Il duello fra la Clinton e Trump rivela un’America senza fiducia nelle istituzioni

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L’Europa attende il risultato finale di una campagna elettorale fra le più scorrette e superficiali nella storia degli Stati Uniti

Comunque vadano le cose, ad aver perso è la democrazia. Una campagna elettorale feroce, tutta giocata sui colpi bassi e sugli scandali, poco attenta alle linee programmatiche; questo lo scenario sul quale si muovono Hillary Clinton e Donald Trump, due candidati ritenuti inadeguati da ampie porzioni dell’elettorato.

Da un lato il miliardario arrogante e aggressivo, che con il suo atteggiamento provocatorio e con le sue boutade cerca di intercettare il voto dei delusi, di coloro i quali vogliono un cambio di passo sostanziale nella politica del proprio Paese. Dall’altro l’ex first lady dalla sfrenata ambizione, sostenuta dal presidente uscente come mai era accaduto prima nella storia degli Stati Uniti. L’assoluzione dell’FBI nei suoi confronti a 48 ore dal voto sembra consegnarle nuovamente il ruolo di favorita, anche se i sondaggi parlano di una situazione incerta e difficilmente prevedibile. Le borse scommettono su di lei, dopo che si è deciso di non perseguirla penalmente riguardo l’ennesimo email gate. Wall Street vola sulla base di una previsione che vorrebbe vincente la candidata democratica. Un segnale di ottimismo dietro il quale si celano profondi timori.

donald_trump_laconia_rally_laconia_nh_4_by_michael_vadon_july_16_2015_15-jpgIn realtà siamo alla fine di un’epoca. Il primo presidente nero nella storia degli Stati Uniti, la cui elezione appariva come l’avverarsi di un sogno utopico, consegna al suo successore un Paese lacerato dai contrasti razziali, un mondo mai così tormentato dai conflitti e dalle guerre. Barack Obama ha certo sottoscritto un importante accordo sul nucleare iraniano, ha promosso la fine dell’embargo cubano, ma non ha saputo gestire la crisi siriana, sfociata in un conflitto sanguinoso dalle enormi conseguenze, che conta ad oggi oltre 300mila morti e una crisi umanitaria di infinite proporzioni. Certo pesavano sulla sua presidenza le scelte errate di George Bush. Eppure c’è la sensazione che qualcosa sia mancato, che gli ambiziosi obiettivi iniziali siano man mano sfumati.

Obama ha voluto ridefinire il ruolo degli Stati Uniti, cercando alternative all’onnipresente opzione militare. Coloro i quali credevano nelle capacità taumaturgiche della superpotenza sono rimasti delusi. Allo stesso modo le “colombe” non hanno potuto identificarsi completamente nelle scelte di Obama. La visione post- imperialista del presidente nero non ha saputo soffocare i fuochi della nuova guerra fredda, riportando alla luce un dissidio con la Russia che credevamo sopito per sempre. Il conflitto ucraino, per quanto trascurato dai mass media, è sempre lì a ricordarci che il mondo non è affatto più sicuro di un tempo, ma anzi si trova sull’orlo di un baratro sempre più minaccioso.

p022373000202-43231-jpgAnche la risoluzione del conflitto israelo-palestinese, obiettivo di ogni presidente degli Stati Uniti, è rimasto un sogno irrealizzabile. Sovente il segretario di Stato John Kerry è apparso solo nei perigliosi scenari mediorientali, privo del sostegno del suo presidente. Un atteggiamento che non ha saputo arginare in alcun modo la progressiva destabilizzazione dell’area.

Quello che non si vuole accettare è il crollo di un modello che credevamo eterno. La crescita infinita non è più sostenibile. La natura si ribella nei confronti di uno sviluppo industriale incontrollato. Di fronte alle pressioni migratorie cresce la paura, e con essa i populismi. In questi scenari attecchiscono figure come quella di Trump. Il candidato repubblicano, all’inizio abbandonato dagli stessi notabili del suo partito (fatto senza precedenti), fonda la sua fortuna su proclami isolazionisti e sul contrasto all’immigrazione clandestina. Elementi che, anche in Europa, stanno ridefinendo il contesto politico e sociale.

L’emergere brutale dell’estremismo islamico e i rinnovati contrasti con la Russia sono lì a ricordare che qualcosa non è andato per il verso giusto. L’esito delle elezioni americane indubbiamente avrà conseguenze non secondarie sugli equilibri del vecchio continente. Certo le premesse non appaiono affatto rosee. Il recente acceso scambio di opinioni fra Juncker e Renzi riguardo la manovra economica italiana testimonia di un clima teso, sul quale pesa fortemente la questione rifugiati. La Ue attende dunque i risultati del voto con la consapevolezza che il prevalere dell’una o dell’altra linea peserà non poco sugli assetti geopolitici mondiali.

Due candidati opachi, dicevamo, espressione di un momento storico particolarmente tormentato. Chiunque uscirà vincente dal voto dovrà affrontare sfide enormi. C’è solo da sperare che, una volta archiviate le sterili polemiche e le crude strategie della campagna elettorale, abbia davvero la preparazione e il carattere per farlo.

Riccardo Cenci

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Foto in apertura di Hillary Clinton © Gage Skidmore (Wikicommons)

Foto al centro Donald Trump © Michael Vadon (Wikicommons)

Foto in basso © European Union , 2012   / Photo: Enzo Zucchi

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Riccardo Cenci
Riccardo Cenci. Laureato in Lingue e letterature straniere moderne ed in Lettere presso l’Università La Sapienza. Giornalista pubblicista, ha iniziato come critico nel campo della musica classica, per estendere in seguito la propria attività all’intero ambito culturale. Ha collaborato con numerosi quotidiani, periodici, radio e siti web. All’intensa attività giornalistica ha affiancato quella di docente e di scrittore. Ha pubblicato vari libri (raccolte di racconti e romanzi). Attualmente lavora come Dirigente presso l’Enpam.

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