L’economia russa entra in recessione

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Mentre il Cremlino finanzia la destra francese come arma contro la Ue, la crisi finanziaria mette in discussione le politiche di Putin

Non è sempre facile leggere in maniera lucida i segnali del tempo in cui viviamo, mettere insieme i pezzi scompaginati di quell’intricato puzzle che risponde al nome di politica internazionale.

Come interpretare ad esempio i finanziamenti concessi da Mosca al partito di Marine Le Pen, o il ruolo di interlocutore privilegiato del governo russo esibito da Matteo Salvini, prossimo a varcare la soglia del Cremlino? O ancora come leggere le notizie, apparse ieri sui maggiori quotidiani nazionali, che parlano di un’economia russa in grave recessione, dato confermato dal governo stesso, solitamente reticente e restio ad avallare qualsiasi voce disfattista?

Certo è che Vladimir Putin da tempo si erge a paladino della nuova Russia, fulcro di un colosso euroasiatico ancora in parte da edificare, contrapposta ad un Occidente in declino, incapace di difendere i propri valori. Su questo terreno avviene l’incontro fra realtà apparentemente antitetiche come quelle della destra europea e del Paese ex comunista, in verità legate dall’idiosincrasia verso gli immigrati e gli omosessuali, e da un ruolo di conservazione e tutela delle tradizioni e dei costumi, inteso come argine alla perdita di valori e come richiamo genericamente patriottico.

La Lega cerca il sostegno degli imprenditori italiani interessati ai rapporti commerciali con la Russia per iniziare un percorso che porti alla progressiva riduzione delle sanzioni, allo stato attuale molto arduo visto che la situazione nell’est dell’Ucraina non accenna a migliorare.

La spirale recessiva sembra ora avvinghiare progressivamente la Russia, con il rublo che colleziona ogni giorno record negativi (in un mese la perdita nei confronti dell’euro ha superato il 25%) e i prezzi al consumo che crescono in maniera preoccupante.

Cerchiamo di analizzare le motivazioni della crisi nel Paese ex sovietico. Innanzi tutto il recente crollo del prezzo del petrolio, le conseguenze della crisi ucraina e delle sanzioni imposte da Ue e Stati Uniti. Dunque, se l’Europa non ride, neppure la Russia se la passa molto bene. Conseguenza di questa situazione la fuga di capitali all’estero, frutto di complesse dinamiche geopolitiche, oltre che dei problemi strutturali dell’economia russa, basata su immense risorse energetiche ma fragile sotto altri punti di vista.

In questo contesto l’addio al progetto South Stream può essere letto sia come una reazione all’atteggiamento poco collaborativo della Commissione europea, e questa è la versione ufficiale fornita dalle autorità russe, ma anche come il momentaneo abbandono di una operazione destinata a non risultare redditizia nel breve periodo.

Nonostante questo, l’ottimismo ostentato da Putin sembra parzialmente giustificato dal numero dei turisti russi all’estero, ancora molto alto, anche se le previsioni per il prossimo anno non sono buone neppure in questo settore.

In un periodo di recessione generalizzata le tensioni internazionali non aiutano nessuno. A prescindere dalle valutazioni di merito riguardo le politiche  messe in campo dai singoli Stati, riguardo l’utilità o meno delle sanzioni legate alla crisi ucraina, resta il dato di fatto che una ripresa in questo contesto appare particolarmente ardua e di là da venire.

Riccardo Cenci

Foto © European Community 2014

 

 

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Riccardo Cenci
Riccardo Cenci. Laureato in Lingue e letterature straniere moderne ed in Lettere presso l’Università La Sapienza. Giornalista pubblicista, ha iniziato come critico nel campo della musica classica, per estendere in seguito la propria attività all’intero ambito culturale. Ha collaborato con numerosi quotidiani, periodici, radio e siti web. All’intensa attività giornalistica ha affiancato quella di docente e di scrittore. Ha pubblicato vari libri (raccolte di racconti e romanzi). Attualmente lavora come Dirigente presso l’Enpam.

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