Dopo lunghi negoziati tra Commissione, Parlamento e Consiglio, entra in vigore una nuova legge per bloccare la strada ai minerali importati da zone di guerra.
D’ora in poi gli Stati membri dell’Unione europea non potranno più comprare i cosiddetti minerali insanguinati. La vendita di coltan, tungsteno, cobalto, stagno, tantalio e oro è spesso fonte di finanziamento per gruppi armati nelle aree di conflitto, a cominciare dall’Africa. Un provvedimento che riguarderà soltanto gli importatori di minerali grezzi e quelle aziende (fonderie e raffinerie) che procedono alla prima trasformazione. Esclusi invece dal divieto i metalli e minerali contenuti nei prodotti industriali già finiti, cioè computer, cellulari, macchine e gioielli, importati dal vecchio continente.
«Abbiamo raggiunto un accordo politico sugli obblighi legali per la parte a monte della catena di rifornimento di questi minerali, che includono fonderie e raffinerie (…) Una regolamentazione che prova come l’Europa, il maggiore blocco commerciale al mondo, possa fare scambi in maniera responsabile» ha dichiarato il commissario europeo al Commercio, Cecilia Malmström. Per Lilianne Ploumen, ministro del Commercio estero dei Paesi Bassi, alla presidenza di turno dell’Unione, «l’intesa avrà un enorme impatto sul terreno nelle aree dei conflitti (…) Il nostro ruolo è quello di dare voce a persone che non possono sedere a questi tavoli e anche ai consumatori che non vogliono contribuire a conflitti senza saperlo».
Sulla controversa questione del commercio dei minerali e metalli provenienti dal Sud del mondo, gli Stati Uniti hanno introdotto nel 2010 un’apposita legislazione che riguardava soltanto oro, coltan, stagno e tungsteno, sia grezzi che raffinati, quali componente di prodotti industriali. Tutte le società quotate in borsa avevano l’obbligo di verificarne la provenienza. Ma la legge Dodd Frank, entrata in vigore nel 2012, si applicava alla Repubblica democratica del Congo e ai vicini Paesi dei Grandi Laghi. Dal punto di vista geografico la legislazione europea non ha restrizioni così come sui minerali e metalli, tutti inclusi nel testo.
Tuttavia il provvedimento ha già suscitato perplessità e critiche nel mondo delle organizzazioni non governative e tra i difensori dei diritti umani. Il testo varato va considerato «solo un primo passo, da attuare rapidamente, che va esteso presto alle imprese che importano questi materiali come parte dei prodotti industriali» ha commentato Iverna McGowan, a capo dell’ufficio istituzioni europee di Amnesty International, sottolineando che «l’Unione europea ha obblighi internazionali di rispetto dei diritti umani ma ha fatto solo metà strada in questo senso». Per alcuni analisti del settore, la legislazione è frutto di un compromesso tra il Parlamento europeo – la cui posizione era vicina alle esigenze delle ong – e d’altra parte Commissione e singoli governi, non molto propensi all’idea di imporre restrizioni alle aziende in termini di approvvigionamenti.
Così l’Ue ha fatto slittare a data da destinarsi la riflessione sui minerali insanguinati contenuti nei prodotti manufatti importati. Per quelle imprese che si trovano alla fine della catena di produzione e che utilizzano i minerali per integrarli nei prodotti di consumo che fabbricano, sono previste altri tipi di misure (tra cui strumenti di audit), tutte volontarie, che dovrebbero essere implementate entro i prossimi due anni. Se queste misure non saranno adottate, allora queste imprese saranno costrette a sottoporsi ad una tracciabilità obbligatoria sui minerali utilizzati contenuti nei prodotti che fabbricano. Esenti dai controlli le piccole imprese e i liberi professionisti, ad esempio i dentisti che non sono tenuti a verificare l’origine dei metalli contenuti nell’amalgama utilizzato.
Véronique Viriglio
Foto © minerali rari, Unione europea, Famiglia cristiana