Brexit Blues, il nuovo libro di Marco Varvello

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L’ormai storico inviato RAI da Londra presenta il suo romanzo, una serie di storie dalla City cosmopolita unite dal filo comune sull’uscita dall’Unione europea del Regno Unito

«Feeling blue» è l’espressione che, per i britannici, indica la malinconia. È il colore del cielo e del mare che si riflettono l’uno nell’altro, per estensione è arrivato a definire «il disagio, il male di vivere». E il blues è la musica che «ha dato voce al dolore». Brexit Blues è il nuovo libro di Marco Varvello, giornalista RAI con una lunga storia di corrispondenza da Londra intervallata da qualche anno a Berlino. Statisticamente uno dei circa 700 mila cittadini europei residenti Oltremanica, ormai con qualche grattacapo in meno, avendo ottenuto anche il passaporto britannico e scelto Londra come seconda casa.

Ma non è stato certo lo stesso destino per tutti. Così, a metà tra il romanzo e l’informazione, Varvello ha deciso di raccontare in Brexit Blues una serie di storie verosimili tra quelle che compongono il complesso mosaico del Regno Unito e soprattutto londinese: una città cosmopolita per antonomasia, vuoi per l’attrattiva senza confini, vuoi per il discutibile passato coloniale.

David e Luisa sono una coppia mista, ingegnere lui, violoncellista lei. Vivono in una delle tante zone colpite dalla gentrificazione, dove convivono realtà popolari e benestanti che non sempre si integrano alla perfezione. David risente della tensione tra classi ed etnie, sullo sfondo la propaganda pro Brexit alimenta le divisioni. I laburisti d’altro canto sono piuttosto tiepidi nel difendere le ragioni dell’Unione europea, specie sul diritto del lavoro e il finanziamento della cultura. Uno «scaremonger», terrorismo psicologico continuo, che punta il dito su italiani e polacchi, rumeni e spagnoli, un peso per il welfare.

Non che non sia mai vero, per carità, ma guai a generalizzare. La seconda storia riguarda Andrei, rumeno arrivato in Inghilterra subito dopo la caduta del comunismo nel suo Paese. Dopo un inizio da clandestino, con impieghi da muratore al servizio dei polacchi, comincia a ingranare grazie anche al boom edilizio della Londra dei primi anni ’90. Nonostante la posizione ormai guadagnata, si trova a frodare il servizio sanitario locale (NHS). Sfrutta la cittadinanza e fa da riferimento per parenti vicini e lontani, in modo da fargli ottenere le necessarie cure mettendole a suo carico.

Piccoli espedienti che vengono usati talvolta anche dalle madri single, come la berlinese Samantha, giovane mamma – anche troppo – per avere il supporto dai suoi genitori. Non che il padre del piccolo sia meglio: britannico di Bradford, lavora in nero per non perdere il sussidio di disoccupazione.

L’economia è uno degli argomenti che ha caratterizzato la discussione sulla Brexit. Basta paletti, regole, restrizioni e pagamenti a Bruxelles, anche se poi qualcosa in cambio tornava pure. La pensa così anche Mike, originario del Sudan. Dopo aver trattato diamanti nel cuore finanziario della capitale, la City, apre al sanguinario mercato del cobalto e altri minerali ormai più preziosi perché di uso comune, come per le batterie di computer e telefoni. Mike è uno dei tanti che «fluttua nella bolla degli expats» e tutto sommato è contento che i lacci dell’Ue si allentino, per scappare a più pressanti norme antiriciclaggio, contromisure ai soliti scandali.

Ma c’è l’altro lato della medaglia, i ridimensionamenti di aziende che vedono restringersi gli spazi di mercato, i licenziamenti, con la vergogna di finire a elemosinare qualche spiccio in metropolitana.

Il denaro farà anche girare il mondo, ma l’Ue era pur sempre nata secondo altri principi, come la solidarietà. Per poi dimenticarli in fretta, lo sanno bene Charlie e Jackie. Lavorano al campo migranti di Matrei Am Brenner, tra Austria e Italia, lui come funzionario ONU, lei, scozzese e quindi anti-Brexit se non altro per andare contro i colonizzatori, una di quei clown che cercano di allietare i più piccoli in situazioni difficili. Hanno testimoniato l’ipocrisia di un’Europa che critica l’egoismo e l’isolazionismo britannico per poi comportarsi nella stessa maniera.

Quindi si chiude con Giovanni detto John, italiano, da vent’anni in Inghilterra con un impiego nella ristorazione ma il sogno di aprire un suo locale a Milano. Dal carattere preciso e puntiglioso, Giovanni si muove con largo anticipo ai primi sentori di Brexit per avere la residenza permanente senza brutte sorprese, che puntualmente arriveranno. E come per lui, per centinaia di altre persone.

«Per questo mi fa male questo blues. Risuona malinconico, come alle origini, canto di dolore e nostalgia. Lo spirito di Brexit ha già lasciato il segno sulla vita della metropoli. Ha graffiato la sua faticosa ma bellissima convivenza globale».

 

Raisa Ambros

Foto © Advertising Producers Association; Marco Varvello

 

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Raisa Ambros
Giornalista pubblicista specializzata in geopolitica, migrazioni, intercultura e politiche sociali. Vive tra l’Italia e l’Inghilterra. Sceneggiatrice, autrice televisiva e conduttrice di programmi TV con un’esperienza decennale in televisione, Raisa è stata parte del team di docenti nel corso di giornalismo “Infomigranti” a Piuculture, il settimanale dove ha pubblicato e svolto volontariato di traduzione. Parla cinque lingue e viene spesso invitata nelle conferenze come relatrice sulle politiche di integrazione.

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