Una grande mostra allestita nel Palazzo Ducale di Venezia restituisce al pittore francese la sua giusta collocazione, sfatando definitivamente il mito dell’artista ingenuo e incolto
Emerso apparentemente dall’ignoto come il leggendario Kaspar Hauser, o come il ragazzo selvaggio oggetto di un famoso film di Truffaut, Rousseau il Doganiere sembra incarnare quel conflitto fra natura e cultura che tanto appassiona gli studiosi.
La sua figura sfuggente e misteriosa è ora protagonista di una importante esposizione, allestita nelle sale di Palazzo Ducale a Venezia. Il candore arcaico recita il sottotitolo della mostra, a indicare la peculiarità dello spazio psichico nel quale si dipana la sua ispirazione.
Un’aura di leggenda ha sempre avvolto l’esordio della sua vocazione e il carattere della sua opera, contribuendo ad una disattenzione critica nei suoi confronti. In realtà Rousseau non è così ingenuo e naif come per anni si è sostenuto. Sorprendente è la sua capacità di entrare in contatto, quasi istintivamente, con le radici più arcaiche e primordiali del mondo. La sua fantasia abita foreste e paesaggi nei quali non si recherà mai, ma che evoca come un veggente o uno stregone capace di trasferirsi in una realtà parallela. Il suo è un atteggiamento nostalgico verso atmosfere che paiono frutto esclusivo della sua fiorente immaginazione.
Singolari ad esempio le sue affinità con la pittura di Frida Kahlo e di Diego Rivera, come se avesse saputo prefigurare le sofferte introspezioni, le derive grottesche e le esplosioni coloristiche dei loro mondi. Il presunto viaggio in Messico che Rousseau sosteneva aver compiuto era parto esclusivo della sua mente. In realtà i suoi contatti con quel luogo distante erano limitati alla conoscenza di alcuni reduci dalla campagna francese nel Paese centroamericano.
Ingabbiato nella professione di impiegato del dazio parigino, Rousseau si rifugia in mondi onirici incorrotti eppure sovente vagamente minacciosi. Celebre L’incantatrice di serpenti, probabilmente frutto dei racconti indiani della madre di Delaunay, alla quale dobbiamo la commissione del quadro. Universi fantastici, caratterizzati da una temporalità sospesa, che richiamano le nascenti atmosfere surrealiste e non solo.
Eppure la sua arte è anche percorsa da inquietudini ben più esplicite. Nota è la vicenda della Guerra, esposta al decimo Salon des Indépendants e accolta con sarcasmo dai più. Si tratta di un’immagine di raggelante orrore, vicina per molti aspetti ai trionfi della morte concepiti nel più remoto passato quale monito per l’umanità medioevale. Un dipinto scomparso per lungo tempo e ritrovato proprio nel corso della seconda guerra mondiale, quasi come un presagio della carneficina che all’epoca stava sconvolgendo l’Europa.
Sottolineando i legami fra l’arte di Rousseau e la realtà contemporanea, i curatori della mostra lo hanno voluto sottrarre a qualsiasi stereotipo interpretativo. Molteplici le sue influenze sugli intellettuali e sui pittori dell’epoca, da Apollinaire a Jarry, da Picasso a Kandinskij.
Oltre sessanta le opere di artisti i quali, in qualche maniera, possono essere accostati alla poetica di Rousseau, in dialogo con circa quaranta quadri del pittore francese. Accanto ai contemporanei troviamo capisaldi della tradizione, come Francisco Goya, a sfatare il mito dell’artista privo di qualsiasi legame.
In realtà Rousseau è perfettamente consapevole del passato. La sua aspirazione è quella di inserirsi nella produzione artistica nazionale. Sin dai primi anni ottanta dell’Ottocento ricerca una legittimazione nell’appoggio di due accademici quali Gérôme e Clément, emblemi di una pittura ufficiale verso la quale Rousseau tendeva.
Solo a partire dal 1905 la stampa francese inizia a comprendere le peculiarità del suo stile. Non a caso siamo negli anni durante i quali si afferma la cultura fauve. In Italia si accorge di lui Ardengo Soffici, che lo aveva conosciuto a Parigi ed era diventato suo ammiratore e collezionista. E’ lui ad individuare «lo spavento delle anime vuote dei suoi modelli, la miseria infagottata del borghese suo simile e parente, il comico orrore della folla gioiosa …», in definitiva la sinistra malinconia che grava sulle sue scene di vita quotidiana.
Otto sezioni tematiche conducono il visitatore attraverso un percorso che intende definire le coordinate essenziali di un’esperienza estetica di grande originalità, sempre volta alla ricerca di quel dato invisibile che si cela dietro l’apparente e immediata leggibilità del reale.
Riccardo Cenci
Henri Rousseau. Il candore arcaico
Palazzo Ducale – Venezia
Dal 6 marzo al 15 luglio 2015
Orari: da domenica a giovedì 9.00-19.00
Venerdì e sabato 9.00-20.00
Biglietti: intero € 13,00 ridotto € 11,00
Catalogo: 24ORE cultura
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