Il talento visionario di Robyn Hitchcock incanta Roma

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Il fondatore dei Soft Boys e discepolo di Syd Barrett in un concerto acustico colmo di pathos e di emotività per Monti unplugged alla Chiesa Valdese

Geniale erede della tormentata creatività di Syd Barrett e della psichedelia più onirica e spiazzante, Robyn Hitchcock appartiene a quella genia di artisti che raramente falliscono un colpo. La sua discografia prolifica e sempre sostenuta da una ispirazione fresca e vitale lo testimonia ampiamente.

Il viso, pur invecchiato, conserva il bagliore di una guizzante fantasia. I capelli, sempre folti ma di un biancore abbacinante, come se provenissero da un’altra dimensione, come se avessero mutato colore all’improvviso, per l’aprirsi inaspettato di uno squarcio nelle apparenti certezze del reale.

Un talento schietto e autentico, confermato dalla sua esibizione romana nella inconsueta ma suggestiva location della Chiesa Valdese di via IV Novembre. Sin dall’inizio Hitchcock segna le coordinate di un’ispirazione coltivata all’ombra delle visioni barrettiane. Interstellar overdrive è un viaggio in un universo sterminato e perturbante, solcato da atronavi e stelle morenti, dove il pianoforte solo riesce nell’arduo compito di evocare tutta la ricchezza dell’immaginario floydiano. Chino sulla tastiera, il folletto londinese inanella ancora qualche brano, prima di imbracciare la chitarra acustica.

Pur in questa veste spoglia, riesce a veicolare tutta la lisergica profondità della sua ispirazione. Magnifica The lizard, dal suo primo album solista, con quell’incedere ipnotico a evocare l’immagine di Jim Morrison. Queen of eyes è un’immersione melodica nei sogni più astratti dei Soft Boys, nelle alchimie atemporali di un gruppo che, pur nella sua breve vita e nei suoi effimeri ritorni, fu incarnazione del talento istrionico di Hitchcock.

Da solo, o con gli Egyptians, o con i Venus 3, Robyn Hitchcock non abdica alla propria peculiare cifra stilistica, intessuta di liriche deliranti e crepuscolari. Numerosi brani tratti dalle sue esperienze con queste formazioni lo testimoniano.

L’artista britannico intrattiene il pubblico con il suo particolare humour, con il suo italiano incerto e barcollante, dall’incedere sghembo come alcuni dei suoi brani. A un certo punto addita le vetrate della chiesa illuminate da una strana luce verde«Questa luce mi è amica», dice, come se avesse visto in quella irreale cromia l’immagine di un mondo onirico, racchiuso interamente nella sua testa.

Il ritmo martellante di Beautiful Girl è ancora un’incursione nel passato, mentre con Virginia Woolf entriamo nella produzione più recente dell’artista inglese.  La dedica alla grande scrittrice colma il brano di suggestioni letterarie profonde.  Hitchcock, come sempre, riesce a condensare un intero universo nel breve spazio di una canzone. È anche il momento in cui entra in scena Emma Swift, la cui voce angelica duetta mirabilmente con quella più acida del cantautore. La cover di Just like a woman rappresenta un’immersione in tempi trascorsi non esente da note nostalgiche, e naturalmente un omaggio al genio dylaniano.

Per l’ultimo set Hitchcock è di nuovo solo, l’irreale luce violacea ad incorniciarne le fattezze. Con The man who invented himself, sorta di marcetta stralunata nella quale, ancora una volta, intravediamo l’ombra di Bob Dylan, ci avviamo alla conclusione. I saw Nick Drake è un incantato tributo alla fragilità del grande artista. «And when you’re gone, you take your whole world with you», scrive Hitchcock, veicolando il senso di una perdita incolmabile. Un momento di pura emozione, seguito da River man, una intensa cover dal repertorio dello stesso Nick Drake.

Sembra di essere tornati agli anni Settanta, come giustamente sottolinea Emma Tricca (talentuosa cantautrice trapiantata in Inghilterra alla quale era affidata l’apertura del concerto). Raramente abbiamo notato una tale concentrazione, un uso parco dei telefonini, immancabile iattura di ogni concerto rock. Le persone assorte in una ritualità collettiva, come si addice a un evento musicale, e poco importa se di fronte non ci sono folle oceaniche in delirio.

La genialità di Hitchcock meriterebbe pubblico ben più numeroso e sale ben più capienti. Eppure è proprio questa la dimensione giusta per apprezzare al meglio la sua ispirazione intimista e vagamente folle, animata da uno spirito visionario che non finisce mai di stupire.

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Riccardo Cenci

Foto e video © Eurocomunicazione, YEP ROC Records, Riccardo Cenci

 

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Riccardo Cenci
Riccardo Cenci. Laureato in Lingue e letterature straniere moderne ed in Lettere presso l’Università La Sapienza. Giornalista pubblicista, ha iniziato come critico nel campo della musica classica, per estendere in seguito la propria attività all’intero ambito culturale. Ha collaborato con numerosi quotidiani, periodici, radio e siti web. All’intensa attività giornalistica ha affiancato quella di docente e di scrittore. Ha pubblicato vari libri (raccolte di racconti e romanzi). Attualmente lavora come Dirigente presso l’Enpam.

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