Chiuso a Roma il primo Festival istituzionale del Cinema Turco

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Ospite d’onore Nuri Bilge Ceylan, regista pluripremiato a Cannes, il quale ha raccontato il proprio percorso artistico e la poetica che è alla base delle sue opere

C’è una scena nel film L’albero dei frutti selvatici di Nuri Bilge Ceylan, titolo scelto per l’inaugurazione del primo Festival del Cinema Turco, organizzato dall’Istituto Yunus Emre presso la Casa del Cinema, particolarmente indicativa della poetica del regista. Sinan, il protagonista, incontra una sua ex compagna di scuola e le confessa di voler lasciare quella terra dove sente di non avere un futuro. La ragazza si scioglie i capelli, mentre le fronde fremono al vento in un brivido di erotismo represso. I due si baciano, ma il loro destino è comunque segnato. Un rimpianto dal sapore proustiano gli aleggia attorno. Lei sposerà un uomo che non ama per sfuggire i ristretti limiti della vita provinciale, mentre lui seguiterà a interrogarsi, cercando invano di eludere il destino dei padri.

Parte da qui la conversazione con il grande regista moderata dal giornalista Riccardo Cenci, un dibattito particolarmente vivo che ha registrato un’animata partecipazione di pubblico. «Sembra tutto molto vicino, ma non lo è. È tutto molto lontano», aggiunge la ragazza quasi evocando il titolo di un noto film di Wim Wenders. I personaggi di Ceylan vivono uno smarrimento lacerante, un distacco dal reale che è la cifra della sua cinematografia.

Alla base della narrazione c’è il conflitto generazionale, una rivolta nei confronti del padre e della società dalle sfumature fortemente ambigue. Motore dell’azione il senso di colpa provato da Sinan, il quale sente dentro di sè la presenza delle generazioni che lo hanno preceduto. Il pero selvatico del titolo è allora una sorta di tara ereditaria, una stortura alla quale non è possibile sottrarsi. Se Idris da un lato non è certo un genitore esemplare, dall’altro è l’unico che si prenderà la briga di leggere il libro pubblicato dal figlio, marcando le coordinate di una vicinanza inaspettata che sembra additare una speranza di redenzione.

Insieme a L’albero dei frutti selvatici, gli spettatori hanno potuto ammirare Il regno d’inverno, Palma d’oro al Festival di Cannes nel 2014. Una pellicola dall’afflato fortemente letterario, basata sugli influssi della letteratura russa, in particolare di Dostoevskij ma specialmente di Čechov, autore molto amato dal regista. Sollecitato al riguardo, Ceylan non ha escluso che il suo cinema possa deviare dal taglio teatrale che ha caratterizzato le ultime opere, intraprendendo strade diverse e inaspettate.

Il Festival, fortemente voluto dalla direttrice dal Centro Culturale Turco di Roma Sevim Aktaş, ambisce diffondere la cultura cinematografica di questo Paese, in grande espansione in anni recenti. Accanto alle opere di Ceylan, il più noto cineasta turco del nostro tempo, il pubblico ha potuto assistere a proiezioni di grande interesse.

Fra le altre segnaliamo Latte (2008) di Semin Kaplanoğlu, una storia di formazione ambientata in Anatolia, Qualcosa di utile (2017) della regista Pelin Esmer, una riflessione molto peculiare sullo scottante tema dell’eutanasia, e Il caldo giallo (2017) di Fikret Reyhan, una narrazione assolutamente priva di retorica delle difficili condizioni dei braccianti nella Turchia contemporanea.

Il Festival, che avrà cadenza annuale, si inserisce in un vasto progetto di iniziative ed eventi, volti a rafforzare i legami culturali fra la Turchia e il Belpaese. L’evento è stato organizzato con la collaborazione del gruppo italiano di consulenza diplomatica Easy Diplomacy e con Eurocomunicazione.

 

Claudia Lechner

Foto © Yunus Emre Roma

 

 

 

 

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