25 anni fa il genocidio dei Tutsi del Ruanda

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Intervista a Honorine Mujyambere, presidente di Ibuka Italia, l’associazione che tiene viva la memoria di un milione di morti e del massacro sistematico della minoranza

Ruanda, 7 aprile 1994. Quel giorno di 25 anni fa cominciava il massacro sistematico della minoranza Tutsi: una delle pagine più drammatiche e sanguinose della storia recente. Donne e bambini uccisi, famiglie intere sterminate a colpi di machete, mazze chiodate e armi da fuoco. Tre mesi di barbarie durante i quali non esistevano luoghi per nascondersi, perché nessun edificio, nemmeno le chiese, veniva risparmiato. Al termine, il 4 luglio, nel piccolo Stato dell’Africa orientale la conta dei morti supererà il milione.

Un genocidio di cui non si parlerà mai abbastanza, e sul quale molte verità devono probabilmente essere ancora scritte, ben vivo negli occhi e nella memoria dei sopravvissuti. Da allora la data di inizio della mattanza è stata scelta per commemorare gli innocenti caduti sotto i colpi degli aguzzini. Le Nazioni Unite hanno proclamato il 7 aprileGiornata internazionale di Riflessione sul Genocidio in Ruanda”.

                    Honorine Mujyambere

Honorine Mujyambere è la presidente di “Ibuka ItaliaMemoria e Giustizia”, un’associazione composta da italiani e ruandesi residenti nel nostro Paese, fondata «per non dimenticare». Ingegnere elettronico e delle telecomunicazioni, Honorine è sopravvissuta alla strage e vive a Milano da circa dieci anni.

  • Come è nata Ibuka Italia?

«Ho visto la carneficina intorno a me. Ero lì. Io sono riuscita a cavarmela, ma ho perso molti familiari. È difficile raccontare… Sono rimasta in Ruanda, mi sono laureata e poi ho raggiunto l’Italia per fare un master e il dottorato. Qui ho conosciuto altre persone scampate ai massacri. S’è formata una sorta di famiglia virtuale – “Igihozo”, questo il suo nome – dopo la disgregazione del genocidio, sulla base delle nostre storie e della comune origine. Insieme abbiamo cominciato a organizzare eventi commemorativi, fra tanti disagi e ostacoli, anche burocratici. Così ci siamo strutturati in un’associazione, affiancandoci alle altre Ibuka già esistenti in diversi Paesi europei. In questo modo è più facile promuovere manifestazioni pubbliche, sostenerci fra ruandesi».

  • Qual è la missione della vostra associazione?

«In realtà di missioni ne abbiamo due, legate sia alla memoria sia alla giustizia. Ibuka, in ruandese, vale la pena precisarlo, significaricorda”. Teniamo viva la memoria del genocidio per mezzo di commemorazioni e conferenze, ricordando le vittime. Allo stesso tempo chiediamo giustizia, perché ci sono tantissimi responsabili di quegli atti orribili che vivono ancora liberi in diverse nazioni del mondo, soprattutto europee. Con la nostra associazione promuoviamo iniziative utili a individuarli e a segnalarli alle autorità. Cerchiamo, inoltre, di contrastare ogni forma di negazionismo, banalizzazione o revisionismo su quanto accaduto. Non desideriamo vendette, ma giustizia: chi s’è macchiato di atti orripilanti deve essere processato. Coloro che sanno, ma rimangono in silenzio da 25 anni, devono mettersi una mano sulla coscienza».

  • Fra le vostre attività c’è anche quella di divulgare la conoscenza del genocidio fra i giovani?

«Sì, oltre a studi e ricerche, svolgiamo attività educative rivolte soprattutto alle nuove generazioni. Con la collaborazione delle municipalità italiane ed europee, intitoliamo dei luoghi di memoria alle vittime del genocidio (a Roma uno è al parco Virgiliano di via Nemorense, vedere foto di apertura, ndr). Sono la mamma di un piccolo di cinque anni e vorrei che crescesse, lui come tutti i bambini, in un mondo senza discriminazioni. Prima del genocidio, è bene raccontarlo, sulla carta di identità ruandese veniva specificata l’etnia: Tutsi o Hutu. Ora lo slogan di Ibuka Italia è “Mai più”: quello che è toccato a noi, non dovrà più ripetersi. Da nessuna altra parte, non solo in Africa».

Ogni 7 aprile Ibuka Italia organizza una particolare giornata di commemorazione e riflessione. Quest’anno la data cadrà di domenica e la manifestazione intitolata “Ricordare, Unire, Rinnovare” si terrà, come nel 2018, alla John Cabot University di Roma, l’ateneo americano con sede a Trastevere, a cura dell’Istituto Guarini per gli Affari Pubblici. Si ritroveranno insieme sopravvissuti, testimoni e studiosi. Sempre ad aprile, altre manifestazioni dell’associazione avranno luogo nella Capitale e poi, a Milano, a Tradate (Varese), dov’è prevista l’intitolazione di un luogo di memoria in un parco giochi per bambini, e a Genova.

 

Leonida Valeri

Foto © Ibuka Italia

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Leonida Valeri
Giornalista professionista e architetto, scrive su “Eurocomunicazione” e si occupa da oltre vent’anni di comunicazione istituzionale presso enti pubblici e privati. Ha iniziato come cronista al “Momento Sera” e all’“Indipendente”. È stato inviato per le pagine della Cultura e dei Motori del “Tempo” e autore di inchieste pubblicate dal “Giornale”. Ha scritto per il settimanale “Il Borghese” e ha curato la rubrica scientifica “La Mela di Isacco” per il mensile “Area”. S’è occupato di cronaca nazionale per “News Mediaset”. Ha scritto un format televisivo e un monologo teatrale sulla sicurezza stradale, “Strada Maestra” e “Testacoda”, un format per un giornale radio di news curiose, “Questa è Grossa”, ed è coautore di un format Tv sull’orientamento al lavoro, “Get the Job!”. Ha pubblicato un romanzo, intitolato “Missione Cocomero enoissiM oremocoC”, prendendo spunto da alcune notizie strane, ma vere, apparse negli anni sui media. È un pittore Effettista. Il suo dipinto “Sogno durante il lockdown” ha ricevuto la menzione della critica alla 43ª edizione del concorso “Medusa Aurea” dell’Accademia internazionale d’arte moderna

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