Nel corso del breakfast organizzato dal BCI, il rappresentante della Farnesina a Londra Raffaele Trombetta ha rassicurato sulle conseguenze dell’uscita dall’Ue dell’UK
«L’Italia ha una posizione costruttiva nel negoziato per la Brexit. Siamo in prima linea». A dirlo è l’ambasciatore italiano a Londra Raffaele Trombetta, intervenuto al breakfast organizzato dal Business Club Italia, il think tank con sede nella capitale britannica che coinvolge imprenditori e professionisti italiani residenti Oltremanica.
Il tema caldo è sempre quello dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, fissato per il 29 marzo, ma in piena fase di trattative per definire le condizioni della separazione e il futuro della circolazione di beni e persone, soprattutto di cittadini e aziende comunitarie già trasferiti in Gran Bretagna.
«L’ambasciata italiana a Londra è stata molto attiva a mobilitare le altre ambasciate», al centro i diritti dei cittadini Ue residenti, «molti sono qui da venti o trent’anni e ora non sanno come muoversi», così sono frequenti le notifiche e le comunicazioni sulle conseguenze giuridiche che comporterà la Brexit. Il Governo di Downing Street ha sempre rassicurato chi già si trovasse sul suo suolo, per gli altri europei la situazione è in divenire e potrà essere modificata dall’esito dei negoziati.
Stando agli ultimi aggiornamenti, ci dovrebbe essere un periodo di transizione fino al 2020, dopo il quale gli europei saranno trattati alla stregua degli abitanti del resto del mondo, senza trattamenti di favore. Le previsioni dicono di una diminuzione dell’80% del flusso di persone dall’Europa in base alle qualifiche lavorative. «Bisognerà intervenire sulle questioni doganali, dei trasporti, della salute, sullo status dei cittadini in concerto con tutte le parti».
L’attuale assenza di accordi sta aumentando i rischi di un no deal, ipotesi ancora remota ma, secondo tutti, da scongiurare. In quel caso ci sarebbe un drastico calo del commercio bilaterale con il Regno Unito, «sarebbe un caos totale», ma c’è fiducia sul fatto che alla fine le parti convergeranno. Potrebbero risultare decisivi i prossimi appuntamenti del Consiglio d’Europa del 17 e 18 novembre. Anche in caso di un’altra fumata nera, la speranza sarà riposta negli incontri negoziali di dicembre.
Al momento, Bruxelles ha respinto il cosiddetto piano Chequers, dalla residenza estiva dei primi ministri britannici, che prevede una transizione per la libera circolazione di persone e merci attraverso la Gran Bretagna senza particolari status per l’Irlanda del Nord, affinché non ci siano differenze tra Paesi membri del Regno. La soluzione non piace all’Ue, perché concederebbe eccessivi privilegi a chi vuole andarsene – praticamente di rinunciare ai doveri ma non ai diritti, definiti «ciliegina sulla torta» dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.
Viceversa, il Regno Unito ha respinto il backstop, l’idea di concedere condizioni esclusive all’Irlanda del Nord, abolendo di fatto le frontiere con l’Eire, che verrebbero per forza a crearsi dopo l’uscita dall’Ue ma che violerebbero l’Accordo del Venerdì Santo, il trattato di pace datato 1998 che sancì la fine del sanguinoso periodo di terrorismo nell’Ulster.
Sarà importante soprattutto concordare regole per monitorare i diritti dei cittadini, un punto focale è il ricongiungimento familiare, per cui comunque varranno le più permissive regole europee per tutto il periodo di transizione. Per quanto riguarda i trattati commerciali invece, una delle priorità sarà la salvaguardia del made in Italy, ma si discute anche sulla distribuzione dei fondi e delle politiche di investimento europee.
Se l’Ue non è totalmente compatta sulla linea da seguire nelle trattative, al di là della Manica non va molto meglio. Oltre all’opposizione, l’esecutivo è spaccato al suo interno tra fautori della hard brexit, guidati dall’ex ministro degli Esteri e sindaco di Londra Boris Johnson, e più moderati sostenitori della soft Brexit, come la premier Theresa May, che sperano in qualche margine per mantenere alcuni rapporti economici.
Secondo molti sondaggi, se si rivotasse ora il quesito “Leave or Stay”, il risultato potrebbe essere diverso. Per questo i laburisti di Jeremy Corbin sperano di tornare alle urne non solo per un nuovo esecutivo ma anche per ripetere il referendum. Nonostante le manifestazioni in tal senso, questa strada sembra difficilmente percorribile.
In questa fase di incertezza e preoccupazione, non manca tuttavia il sostegno dalla madrepatria. C’è una commissione parlamentare – in Italia – che si riunisce costantemente, raccogliendo esigenze e proposte in materia. C’è grande attenzione su tutti i temi elencati, conferma Trombetta. Anche se fino al 2020 non dovrebbe cambiare nulla, molti cittadini italiani stanno già pensando a come cautelarsi per il futuro.
Trombetta ha parlato di un boom di iscrizioni all’Aire, l’Anagrafe italiani residenti all’estero. I registrati sarebbero oltre 260 mila a fronte di 600 mila residenti oltremanica. Le autorità britanniche non la richiedono, domandando altre prove documentali sulla presenza e l’esercizio dei propri diritti, ma dopo la Brexit per gli italiani, così come per gli altri europei, saranno necessari certificati che testimonino una residenza antecedente il referendum e qui il supporto dell’Aire potrebbe essere di fondamentale aiuto.
Per chi intenderà trasferirsi dopo la Brexit, tutto dipenderà dagli accordi tra Londra e Bruxelles, la mancanza di intese in tal senso porterà drasticamente la Gran Bretagna in una posizione paritaria con tutti gli altri Paesi che mai hanno fatto parte dell’Ue.
In ogni caso, deal o no deal, «continueremo a tutelare gli interessi dell’Italia e degli italiani», chiude Trombetta, «cercando di mantenere tutto quello che abbiamo ottenuto».
Raisa Ambros
Foto © Business Club Italia; Matt Pople