Mercoledì 20 sarà presentato il Manifesto della corrente pittorica che si oppone all’uso delle nuove tecnologie e che si ispira alle ricerche di Jean Pierre Changeux
«L’arte è la risposta. Sempre», dice con fermezza, scandendo le parole, la pittrice Francesca Romana Fragale, vicepresidente dell’Accademia internazionale di arte moderna (Aiam). Raccogliendo lo scettro di suo padre, il compianto maestro Franco Fragale, ingegnere e autore di un manuale di tecniche pittoriche (un suo quadro è alla Galleria nazionale di arte moderna), è divenuta leader di un gruppo di artisti italiani (ma non solo) di differenti età, alcuni già molto noti, altri in via di affermazione. Tutti con un punto in comune: si riconoscono nei valori di una nuova corrente che si appresta a lanciare pubblicamente il proprio Manifesto.
Il movimento si chiama Effettismo e loro, ovviamente, sono gli effettisti. Una novità per un settore in sonno che, dicono, sembra andare troppo d’accordo con lo sviluppo tecnologico e coi relativi dispositivi hi tech.
«Tengo a precisare» – spiega con fierezza Francesca Romana Fragale – «che rappresentiamo la prima corrente pittorica sorta dopo l’uso smodato del digitale nel settore artistico, a cui ci opponiamo». E ancora, tutto d’un fiato: «Noi effettisti ci ribelliamo al grigiore sociale, all’assopimento delle coscienze nella crisi generale che stiamo vivendo, a livello nazionale ma non solo. Crediamo nella forza del bello, nel ritorno alla libera ispirazione e nel futuro».
Ed ecco snocciolate alcune pillole del Manifesto. Gli effettisti si battono, e vogliono continuare a lottare, contro il «vuoto dei valori» e la passiva omologazione delle opere. Aborrono l’arte prestampata utilizzata per arredare, il ricorso al computer. Guardano ai grandi del passato. Caldeggiano il ritorno al pennello e ai veri colori, seppur aggiornati. Puntano sull’estro: «Il quadro deve essere originale, frutto della singola ed esclusiva creatività dell’autore». Il dipinto non dovrebbe avere bisogno di spiegazioni: con i suoi «effetti» – figurativo o astratto che sia – è chiamato a generare stupore, a toccare l’animo, a creare un immediato legame empatico con l’osservatore. L’opera parla in silenzio.
In questo senso, gli effettisti hanno studiato con attenzione le ricerche di Jean Pierre Changeux, professore di neuroscienze dell’Istituto Pasteur di Parigi, che ha indagato la relazione tra arte e cervello umano: «Il dipinto deve colpire entrambi gli emisferi del cervello: il destro, quindi l’emozione, quanto il sinistro, cioè la ragione».
Bene. Il movimento sta moltiplicando i proseliti e ha organizzato in grande il proprio battesimo artistico. Quando? È presto detto. Mercoledì prossimo, 20 novembre, avrà luogo il vernissage della prima mostra italiana con le «migliori opere effettiste». L’evento si terrà a Roma, alle 18.30, nella Cappella Orsini di via di Grotta Pinta 21, nei pressi di Campo de’ Fiori, centro storico. Il clou sarà la presentazione ufficiale del Manifesto dei valori. L’esposizione rimarrà poi aperta, gratuitamente, fino al 28 di questo mese. Ultima chicca: ha aderito alla corrente ed esibirà i suoi quadri anche José Dalí.
Leonida Valeri
Foto © Francesca Romana Fragale
La descrizione dei principi ispiratori del movimento, è in linea con le mie vedute, specie in relazione agli esiti di partecipazione interiore che deve suscitare un’opera (come si evince, anche,
da quanto ho esaurientemente espresso dell’Atlante dell’arte contemporanea 2019).
Formulo le migliori fortune al nascituro movimento.