Addio al “tenore di vita”? Sentenza della Cassazione che farà scuola

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Ci si adegua anche in Italia a un nuovo modello di famiglia. Per alcuni commentatori si pone finalmente uomo e donna sullo stesso piano, anche nel diritto

Si tratta di una vera e propria rivoluzione il verdetto della Corte di Cassazione italiana che archivia iltenore di vita” goduto durante il matrimonio come parametro perenne che l’ex coniuge era (fino a ieri) tenuto ad assicurare con assegno alla persona divorziata. A differenza del resto d’Europa, infatti, nel Belpaese per alcuni ex coniugi c’è stato per trent’anni una quasi “condanna al mantenimento a vita“, che ora inevitabilmente subirà una qualche forma di aggiustamento.

Il nuovo parametro di valutazione sarà dunque quello di “spettanza“, basato sulla valutazione dell’indipendenza o dell’autosufficienza economica dell’ex coniuge che chiede l’aiuto dell’ex partner, compagno di una vita a due ormai dissolta. Come molti stanno commentando in queste ore la sentenza rischia di far passare un costume consolidato, un vero e proprio status symbol: quello della “sistemazione definitivache il matrimonio concedeva a uno dei due coniugi (spesso la consorte).

«Sposarsi», scrivono i supremi giudici nella sentenza 11504, è un «atto di libertà e autoresponsabilità» e se le cose vanno male si torna ad essere «persone singole», senza rendite di posizione. Anche perché, lo si è capito chiaramente negli anni, dover versare un assegno «può tradursi in un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia» e questo in violazione del diritto a rifarsi una vita riconosciuto dalla Corte di Strasburgo (Convenzione europea sui Diritti dell’Uomo, articolo 12) e dalla Carta fondante dell’Unione europea (articolo 9).

Il caso che ha generato questo cambiamento nel modo di pensare il diritto di famiglia italiano, è quello del divorzio nel 2013 tra un ex ministro della Repubblica e un’imprenditrice, sposati dal 1993. Lui le versa due milioni di euro durante la separazione – si noti che tra i motivi di dissidio ci sono anche i debiti accumulati dalla signora – sperando che non ci siano altre richieste. Ma si sbaglia. Perché l’ex moglie ricorre in Cassazione per avere anche una specie divitalizio” dopo che la Corte di Appello di Milano nel 2014 glielo aveva negato ritenendo incompleta la sua documentazione dei redditi, e considerando anche che l’ex marito aveva subito una “contrazione” delle sue entrate.

Ad avviso dei supremi giudici, la decisione milanese deve essere “corretta” perché a far perdere il diritto all’assegno alla ex partner non è il fatto che si suppone abbia redditi adeguati, ma la circostanza che i tempi ormai sono cambiati e occorre «superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come “sistemazione definitiva”». «Si deve quindi ritenere» – afferma il verdetto – «che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale».

Cosa vuol dire quest’ultima parte? Che d’ora in poi saranno passati ai raggixi beni, la disponibilità di una casa, e la capacità lavorativa, attuale o potenziale, di chi chiede l’assegno e «se è accertato che è economicamente indipendente o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto». Per Gian Ettore Gassani, avvocato matrimonialista, «si tratta di un terremoto giurisprudenziale in linea con gli orientamenti degli altri Paesi europei».

L’ex ministro – difeso dagli avvocati Ida Favero e Daniele Mariotti – è soddisfatto del verdetto, ma chiede il rispetto della richiesta di riservatezza stampigliata sul verdetto degli “ermellini” (come spesso ci si riferisce ai giudici della Cassazione, data la loro toga, ndr). Far calare il sipario su questa storia, oscurando i nomi dei protagonisti, è la richiesta che viene anche da Salvatore Santagata, legale della signora. Che Eurocomunicazione ovviamente rispetta.

S.E. Ernesto Lupo, primo presidente della Suprema Corte di Cassazione

Per quest’ultimo si è trattato di una sentenza «che lascia amaro in bocca e che stravolge quello che è stato l’orientamento costante degli ultimi 27 anni». Per l’avvocato Santagata, del foro di Bologna, la “rivoluzionaria” sentenza della Cassazione potrebbe essere l’ultima: «sono curioso di vedere se questo orientamento rimarrà fermo o se resterà un caso isolato». Il legale ricorda, infatti, che ad agosto scorso la stessa prima sezione civile della Cassazione aveva emesso un provvedimento interlocutorio sulla causa, sospendendola, e aveva chiesto al direttore dell’ufficio massimario una relazione tematica, cioé un approfondimento sulla giurisprudenza delle Corti di Strasburgo e Lussemburgo nonché delle Corti nazionali dei principali Paesi dell’Unione europea.

Aldilà del fatto «originale che una causa in Cassazione venga sospesa per questo motivo, perché di solito questo avviene quando si attende una pronuncia delle Sezioni unite e non per una ricerca di giurisprudenza», l’avvocato Santagata fa notare anche che «alle parti è stata negata la possibilità di prendere copia» della relazione del direttore del massimario e della giurisprudenza selezionata, gli atti su cui si suppone sia stata presa la decisione.

 

Claudia Lechner

Foto © Wikicommons

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