Germania, ultime ore senza una coalizione di governo

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Accordo finalmente all’approdo finale. Grandi concessioni alla Spd da parte della Merkel, ma con lo “sgarbo” della vicecancelleria a Scholz. A farne le spese la Cdu e, in parte, Gentiloni

Come anticipato nei giorni scorsi, è stato raggiunto l’accordo sulla coalizione in Germania, anche se il rischio di un altro fallimento, a un certo punto, era a un passo. Dunque ritorna la Grosse Koalition, dopo settimane di estenuanti trattative e una lunghissima maratona notturna finale. Angela Merkel rimane cancelliera per la quarta volta, ma a duro prezzo: ben sei ministeri finiscono infatti ai socialdemocratici (Spd), nonostante le promesse in campagna elettorale del leader Martin Schulz di non fare un governo insieme, di cui tre cruciali, tra cui le Finanze, Esteri e Giustizia. Non solo, da loro dipende pure la parola finale al raggiungimento dell’accordo: sarà infatti la base Spd, adesso, a votare sull’accordo. Con il beneplacido della Corte costituzionale di Karlsruhe, che ha annunciato sempre oggi di avere respinto cinque ricorsi sul voto dei 464.000 tesserati (dal 20 febbraio al 2 marzo).

Alla fine, dopo il flop del tentativo di governo “giamaicano” con Verdi e liberali a novembre, si dovrebbe essere arrivati alla squadra. Con l’ex presidente del Parlamento europeo Martin Schulz a poter rivendicare che «nel contratto di coalizione si riconosce la mano dei socialdemocratici». E soprattutto che «nelle politiche europee ci sarà un cambio di direzione da parte della Germania», come promesso nei giorni precedenti alle politiche e in conferenza stampa. Una battaglia da condurre a fianco del presidente francese Emmanuel Macron, che ha avuto un impatto immediato anche in Italia, con il differenziale (spread) fra Btp e Bund calato a 119 punti base, record minimo dal settembre 2016. Questo nonostante i “nemici in casa”, pronti a fare qualsiasi cosa per rompere l’accordo. Come Kevin Kuehnert, il capo dei giovani socialdemocratici, colui che ha mobilitato migliaia di persone che si sono iscritte al partito seguendo il suo esplicito invito a farlo per votare contro l’intesa.

          Angela Merkel e Martin Schulz

Ma è ovvio che i compromessi più dolorosi devono essere accettati in campo popolare (Cdu). Sembra oramai acclamato che a guida Spd saranno i ministeri delle Finanze (e la vicecancelleria), affidato a Olaf  Scholz (sindaco di Amburgo), degli Esteri (Martin Schulz che lascerebbe la guida del partito alla giovane Andrea Nahles, già capogruppo parlamentare), Giustizia (all’uscente Heiko Maas), Ambiente (confermata Barbara Hendricks), Famiglia (ancora Katarina Barley) e Lavoro (forse Eva Hoegl). La Cdu si accontenterà dell’Economia (all’uscente Peter Altmaier), Difesa (confermata Ursula von der Leyen), Agricoltura (new entry Julia Kloeckner), Istruzione (Hermann Groehe) e Salute. Ai falchi dell’alleata Csu bavarese andrà l’importante ministero dell’Interno guidato dal leader Horst Seehofer, che si occuperà di «valorizzarlo con uno spazio nuovo dedicato alla patria». Oltre a questo, altro dicastero fondamentale come i Trasporti/Digitale (Andreas Scheuer) ed Economia dello Sviluppo (Dorothea Baer).

La figura di spicco sarà dunque quella dello “schroederianoOlaf Scholz, erede di Wolfgang Schaeuble al potente ministero delle Finanze di Berlino, nonché vicecancelliere. Cinquantanove anni, sposato, formazione e una prima vita da avvocato. Dal 2011 amministra la ricca città-stato di Amburgo col suo tratto riservato: in questi anni ha vinto scommettendo sul progetto dell’Elbphilharmonie, ereditato quasi al tracollo; ma ha perso la candidatura alle Olimpiadi per la sua Amburgo, dopo la bocciatura dei concittadini al referendum. Non infiamma i cuori quando parla, ma è stato l’abile stratega nelle trattative economiche fra i Laender (equiparabili alle italiche regioni) e il Bund. Al ritorno al governo (ministro del Lavoro fra il 2007 e il 2009), Scholz diventerebbe quindi anche il numero due dell’esecutivo. Un salto di qualità così evidente da renderlo papabile come candidato cancelliere la prossima tornata, quando l’ingombrante Angela quasi sicuramente non si ripresenterà.

Nel programma di coalizione il primo capitolo sarà dedicato all’Europa, con la promessa di “un nuovo inizio” per l’Ue. La Germania annuncia di voler «aumentare il suo contributo al bilancio comunitario». Certo, la bussola resterà il Patto di stabilità e crescita, ma si promuoveranno anche gli investimenti e, soprattutto, la solidarietà. Sicuramente farina del sacco dell’ex presidente del Parlamento europeo che è riuscito lì dove la Merkel, d’accordo in linea di principio a plasmare le politiche sull’Ue, nell’esecutivo ipotizzato con i liberali sarebbe stato improponibile. «Gli investimenti in Europa sono investimenti in un buon futuro nel nostro Paese», si legge fra l’altro, prima di citare le battaglie per l’occupazione – la competitività si rafforza creando nuovi posti di lavoro – e la disponibilità di Berlino a «contributi più alti al bilancio Ue».

Piccolo incidente diplomatico quello che ha riguardato la visita del premier italiano Gentiloni proprio oggi a Berlino. La tempistica, indubbiamente, non è stata delle più fortunate: l’incontro tra Angela Merkel e Paolo Gentiloni è infatti coinciso con il raggiungimento di un accordo di governo arrivato all’alba a Berlino dopo quattro mesi di estenuanti trattative. E le conseguenze quantomeno inconsuete: bilaterale in cancelleria saltato per i troppi impegni della giornata, benché subito riprogrammato per il 15 febbraio. Che la giornata non sarebbe stata delle più semplici si era capito già alla vigilia della visita del premier, invitato a Berlino per una Lecture sull’Europa dall’Università Humboldt. Le voci insistenti sulla chiusura dell’accordo avevano già fatto slittare la conferenza stampa con Angela Merkel di quattro ore. Poi è stata la stessa cancelliera a chiamare Gentiloni chiedendogli di rinviare la visita di una settimana. E il primo ministro italiano naturalmente ha compreso, anche se la richiesta ha indubbiamente stupito la delegazione italiana.

 

Klivia Böhm

Foto © bpb.de, luzernerzeitung.ch, Stern

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