Emmanuel Carrère: semplicemente “un romanzo russo”

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La scrittura come esorcismo del dolore, fuga dalla follia e alternativa alla tentazione del suicidio. L’esclusione dal linguaggio simbolo degli smarrimenti dell’io

«Per tutta la vita mi sono considerato anormale, eccezionale, al tempo stesso meraviglioso e mostruoso», scrive Carrère in “Un romanzo russo“, appena pubblicato da Adelphi in una nuova traduzione, delineando le coordinate di una personalità duplice, lacerata, affine per molti versi ad alcuni protagonisti delle sue opere, come il perturbante Jean-Claude Romand dell’Avversario. Una alterità che sconcerta, nella quale si annidano segreti inconfessabili, che fa di Carrère il magnifico scrittore che questi indubbiamente è.

Un romanzo russo parte da una condizione di esclusione che ricorda L’enfant sauvage di François Truffaut. In entrambi i casi si tratta di un’esclusione dal linguaggio, elemento irrinunciabile per la solidità dell’io. Il dottor Itard cerca di restituire al ragazzo selvaggio, con esiti alterni e faticosi, l’uso della parola. Allo stesso modo il pretesto sul quale lo scrittore francese costruisce il suo libro, ovverosia il ritorno in patria di un contadino ungherese dimenticato per decenni in un ospedale psichiatrico russo dove lo hanno condotto le vicende della guerra, ha a che fare con l’impossibilità del linguaggio. «… a volte farfuglia mozziconi di frasi che nessuno capisce, che non appartengono più a nessuna lingua».

L’ossessione del linguaggio attanaglia lo stesso Carrère. Lo scrittore di origini russe cerca in tutte le maniere di recuperare un idioma che, a volte, sembra a portata di mano, ma più spesso pare sfuggirgli, ritrarsi dai suoi disperati tentativi.

Come il Kaspar Hauser del regista tedesco Werner Herzog, il prigioniero ungherese András Toma  precipita nuovamente nel mondo solo per intraprendere un percorso di sofferenza e solitudine. Egli è estraneo e tutto e a tutti, alle persone e allo spazio che lo circonda. Nella sua ansia di liberazione, lo stesso Carrère annuncia all’inizio del romanzo di voler sfuggire la sofferenza e la follia, per cercare di sublimare le proprie ossessioni in qualcosa di completamente diverso.

L’attenzione documentaristica accomuna il libro al film di Truffaut (e, in parte, anche a quello di Herzog). Il romanzo inizia come un reportage. Lo scrittore si reca a Kotel’nič, nell’ospedale psichiatrico dove l’uomo è rimasto rinchiuso per un tempo lunghissimo. Tornerà in quel luogo dimenticato diverse volte, alla ricerca di qualcosa che appare oscuro anche alla propria coscienza.

Da qui in avanti le cose si complicano non poco. L’opera di Carrère appare tanto più problematica quanto più mescola le carte, segue direzioni che appaiono contrastanti e unite da legami flebili. Così assistiamo al progressivo sgretolarsi della sua storia d’amore con Sophie, una donna che ama alla follia ma che finirà per perdere a causa di un vezzo tipicamente letterario. Cercherà infatti di coinvolgere la donna nella lettura di un racconto erotico nel quale vita reale e finzione si mescolano pericolosamente. Sarà l’inizio di un gioco al massacro nel quale annega il loro amore.

Una terza via conduce alla storia del nonno Georges, una vicenda che gli è stato proibito raccontare dalla figura materna, e che di conseguenza diviene una vera e propria ossessione. Una tara ereditaria sembra pesare sulla famiglia, indirizzandone le sorti. Georges, di origini georgiane, appare votato a un destino da reietto. La storia lo costringe all’esilio, e modella il suo oltranzismo politico. E’ un uomo del sottosuolo che odia se stesso, come il tormentato personaggio di Dostoevskij. Dopo aver condotto un’esistenza misera, scompare nel 1944, probabilmente ucciso con l’accusa di essere stato un collaborazionista durante l’occupazione nazista.

D’ora innanzi i percorsi si intrecciano in un crescendo di tensione. Il reportage che sembrava non condurre da nessuna parte, sfocia nella scoperta di un omicidio misterioso, le cui ragioni resteranno oscure. Il rapporto amoroso con Sophie va in pezzi. Eppure Carrère prosegue nel suo sondaggio implacabile dell’ignoto. Il libro è un tentativo di «catturare qualcosa che mi sfugge e mi tormenta»scrive verso la fine del romanzo, una maniera per esorcizzare l’orrore e la follia che lo seguono da presso, senza lasciargli via di scampo.

 

Riccardo Cenci

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E. Carrère

Un romanzo russo

Adelphi – Fabula (2018, pp. 283)

€ 19,00

traduzione di Lorenza di Lella e Maria Laura Vanorio

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Riccardo Cenci
Riccardo Cenci. Laureato in Lingue e letterature straniere moderne ed in Lettere presso l’Università La Sapienza. Giornalista pubblicista, ha iniziato come critico nel campo della musica classica, per estendere in seguito la propria attività all’intero ambito culturale. Ha collaborato con numerosi quotidiani, periodici, radio e siti web. All’intensa attività giornalistica ha affiancato quella di docente e di scrittore. Ha pubblicato vari libri (raccolte di racconti e romanzi). Attualmente lavora come Dirigente presso l’Enpam.

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