In mostra a Roma 140 fotografie e numerosi documenti originali sino al 19 gennaio 2020. Una fotografa talentuosa entrata giovanissima nell’Agenzia Magnum
È una sorta di anno morathiano quello che i curatori Marco Minuz, Brigitte Bluml–Kaindi, Kurt Kaindi hanno voluto dedicare a una talentuosa donna del fotogiornalismo del Novecento: Inge Morath.
È cominciato tutto da Treviso nella Casa dei Carraresi (28 febbraio-9 giugno), per continuare a Genova, Palazzo Ducale (21 giugno-22 settembre) e approdare a Roma, dove nel Museo di Roma in Trastevere è stata allestista la Mostra “Inge Morath. La vita. La fotografia” sino al 19 gennaio 2020. La Mostra è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.
Il percorso espositivo si sviluppa in 12 sezioni con circa 140 fotografie e numerosi documenti originali. Con un’attenzione particolare all’umanità che la fotografa austriaca riversa nelle sue immagini. Quando Inge nasce a Graz il 27 maggio 1923, l’Austria è ridotta per volontà delle potenze vincitrici della prima guerra mondiale a una piccola Nazione, dopo secoli di dominio dell’Impero Asburgico.
È in questo quadro storico del “secolo breve” che muove i primi passi Inge Morath, cresciuta in un ambiente cólto e intellettuale, studia lingue romanze all’Università di Berlino e ama viaggiare.
Comincia la sua attività di fotografa nei primi anni Cinquanta del secolo scorso, mostrando già una forte propensione all’arte della fotografia. E all’età di 30 anni, nel 1953, entra a far parte della celebre Agenzia Magnum Photos, fondata a Parigi nel 1947 dai padri della fotografia del Novecento: Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger, William Vandivert.
È stata la prima donna fotografa della Magnum; poi le altre donne fotografe che negli anni entreranno nell’Agenzia sono Eve Arnold, Martine Frank, Susan Meiselas, Lise Sarfati, Marilyn Silverstone.
Fra il 1953 e il 1954 Morath svolge il ruolo di assistente di Henri Cartier-Bresson e nel 1955 diventa Membro dell’Agenzia a pieno titolo. «Fotografare era diventato una necessità e io non volevo rinunciare a nulla» ha scritto di quei primi anni Inge Morath.
Gli anni Sessanta e Settanta del Novecento sono gli anni della maturità artistica di Inge Morath che compie numerosi viaggi in Europa, Nord Africa e Medio Oriente.
Inviata dalla Magnum sul set del film “Gli spostati” di John Huston conosce il commediografo Arthur Miller e nel 1962 lo sposa, dopo che il celebre drammaturgo americano aveva divorziato da Marilyn Monroe. Il commediografo e la fotografa austriaca si trasferiscono prima a New York per stabilirsi poi a Roxbury, nel Connecticut.
Sono gli anni dei viaggi difficili: nel 1965 si reca per la prima volta in URSS, dove era stato anche Henri Cartier-Bresson, il primo a fotografare l’URSS negli anni della guerra fredda.
La Russia ha rappresentato il luogo desiderato e il momento arriva quando il marito Arthur Miller vi si reca in qualità di presidente del Pen Club, un’associazione internazionale non governativa di letterati e scrittori. I due fanno visita agli artisti e intellettuali russi epurati, e fotografa le case di Anton Ceckov, Boris Pasternak, la biblioteca di Aleksandr Sergeevič Puškin. Nasce un lungo racconto fotografico che – integrato da altri viaggi negli anni successivi – viene pubblicato nel 1969.
La Cina è un altro dei Paesi desiderati. La rappresentazione a Pechino di “Morte di un commesso viaggiatore” è l’occasione per visitarlo con il marito: studia il mandarino e si muove a Pechino e nei dintorni della città per scattare foto.
Ogni viaggio e incontro veniva preparato con cura maniacale, soprattutto la conoscenza della lingua e la cultura del Paese che visitava. Reportage a Venezia, Spagna, Iran, Regno Unito e Irlanda, Austria, Romania, Francia, Stati Uniti: le tappe del lungo cammino fotografico della ragazza con la leica e la valigia sempre pronta. E ritratti di personaggi celebri.
«Nel mio cuore voglio restare una dilettante, nel senso di essere innamorata di quello che sto facendo, sempre stupita dalle infinite possibilità di vedere e usare la macchina fotografica come strumento di registrazione» aveva scritto.
Enzo Di Giacomo
Foto © Enzo Di Giacomo