Femminista da sempre, fotografa, prima regista donna, la franco-belga si rimette in gioco in questa impresa poetica con l’energia e l’entusiasmo di una ragazza assieme a JR
Presentato a Roma in anteprima, presso lo storico cinema-teatro di Largo Ascianghi, il docu-film Visages, Villages di Agnès Varda e JR che ha raccolto numerosi premi internazionali come L’oeil d’or al Festival di Cannes, il Premio del Pubblico al Festival di Toronto, la nomination agli Oscar 2018 come miglior documentario. Agnès e JR si sono conosciuti casualmente a Parigi nel 2015 e hanno deciso di lavorare insieme e di girare un film nella Francia del Nord lontano dalle grandi città.
Agnès Varda nasce nel 1928 a Ixelles in Belgio poi si trasferisce da bambina a Parigi per seguire i corsi dell’Ecole du Louvre e la sera l’Ecole de Vaugirard sezione fotografia. Realizza la sua prima mostra fotografica nel 1954 nel cortile di casa, poi passa al cinema ed è autrice di numerosi corti e lungometraggi. L’11 novembre del 2017 è stata premiata con l’Oscar alla carriera. JR, fotografo, è del 1983 vive e lavora tra Parigi e New York e inizia nel 2001 la sua attività di incollare le immagini ingigantite riprese dalla macchina fotografica, sui muri delle città di tutto il mondo, nelle metropolitane, sui tetti di Parigi, fotografie monumentali in bianco e nero.
“Visages,Villages” è un film costruito su una idea piuttosto semplice, esplorare la Francia di provincia con un furgone-macchina fotografica capace di compiere magie. Le persone si siedono al suo interno in una specie di cabina per foto istantanee e ne vedono uscire con gioia e stupore, dal fianco del furgone, giganteschi ritratti in bianco e nero pronti per essere incollati alle pareti delle loro case.
È un film nomade pieno di immaginazione, ove capita di commuoversi quando Agnès e JR incontrano un anziano artista gitano di 78 anni che colleziona tappi e pur vivendo in una modesta casupola sembra aver scoperto il segreto della felicità. C’è poi Patricia l’ultima donna rimasta in un ex villaggio di minatori che si rifiuta di lasciare la sua casa, un anziano e gioviale postino, un agricoltore che da solo coltiva 800 ettari di terreno servendosi di macchinari altamente informatizzati, un allevatore che toglie le corna alle capre per ricavarne più profitto, e una allevatrice che invece rispetta gli animali e ha come custode del gregge un cavallo, gli operai e le operaie di una industria chimica, i portuali di Le Havre.
Su un bunker della seconda guerra mondiale abbandonato lungo la spiaggia di Saint-Aubin-sur-mer in Normandia, Agnès fa fissare la fotografia dell’amatissimo marito Jacques Demy morto nel 1990. Il risultato poetico e suggestivo è che purtroppo la gigantografia venne cancellata il giorno dopo da una alta marea. È anche un viaggio nella memoria intima perché nel suo girovagare Agnès ritrova gli amici che non ci sono più Guy Bourdin suo coetaneo che ella ritrasse quando ancora non era il celebre e innovativo fotografo della moda, e ancora Cartier-Bresson e la moglie.
Sono tracce potenti di vita quelle che questi due artisti lasciano dietro di sé. Un viaggio di scoperta ove Agnès è il motore di tutto, piccola donna dal caschetto bicolore, mai stanca e sempre curiosa. Un film sulla impossibilità di fermare il tempo che corre veloce, uno sguardo logorato dall’età e quello spavaldamente nascosto della gioventù trascorsa nei perenni occhiali di Godard e in quelli di JR.
Giancarlo Cocco
Foto © Giancarlo Cocco