proiettato sulla Brexit), Francia Germania e Italia, lo rappresentano anche numericamente – e il libero scambio e Trump che pensa a barriere, dazi e protezionismo. Pronto anche a stringere un accordo, ma semmai “a due”, con Theresa May e la sua Gran Bretagna, elezioni (prossime in Uk) confermando…

Ovviamente il primo ministro britannico, che ha lasciato Taormina in anticipo per tornare all’emergenza di Manchester, è rientrata in patria con l’attestato di solidarietà e vicinanza di tutto il vertice. Che non solo compatto condanna ogni forma di terrore, ma mette nero su bianco una dichiarazione – affidata simbolicamente nelle mani della May al momento della firma – per la lotta al terrorismo. Nel testo i leader si sono impegnati ad alzare il livello della battaglia comune: in particolare sullarete“, dove l’estremismo continua a fare proseliti – anche grazie a multinazionali del web come Google, che con YouTube lascia senza bloccarli video di propaganda jihadista – ma anche nella lotta ai foreign fighters, nella condivisione di dati e informazioni e nel taglio dei fondi e delle risorse, «linfa vitale» anche per chi cerca di radicalizzare i giovani che «minacciano i nostri interessi nazionali», come scrivono i Sette Grandi.

A dividere le posizioni, sul tavolo del G7, ci sono come scritto i temi del clima, commercio e dei migranti. In sintesi le divisioni sono le seguenti: sul clima gli Usa non si sono ancora espressi ufficialmente, ma dai tempi della campagna elettorale il tycoon si è detto pronto a cancellare gli impegni presi da Obama, perché l’accordo di Parigi costa troppo; sul commercio, naufragato oramai il Ttip (trattato di liberalizzazione commerciale transatlantico), i rischi delle barriere commerciali e del protezionismo incombe, sostenuti da quella parte del mondo (Stati Uniti in prima fila) che ritiene che la globalizzazione penalizzi i cittadini; sui migranti le differenze sono sul tema della sicurezza, con il controllo dei confini e la regolamentazione dei flussi, mentre si è d’accordo sull’approccio globale di lungo periodo e sul coinvolgimento dei Paesi d’origine, condividendo le responsabilità.

E infine continua a esserci dell’astio tra Trump e «i tedeschi», che «sono cattivi, molto cattivi». Ne aveva già scritto per Eurocomunicazione la collega Klivia (qui, qui e qui), il tycoon non ha mai risparmiato le critiche alla locomotiva tedesca e alla cancelliera Angela Merkel, accusata di approfittare di un euro sottovalutato e alla quale aveva negato la stretta di mano ad uso dei fotografi nello Studio ovale durante la sua visita alla Casa Bianca. A riportarlo il sito del Der Spiegel (settimanale tedesco più venduto, ndr) dopo l’incontro dell’altroieri a Bruxelles.

Ha provato a smorzare i toni il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, cercando di istradare il commento in un mero fraintendimento linguistico. Ma fatto è che l’attacco riportato dal popolare sito del giornale tedesco si aggiunge al lungo elenco di sgarbi e offese indirizzati all’Europa, sempre più retrocesso dal ruolo di alleato principale nella nuova politica statunitense (trumpiana) “America first“. E per un Paese alle prese con un deficit commerciale che ha toccato quota 500 miliardi di dollari, la frase confidata ai presidenti Ue Tusk e Juncker: «guardate quanti milioni di auto (i tedeschi) vendono negli Usa. È spaventoso e noi lo fermeremo» è quasi comprensibile. Poi bastava vedere l’altra sera il circuito televisivo interno al G7 che ha mostrato le immagini dei leader a tavola, con Trump e Merkel vicini a parlare fitto fitto. Probabilmente due modi di parlare e d’intendersi diversi, ma la cancelliera ha già dato dimostrazione di saper imbrigliare grandi imprenditori diventati leader politici

 

Claudia Lechner

Foto © G7Italy (Presidenza italiana del G7)

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