Euro ai massimi da tre anni pesa su Borse

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Penalizzati i principali gruppi esportatori, soprattutto negli Stati Uniti, e le vendite su titoli Stato italiani. Standard & Poor’s, Mifid 2 cambio dirompente per i mercati comunitari

Supereuro ancora sopra a 1,20 dollari. La forza della moneta unica che mantiene i massimi da tre anni penalizza ancora le Borse europee, mentre Wall Street tiene e anzi con l’indice tecnologico Nasdaq corre decisa. Il 2018 sui mercati è iniziato così come è finito il 2017, con gli operatori che non vedono grandi possibilità per il dollaro di riprendersi a breve. Non male per le esportazioni degli Stati Uniti, lo è, invece, per le vendite dei gruppi europei ma anche per i titoli di Stato (bond) dei Paesi da tempo sotto l’attacco della speculazione, come quelli italiani.

I Btp a 10 anni – deboli dall’annuncio della data delle elezioni, con una previsione di stallo politico – hanno infatti segnato un aumento dei rendimenti di oltre otto punti base aumentando ancora il differenziale (spread) con la Germania, anche se i bond di pari durata del Regno Unito hanno fatto peggio. Dopo i forti cali di venerdì scorso, vendite anche sui mercati azionari, con Londra che ha ceduto lo 0,6%, Parigi lo 0,4% e Francoforte lo 0,3%. Milano ha tenuto sulla parità, ma diversi gruppi che generano export hanno pagato dazio: Brembo -1,8%, Campari -1,4%, Moncler -1%. Bene invece Fca (+1,6%), in progressivo recupero durante la giornata.

L’euro si mantiene tra quota 1,204 e 1,205 sul dollaro, ma in cinque giorni è salito dell’1,3%, un rialzo consistente nel mercato valutario. La ragione è semplice e non c’entra con la recente rivoluzione fiscale ottenuta da Trump: quello che deprime il dollaro, rafforzando l’euro, è lo scetticismo degli operatori sul fatto che l’andamento dell’inflazione statunitense consenta davvero le tre annunciate strette monetarie da parte della Federal reserve nel corso dell’anno appena iniziato. Così le Borse europee faticano, mentre quelle asiatiche, dopo il rally del 30% del 2017, hanno aperto l’anno ancora in aumento, con gli investitori che guardano con fiducia alle prospettive di stabilità della Cina.

Ci guadagna ancora Hong Kong (+36% l’anno scorso) che ha chiuso la prima seduta 2017 in rialzo dell’1,9%, ma bene anche Shanghai (+1,2%), Shenzhen (+1%) e Seul (+0,5%), che non risente delle tensioni locali con la Corea del Nord. Oltre il punto percentuale il guadagno della prima parte di seduta del Nasdaq mentre in Europa non è riuscito a sostenere i mercati nemmeno il record dell’indice IHS Markit Pmi del settore manifatturiero, che ha registrato forti tassi di espansione della produzione, nuovi ordini e buoni livelli occupazionali.

Ora nel mondo della finanza si guarda alla direttiva Mifid 2, da domani in vigore in 31 Stati dell’area economica europea, che provocherà «un cambio regolamentare dirompente» per i mercati finanziari del Vecchio Continente, come sostiene l’agenzia di rating Standard & Poor’s in un report dedicato agli impatti per l’industria del risparmio derivanti dalla nuova normativa che introduce più tutele per i risparmiatori che accedono ai servizi di investimento.

«Le nuove regole comporteranno per tutti i business coinvolti nella distribuzione e nel trading di strumenti finanziari in Europa un cambiamento e, in molti casi, una più stringente cornice regolatoria», afferma ancora Standard & Poor’s, sottolineando che la Mifid 2 interesserà «banche, brokers, società di gestione del risparmio e società che gestiscono infrastrutture del mercato finanziario», come ad esempio le Borse valori.

Standard & Poor’s vede effetti «generalmente negativi» per i brokers e le banche di investimento, con l’eccezione delle più grandi, in «qualche modo negative» per gli asset manager, «leggermente positive» per le società che gestiscono le infrastrutture finanziarie e gestibili per la maggior parte delle altre banche. S&P non prevede però che Mifid 2 possa avere «significativi impatti sul rating» per i prossimi due anni anche se «nel lungo termine la natura rivoluzionaria» della normativa «diventerà più evidente e i vincitori e i perdenti emergeranno probabilmente con maggiore chiarezza».

Il rialzo dell’euro frena in particolare le esportazioni del Made in Italy negli Stati Uniti, dopo un 2017 che ha registrato un aumento del 9% per un importo record di circa 40 miliardi di euro. È quanto emerge da un’analisi della Coldiretti, in riferimento al tasso di cambio dell’euro che ha raggiunto nei confronti del dollaro il livello massimo da tre anni. La nuova strategia Usa “America First” sembra avere i primi effetti in una politica monetaria aggressiva che rischia di costare caro all’Italia.

Gli Usa sono di gran lunga il principale mercato di riferimento per il Made in Italy fuori dall’Unione europea, con un impatto rilevante anche per l’agroalimentare. Le esportazioni di cibo e bevande dall’Italia sono aumentare del 6% nel 2017 per un totale di circa 4 miliardi di euro, il massimo di sempre. Gli Usa, conclude la Coldiretti, si collocano al terzo posto tra i principali italian food buyer dopo Germania e Francia, ma prima della Gran Bretagna, con il vino che risulta essere il prodotto più gettonato dagli statunitensi, davanti a olio, formaggi e pasta.

 

Manon De Clercq

Foto © Colourbox, Dreamstime, FinanceFeed

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