Gli europei hanno deciso di votare

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Gli europei hanno deciso di votare. Il dato più significativo di questa elezione europea è stata l’affluenza alle urne, con gli oltre 400 milioni di europei chiamati a rinnovare il Parlamento europeo, sentore che conferma la necessità dell’Europa, pur con priorità da rafforzare e rinnovare. Non c’è stato il peggioramento previsto rispetto al 2009, con il 43,09% dei votanti a livello europeo che ha addirittura rafforzato seppur di poco il 43% del 2009. In Italia l’affluenza è stata in leggero calo fisiologico del 58%. In un momento difficile come quello che stiamo attraversando in Europa, un astensionismo massiccio avrebbe potuto causare danni notevoli al senso e all’efficacia dell’Europa. Anche se in molti Paesi il voto ha mirato di fatto a rafforzare o indebolire il governo nazionale, basta vedere i temi da politica nazionale che hanno spadroneggiato nelle campagne elettorali di molti Paesi mentre i temi europei sono stati quasi completamente assenti, il messaggio dei cittadini europei è stato chiaro. Alcuni Paesi, come in Francia, si è chiesta la linea dura con derive xenofobe, in altri come la Gran Bretagna si è voluto premiare un partito dichiaratamente euroscettico. Ma tutti i Paesi hanno voluto lanciare un messaggio a Bruxelles. Il paventato voto antieuropeo non c’è stato, dato che l’80% del nuovo Parlamento è formato da partiti che sono a favore dell’Europa, che guardano all’Europa ancora come un’opportunità, pur se da rimodulare. Se è vero che le campagne elettorali per il rinnovo del Parlamento europeo sono sempre più “nazionalizzate” e diventano sempre più un momento di riscontro per le politiche nazionali più che per quelle europee, è anche vero che quest’anno, per la prima volta, c’era la grande novità del confronto con i candidati dei maggiori gruppi politici europei alla presidenza della Commissione europea. Questo è stato il primo passo all’europeizzazione della campagna elettorale che si concreterà attraverso passi successivi e che dovrà necessariamente passare attraverso la creazione di partiti politici europei. Per il momento, almeno in Italia, ci siano accontentati di sortite sperimentali, si pensi al partito che fa capo al belga Guy Verhofstadt o al greco Alexis Tsipras. In futuro si dovrebbe votare per dei veri partiti politici europei. Un compito importantissimo che l’Italia potrebbe avviare già nel suo semestre di presidenza dell’Unione europea che scatta dal 1 luglio prossimo proprio in concomitanza con la prima sessione costitutiva del Parlamento europeo. L’Italia potrebbe facilitare l’europeizzazione di questa Europa che è ancora troppo legata ai temi nazionali dimenticando che gli interessi nazionali si realizzano proprio in Europa, dall’immigrazione, all’energia, dalla politica estera alla governance economica e monetaria. Ad ogni modo, i messaggi lanciati dagli europei che pure hanno votato con in testa i partiti nazionali, sono stati chiari con la preferenza per temi che toccano la vita dei cittadini. Per ora non c’è spazio per grandi ideali e progetti di future integrazioni e unioni politiche, dato il perdurare della crisi economica e della necessità di risposte quotidiane concrete. In questo contesto l’Italia, il cui Premier rappresenta una maggioranza forte nel gruppo politico dei socialisti europei S&D, si trova ad avere un’opportunità unica per far avanzare l’Europa dei cittadini. La palla passa ora nel campo di Jean-Claude Juncker, il candidato del gruppo europeo di centro destra PPE alla presidenza della Commissione europea, che è già al lavoro per trovare una maggioranza che lo sostenga. Sarà infatti Parlamento nel suo insieme a decidere sul merito, attraverso l’elezione di metà luglio a Strasburgo. Ci sarà infatti bisogno anche della compagine socialista per poter decidere attraverso un

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probabile accordo europeo, ma solo se il candidato del PPE saprà esprimere politiche che vanno al di là del manifesto conservatore. Juncker dovrà cedere su tasselli centrali che hanno caratterizzato

questa campagna presidenziale per i socialisti, con politiche per rafforzare il mercato interno e le nuove opportunità della sua agenda digitale, spostando l’asse europeo su strumenti per ridurre la disoccupazione e puntando sulla crescita oltre al rigore dei conti. I risultati, certo, sono stati molto variegati nei 28 Paesi membri dell’Unione europea, ma sempre in risposta a realtà concrete emerse dalle politiche nazionali. In Francia il voto contro François Hollande e a favore di un partito di estrema destra, in Gran Bretagna dove si è confermata una realtà sui generis rispetto al resto dell’Europa forte della pulsione antieuropea, o in Germania dove il voto – che ha visto confermata la coalizione di Governo con in testa la CDU di Angela Merkel – ha premiato il partito socialista Spd che esprimeva il candidato tedesco alla Presidenza della Commissione europea, Martin Schulz. L’attuale presidente del Parlamento europeo ha goduto infatti del vantaggio della lingua che gli ha permesso più degli altri candidati di trasformare la campagna elettorale da un esercizio tecnico di fioretto ad affondi di sciabola, superando steccati linguistici e culturali. Stesso discorso pur se in scala ridotta per il candidato della sinistra massimalista europea L’Altra Europa di Tsipras che si è affermato nel suo Paese di origine. E i partiti antieuropei dove andranno a sedersi al Parlamento europeo? Distinguiamo tra euroscettici e populisti da antieuropei con pulsioni xenofobe. Mentre i primi si riconoscono maggiormente nel gruppo conservatore dell’ECR (European Conservatives and reformists group) la seconda compagine, l’EFD (Europe of Freedom and Democracy) in cui siede il partito vittorioso in Gran Bretannia dello UKIP di Nigel Farage, è un raggruppamento antieuropeo ma non xenofobo. La situazione è diversa per il partito del Front Nazional di Marine Le Pen che siede già al Parlamento europeo nel gruppo dei non iscritti e le cui frange estreme potrebbero oggi decidere di creare un gruppo politico ex novo. Ma le difficoltà del passato non promettono bene. Per creare un gruppo politico europeo e contare davvero nell’Eurocamera, infatti, non occorrono “almeno” 25 deputati di 7 nazionalità diverse, ma un accordo politico programmatico che va al di là dei temi sui quali essere “contro” e che fino ad oggi hanno impedito la realizzazione di nuove formazioni politiche europee che sappiano mediare blocchi culturalmente diversi tra Nord e Sud dell’Europa. Dati i numeri e la varietà politica degli oltre 120 nuovi eletti sarà improbabile avere oltre a un nuovo gruppo politico europeo. Il nuovo Europarlamento che si delinea in questi primi giorni ha comunque una chance unica, quella di diventare l’ago della bilancia per un’Europa eurocostruttiva che sappia concretizzare le richieste e le necessità dei suoi 506 milioni di cittadini.

© 2014 European Parliament

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Andriko Mouapesi
Economista di formazione e giornalista iscritto dal 2005 all'elenco pubblicisti. Freelance per diversi media collabora attualmente con diverse testate online in particolare su EU affairs.

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