L’arte in pericolo: l’imperativo è salvare la bellezza

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Nel libro “Capolavori rubati” Luca Nannipieri riflette sul ruolo del fenomeno estetico nell’epoca moderna, sulla sua importanza e sulla sua fragilità

«Molto spesso […] per scoprire che siamo innamorati, fors’anche per diventarlo, bisogna che arrivi il giorno della separazione», scrive Marcel Proust in quel grande poema del desiderio che è la RechercheNella stessa maniera sovente l’attenzione su un’opera d’arte si accende quando questa non c’è più, quando è stata sottratta per sempre alla fruizione del pubblico, perché rubata o addirittura distrutta. La lontananza genera il mito, acuisce il desiderio verso un qualcosa che non si potrà più possedere. Si trascura di considerare l’esatto valore di un’opera o di un amore, finché questo non è perduto, inattingibile, rinchiuso per sempre nel fondo di noi stessi come in una prigione inespugnabile. Questo il punto da cui parte il libro di Luca NannipieriCapolavori rubati (ed. Skira), una dotta e poliedrica ricognizione di alcuni dei più clamorosi casi di furti di opere d’arte, un testo il cui pregio maggiore consiste nella particolare alchimia fra cronaca giudiziaria e disamina colta, nella complessità semantica della riflessione.

L’arte come evento perturbante, la bellezza quale veicolo di inquietudine piuttosto che mezzo per la salvezza del mondo, per usare l’espressione tanto citata di Dostoevskij. «C’è sempre stata lotta intorno all’arte», scrive Nannipieri, e poi prosegue: «le opere d’arte […] non sono mai realtà pacifiche. Il loro valore non è innocuo». La volontà di potenza sovente si è incarnata nelle razzie artistiche di sanguinari dittatori (pensiamo a Hitler, il quale mirava consolidare mediante le depredazioni la fondatezza della cosiddetta razza ariana). La ricerca estetica apre prospettive inedite su abissi inesplorati, è un grido che echeggia ai confini del mondo. Di questi turbamenti il libro è espressione efficace, non una semplice cronaca di eventi ma uno spunto per riflessioni più profonde sulla complessità simbolica del fenomeno artistico.

«Il legame tra criminalità organizzata e opere d’arte è un rapporto che deve essere ancora tutto studiato», afferma l’autore. Fra i pochi giornalisti che hanno affrontato seriamente l’argomento c’è Fabio Isman, presente in veste di relatore alla conferenza stampa tenutasi ai Musei Capitolini, autore fra l’altro di una pubblicazione, I predatori dell’arte perduta, che spicca quale meritoria ricostruzione di un fenomeno sino a poco tempo fa colpevolmente trascurato.

Tra il furto della Natività di Caravaggio con il quale si apre il volume, sottratta dall’oratorio di San Lorenzo a Palermo nel 1969 e mai più ritrovata, e quello celeberrimo della Gioconda, posto a chiusura della narrazione, troviamo un’infinità di storie, di aneddoti, di riflessioni sul ruolo dell’arte e sulla sua fragilità. Con il suo consueto spirito provocatorio Pablo Picasso, nel 1935, poteva permettersi di denigrare l’idea museale definendola un accumulo di errori, salvo poi ricredersi quando il Museo del Prado venne effettivamente bombardato, mettendo a rischio capolavori unici, memoria indispensabile per il genere umano.

Il silenzio di Dio di bergmaniana suggestione trova incarnazione figurativa nelle diverse declinazioni dell’Urlo di Munch, opere celeberrime e più volte trafugate. Non si comprenderebbe un tale accanimento verso lavori conosciutissimi e impossibili da porre sul mercato senza richiamare l’idea di Walter Benjamin, secondo la quale esiste un collezionismo maniacale che non contempla la fruibilità dell’opera d’arte, ma aspira rendere questi capolavori teatro e scena del loro destino, cristallizzandoli in un immobilismo solipsistico.

Nannipieri si concentra sulle storture dei meccanismi mediatici, che ignorano determinate opere quando queste sono vive e presenti, salvo poi accanirsi sulla notizia quando queste non ci sono più. È il caso del Ritratto di signora di Gustav Klimt, trafugato dalla Galleria Ricci Oddi di Piacenza nel 1997 e mai più restituito alla pubblica fruizione. Un furto reso possibile dalla disattenzione, un danno particolarmente grave in quanto sottrae all’Italia uno dei tre quadri del pittore austriaco presenti nel Belpaese (gli altri sono a Roma e a Venezia), fra l’altro una tela di notevole interesse in quanto dipinta sopra una precedente stesura.

Valore aggiunto al libro il parlare delle opere depredate dal sottosuolo, afferma Isman. Ecco allora tutto lo stupore del tombarolo Savino Berardi quando, dopo essersi calato nelle viscere del sottosuolo con tutti i rischi che questo comporta, vede emergere dall’oscurità la sagoma magnifica del Trapezophoros, eccezionale brano scultoreo preservato intatto dall’antichità. Un episodio che apre il sipario sulle lunghe contese diplomatiche fra Italia e Stati Uniti, dove sovente le opere d’arte trovano collocazione. Realtà mussali ricchissime, senza rivali in Europa, come il Paul Getty Museum, acquisiscono reperti trafugati, salvo poi essere costretti a restituirli. Eppure a volte, quando questi tornano ai legittimi proprietari, trovano posto in sedi espositive marginali, quasi disertate dal pubblico; il che apre un ulteriore fronte di riflessione. È più giusto riportare le opere dove sono state trovate, anche se si tratta di luoghi periferici, o è opportuno ricollocarle dove l’afflusso di visitatori è costante e continuo, dove la loro visibilità è certa? E ancora, ha senso voler riportare a tutti i costi in tempo di pace quello che è stato depredato in tempo di guerra? O è sufficiente che l’opera sia disponibile alla pubblica fruizione? Interrogativi affatto scontati o peregrini.

Il generale Roberto Riccardi, da poco a capo del Comando carabinieri per la tutela del patrimonio culturale, parla con passione del suo nuovo incarico. In Italia si ruba di tutto, ma più della metà delle opere trafugate viene recuperato. La sfida è quella di moltiplicare gli sforzi per preservare un patrimonio unico al mondo. Non è la bellezza che salverà il mondo, afferma Riccardi, ma è il mondo a dover salvare la bellezza. Un ottimismo della volontà che si contrappone al pessimismo espresso da Isman, secondo il quale la politica, il Paese e i media non si interessano affatto dell’arte, o comunque troppo poco, e solo quando questa assurge ai titoli di cronaca. Due differenti punti di vista, due idee distinte che convergono nell’amore profondo verso un qualcosa che rischiamo continuamente di perdere, del cui valore non possiamo fare a meno.

Ecco allora che il libro di Nannipieri si pone come un importante momento di riflessione verso un dato che troppo spesso diamo per scontato, il quale in realtà vive ai confini dell’effimero e del transitorio, costantemente minacciato dagli spettri della distruzione e dell’oblio.

 

Riccardo Cenci

Foto © Wikipedia

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Luca Nannipieri

Capolavori rubati

Ed. Skira

pg. 176 € 19,00

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Riccardo Cenci
Riccardo Cenci. Laureato in Lingue e letterature straniere moderne ed in Lettere presso l’Università La Sapienza. Giornalista pubblicista, ha iniziato come critico nel campo della musica classica, per estendere in seguito la propria attività all’intero ambito culturale. Ha collaborato con numerosi quotidiani, periodici, radio e siti web. All’intensa attività giornalistica ha affiancato quella di docente e di scrittore. Ha pubblicato vari libri (raccolte di racconti e romanzi). Attualmente lavora come Dirigente presso l’Enpam.

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