Istat: Italia sempre a inseguire la media Ue

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Penultimi per tasso di occupazione, in fondo per autostrade, ferrovie e spese istruzione, ma per motorizzazione e imprenditorialità tra i più alti in Europa

Il Belpaese continua a inseguire l’Unione europea senza raggiungerla. In tanti campi l’Italia migliora le performance ma arranca nel confronto con la media Ue e con i principali partner dell’Europa comunitaria. È ciò che emerge da “Noi Italia. 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo”, nel quale l’Istat, l’Istituto nazionale di statistica, ente di ricerca pubblico, mette in luce la posizione italiana nel contesto europeo.

Il tasto dolente è il lavoro: in Italia sono occupate poco più di 6 persone su 10 tra i 20 e i 64 anni, il dato peggiore nell’Unione europea ad eccezione della Grecia. Nel 2016 era occupato il 61,6% della popolazione con un forte squilibrio di genere (71,7% gli uomini occupati, 51,6% le donne). Grande anche il divario territoriale tra Centro-Nord e Mezzogiorno (69,4% contro il 47%). Nella graduatoria Ue sul 2015 solo la Grecia ha un tasso di occupazione inferiore, mentre la Svezia registra il valore più elevato (80,5%).

Il tasso di disoccupazione dei giovani nella fascia 15-24 anni scende al 37,8% nel 2016, 2,6 punti percentuali in meno rispetto a un anno prima. Il livello massimo si registra al Sud (51,7%), soprattutto in Calabria, dove arriva al 58,7%, e fra le ragazze (54,4%). Nell’Ue, la condizione dei 15-24enni rimane particolarmente critica in Grecia, Spagna e Croazia, Paesi che insieme allo Stivale presentano valori dell’indicatore all’incirca doppi rispetto a quello medio europeo (20,4%, dati 2015).

L’Italia è agli ultimi posti in Europa (precisamente quartultima e quintultima) per intensità autostradale e rete ferroviaria. Nel 2015, infatti, la rete autostradale italiana si estendeva per 6.943 km e rappresentava poco più del 9% di quella europea, con un leggero aumento nell’ultimo anno in rapporto alle autovetture registrate (1,86 Km per 10 mila vetture). Anche per quanto riguarda la rete ferroviaria, nel 2015 era pari a 27,5 km ogni 100mila abitanti.

In ambito europeo, sottolinea l’Istat, l’Italia tra i Paesi con estensione al di sotto della media, seguito solo da Regno Unito, Portogallo, Grecia e Paesi Bassi. In compenso il Belpaese (o quello che ne rimane) ha un altissimo livello di motorizzazione, circa 616 autovetture ogni mille abitanti, dopo la flessione del 2013 (608,1 vetture, da oltre 621 del 2012). Il Centro si conferma la ripartizione con il valore più elevato. Nel conronto europeo l’Italia è di gran lunga uno dei Paesi più motorizzati, preceduta solo da Lussemburgo e Malta.

Nel 2014 gli effetti della crisi economica si riflettevano in un calo del numero delle imprese (scese a poco meno di 61 ogni mille abitanti), ma l’Italia si conferma tra i primi in Europa per densità di attività produttive. Il tasso di imprenditorialità – calcolato come rapporto tra numero di lavoratori indipendenti e totale di quelli delle imprese – nel 2014 si attesta al 29,8% e fra i Paesi dell’Unione europea risulta secondo solo alla Grecia; tra le maggiori economie dell’area, Germania e Francia presentano quote decisamente più contenute (9,1 e 10,2%).

Sul territorio nazionale, la propensione all’imprenditorialità si conferma maggiore al Sud (37,6%) rispetto al Centro-Nord (27,9%). La dimensione media delle imprese italiane, pari a 3,8 addetti, è di gran lunga inferiore al valore medio europeo (5,8). Sotto il profilo territoriale, il numero di dipendenti si conferma più basso nel Mezzogiorno (2,8). L’Istat sottolinea che si è interrotta la perdita di competitività delle imprese italiane che ha caratterizzato il biennio 2012-2013; nel 2014 le imprese italiane hanno prodotto mediamente circa 125 euro di valore aggiunto per addetto ogni 100 euro di costo del lavoro unitario.

L’Italia ha fatto passi avanti su numero di laureati e abbandoni degli studi, ma resta lontana dalla media europea, e per spesa pubblica in istruzione occupa il quartultimo posto: incide sul Pil per il 4,1%, valore più basso di quello medio europeo (4,9%). L’Italia risulta quartultima anche nella graduatoria delle persone di 25-64 anni con livello di istruzione non elevato, con una incidenza quasi doppia rispetto all’Ue a 28 (rispettivamente 40,1% e 23,5%). E anche se la percentuale (26,2%) dei 30-34enni che ha conseguito la laurea nel 2016 è in linea con quanto stabilito dall’Ue come obiettivo per l’Italia, resta lontana dal 40% fissato per la media europea: in Europa lo Stivale continua a ricoprire l’ultima posizione, 25,3% contro il 38,7% della media dei Ventotto.

Miglioramenti si registrano sul fronte degli abbandoni scolastici: nel 2016 la quota di giovani che lasciano gli studi è scesa al 13,8%, superando l’obiettivo nazionale del 16% fissato dalla Strategia Europa 2020. Ciononostante l’Italia si piazza anche in questo caso al quartultimo posto (14,7% contro una media Ue a 28 dell’11%). Peggio di noi solo Romania, Malta e Spagna. Un primato, però, l’Italia lo detiene, ed è negativo: per quota diNeetsiamo al top in Ue con oltre 2,2 milioni di giovani che nel 2016 non studiano e neppure lavorano.

La Penisola si conferma al secondo posto per indice di vecchiaia, dopo la Germania, con 161,4 anziani ogni 100 giovani e 55,5 persone in età non lavorativa ogni 100 in età lavorativa. Nel 2015 l’Italia ha occupato la quarta posizione per importanza demografica, alle spalle di Germania, Francia e Regno Unito. In più, il Sud continua ad essere l’area più popolata nonostante sia anche quella meno cresciuta negli ultimi 10 anni.

Per quanto riguarda la natalità, continua a diminuire il numero medio di figli per donna – 1,34 nel 2016 contro 1,35 nel 2015 – mentre occorrerebbero 2,1 figli per garantire il ricambio generazionale. Di pari passo aumenta l’età media delle madri, pari a 31,7 lo scorso anno, facendo segnare un incremento di quasi un anno dal 2004. Il Belpaese occupa la 23a posizione per grado di fecondità, con Francia e Irlanda forti di valori di poco inferiori alla soglia di ricambio generazionale (rispettivamente 2,0 e 1,9 nel 2014).

Nel 2015 l’incidenza dei divorzi è aumentata in maniera sensibile, con 13,6 casi ogni 10 mila abitanti (era 8,6 un anno prima). Secondo l’Istat a concorrere al fenomeno avrebbe contribuito anche la legge sul cosiddetto divorzio breve, con una preponderanza di casi nel Centro-Nord rispetto al Sud. Notizie non lievi anche per quanto riguarda i matrimoni: con 3,2 ogni mille abitanti l’Italia è uno dei Paesi in Europa in cui ci si sposa meno, facendo meglio solo di Portogallo e Lussemburgo.

L’Italia ha un’incidenza più alta della media Ue per quanto riguarda i cittadini stranieri residenti, andando a occupare l’undicesimo posto, subito dopo Regno Unito (8,4%) e Germania (9,3%) e prima della Francia (6,6%).

Nel 2014 la spesa sanitaria pubblica si è attestata attorno al 2.400 dollari procapite a fronte degli oltre 3.000 spesi in Francia e dei 4.000 in Germania. Le famiglie hanno contribuito alla spesa sanitaria complessiva per il 23,3% e la quota è in leggero aumento. Il tasso di mortalità infantile, importante indicatore del livello di sviluppo e benessere del Paese, continua a diminuire in Italia, nel 2014 in Italia è stato del 2,8 per mille nati vivi, tra i valori più bassi in Europa.

Infine l’agriturismo conferma la tendenza strutturale alla crescita: nel decennio tra il 2005 e il 2015 le aziende agrituristiche sono aumentate del 45,1%. E poco più del 36%, precisa ancora l’Istituto di statistica, è gestito da donne. Nel comparto, i prodotti agroalimentari di qualità si confermano una componente significativa del sistema made in Italy e il Belpaese registra anche nel 2015 il numero di certificazioni più elevato a livello comunitario.

 

Nicola Del Vecchio

Foto © Istat,

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