Cambiamenti climatici, la road map dell’Ue nel lungo termine

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Il 22 aprile si terrà l’Earth Day, promossa dalle Nazioni Unite. Danimarca la più virtuosa nelle politiche ambientali, l’Italia è undicesima nel rapporto Germanwatch

Circa un mese fa, dalle 20.30 alle 21.30 del 19 marzo, si è tenuta la decima edizione dell’Earth Hour, l’Ora della Terra, appuntamento organizzato dal Wwf contro il cambiamento climatico. Luci spente per 60 minuti in migliaia di città e centinaia di Paesi, con il coinvolgimento di istituzioni e privati (vedi link). Il 22 aprile, un mese e due giorni dopo l’equinozio di primavera, come ormai da tradizione, sarà la volta dell’Earth Day, la Giornata della Terra, la più grande manifestazione ambientale del Pianeta promossa dalle Nazioni Unite. Dopo la Conferenza di Parigi sul clima dello scorso dicembre, come si sta muovendo l’Unione europea per arrivare al raggiungimento degli obiettivi fissati?

A inizio mese, la Commissione europea ha presentato una relazione che guarda ai prossimi passi da muovere e il vicepresidente dell’Unione per l’Energia Maroš Šefčovič ha parlato di «forte segnale di transizione verso un’energia pulita» a livello globale, nella speranza che si investa nel settore e si creino «crescita e posti di lavoro» e «opportunità per le nostre città». Il commissario per l’Azione Climatica e l’Energia Miguel Arias Cañete ha confermato che gli accordi presi a Parigi saranno in vigore entro il 2030. Nei prossimi mesi saranno quindi presentate le proposte di legge, comprese le decisioni sulla condivisione degli sforzi per settori non coperti dal sistema commerciale europeo e sullo sfruttamento del suolo e delle foreste, così come normative affidabili e trasparenti per dopo il 2020.

Dopo pochi giorni si è tenuto un dibattito con i ministri dell’Ambiente, che ha enfatizzato l’urgenza di implementare gli accordi di Parigi sul cambiamento climatico. Tutti concordi nel ratificare gli accordi e sul fatto che l’Europa debba partecipare al Facilitative Dialogue 2018 dell’UnfcccUnited Nations Framework Convention on Climate Change. Cañete, nel corso del dibattito, ha sottolineato come l’Unione europea debba attenersi agli impegni presi a Parigi, rinforzando la cornice legislativa su clima ed energia. «Serviranno trasformazioni significative dell’economia europea nell’energia, trasporti, edilizia, agricoltura. Non sarà facile, ma siamo determinati. È il primo passo verso un’economia a basse emissioni di carbonio».

Ma andiamo a vedere nel dettaglio quali sono gli obiettivi chiave, priorità fondamentali per l’Ue. Entro il 2020 si dovranno ridurre del 20% le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, portare al 20% la quota di energie rinnovabili nel consumo totale di energia e aumentare del 20% l’efficienza energetica. Entro il 2030 invece le stesse azioni avranno rispettivamente le percentuali di 40%, 27% e 27%. Per quanto riguarda il lungo termine, l’Ue intende ridurre le emissioni dell’80-95% entro il 2050, rendendo la propria economia ad elevata efficienza energetica e a basse emissioni di carbonio.

Per raggiungere questi scopi è stata studiata un’azione che combina misure normative e di sostegno finanziario. Almeno il 20% del bilancio Ue per il periodo 2014-2020, 960 miliardi di euro, dovrebbe essere speso per proteggere il clima e a questi soldi si dovrebbero aggiungere i finanziamenti dei singoli Stati membri. I Paesi in via di Sviluppo hanno già ricevuto più di 7 miliardi fra il 2010 e il 2012 e continuano ad avere incentivi in tal senso. L’Unione finanzierà anche progetti di dimostrazione delle tecnologie energetiche a basse emissioni mediante la vendita di certificati, comprese tecnologie per catturare l’anidride carbonica e stoccarla nel sottosuolo. I Paesi sono quindi tenuti a promuovere fonti rinnovabili, come eolico, solare e biomassa, riducendo i consumi degli edifici e migliorando l’efficienza delle industrie. Ovviamente non è escluso il settore automobilistico – non a caso ci fu lo scandalo Volkswagen, con l’alterazione dei risultati dei test da parte della casa tedesca.

Su esortazione della Commissione, diversi Paesi hanno già messo a punto strategie di adattamento nella riduzione del consumo di acqua, adeguamento delle norme nel campo dell’edilizia, costruzione di sistemi di difesa dalle alluvioni e sviluppo di colture più resistenti in condizioni di siccità. Per prevenire gli effetti più infausti dei cambiamenti climatici, occorre mantenere il riscaldamento globale sotto i 2° centigradi rispetto alla temperatura media dell’epoca preindustriale, obiettivo già concordato nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite del 1992. Prove scientifiche riportano infatti che senza interventi decisi, entro la fine di questo secolo il riscaldamento globale potrebbe raggiungere addirittura i 5° C.

Nel complesso l’Ue produce circa l’11% dei gas mondiali, ma non secondo un’equa distribuzione. Motivo per cui gli obiettivi nazionali riguardo le energie rinnovabili per il 2020 non sono gli stessi per tutti i Paesi membri: se Malta dovrà arrivare al 10%, la più virtuosa Svezia punterà al 49%. La classifica stilata da Germanwatch nel rapporto annuale 2016 (https://germanwatch.org/en/download/13626.pdf) vede diversi Stati europei nella top 10 sulle prestazioni climatiche di 58 Paesi del mondo che insieme rappresentano circa il 90% delle emissioni. In realtà le tre prime posizioni non sono state attribuite perché nessuno ha ancora raggiunto risultati così significativi da combattere effettivamente i cambiamenti climatici e rimanere sotto la fatidica soglia dei 2°. L’indice usato come parametro è il Ccpi (Climate Change Performance Index), combinazione al 60% di emissioni (annue e la loro tendenza), al 20% di sviluppo delle energie rinnovabili e di efficienza energetica e per il restante 20% di politiche climatiche nazionali e internazionali.

Quarta – quindi al netto prima – c’è la Danimarca, per il quinto anno consecutivo. Gli scandinavi costituiscono un modello sotto tutti i punti di vista. A seguire, recuperando terreno, Regno Unito e Svezia. I britannici continuano ad espandersi nel campo delle rinnovabili e il Governo ha annunciato a novembre 2015 un programma per la riduzione di emissioni senza scadenza. La Svezia invece conduce per quanto riguarda l’efficienza e l’uso delle rinnovabili, migliorando leggermente anche i livelli di emissioni. Dopo il Belgio settimo, c’è la Francia padrona di casa della Conferenza sul Clima. I transalpini hanno scalato sei posizioni e sono il Paese del G7 con il minor tasso procapite di emissioni. Le rinnovabili sono ancora sotto la media, ma il loro utilizzo è in crescita. Cipro e Marocco chiudono le prime dieci posizioni.

All’undicesimo posto, in salita dal sedicesimo di un anno prima, c’è l’Italia, grazie a una riduzione di emissioni del 16,1% nel 2013, con riferimento sempre al 1990. Sulle rinnovabili siamo al sesto posto per la tendenza a sviluppare fonti pulite, tuttavia rimaniamo in fondo alla graduatoria delle politiche nazionali per il clima, solamente cinquantunesimi. Male la Germania, ventiduesima dopo diversi anni di leadership, ma i suoi obiettivi sono anche più ambiziosi rispetto a quelli dell’Unione europea.

Nel totale si segnala un trend positivo per le rinnovabili, che nel 2014 hanno registrato il 59% della nuova potenza elettrica installata a livello globale, superando per la prima volta la somma di centrali fossili e nucleari. Finora gli impegni presi da 185 Paesi in seno alla Conferenza Onu sul Clima non basterebbero, perché secondo gli studi del centro ricerche Climate Action Tracker (Cat) provocherebbero un aumento medio della temperatura di 2,7° C nel lungo periodo, addirittura con riferimento al 2100. Sarebbe sufficiente, secondo il Cat, che Ue, Cina, India, Giappone e Russia espandessero gli investimenti in politiche climatiche per ridurre il divario dall’obiettivo 2° del 25-45% e quello di 1,5° del 20-34%.

Raisa Ambros

Foto ©  Gruppo Acquisto Auto elettriche GAA

 

 

 

 

 

 

 

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Raisa Ambros
Giornalista pubblicista specializzata in geopolitica, migrazioni, intercultura e politiche sociali. Vive tra l’Italia e l’Inghilterra. Sceneggiatrice, autrice televisiva e conduttrice di programmi TV con un’esperienza decennale in televisione, Raisa è stata parte del team di docenti nel corso di giornalismo “Infomigranti” a Piuculture, il settimanale dove ha pubblicato e svolto volontariato di traduzione. Parla cinque lingue e viene spesso invitata nelle conferenze come relatrice sulle politiche di integrazione.

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