L’Ue e il fantasma del “Trumpismo” che si aggira per l’Europa

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Donald Trump

Le dichiarazioni poco istituzionali delle massime cariche dell’Unione denotano verso l’elezione del nuovo presidente Usa un timore per lo più ingiustificato

L’esito di un’elezione che si svolge in maniera regolare e democratica va rispettato, comunque la si pensi e chiunque sia il vincitore: una regola base che però molti, avvezzi a ripeterla fino alla noia nel passato, paiono aver dimenticato quando l’esito dell’Election Day americano è divenuto palese. È un dato di fatto che il neoeletto presidente Usa non piaccia ai leader europei, che da parte loro non fanno nulla per nasconderlo: nulla di male, per carità, se non fosse che alcuni di essi dimenticano di ricoprire incarichi istituzionali all’interno dell’Ue, ben differenti da quelli di governo o di partito avuti in passato. Come Jean-Claude Juncker e Martin Schulz, che sono entrati a gamba tesa sul voto americano con un fare che non si addice propriamente al presidente della Commissione europea e a quello del Parlamento europeo: con le loro dichiarazioni molto dure, poco diplomatiche e per nulla istituzionali, due delle massime cariche dell’Unione europea hanno rinverdito il loro piglio da politici di professione, che erano stati costretti a mettere da parte dopo la nomina al vertice dei massimi organi comunitari a Bruxelles e Strasburgo. Per il loro ruolo Juncker e Schulz dovrebbero evitare di esternare le proprie passioni politiche, ma nei confronti di Donald Trump non sono stati tali. E questo è un male, soprattutto per l’Ue.

Il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker

In quei «Trump non conosce il mondo, ci farà perdere due anni» (Juncker) e «Ora sarà più duro lavorare con gli Usa» (Schulz), i due sono ritornati e a ragionare come esponenti di punta dei Cristiano Sociali lussemburghesi e dei Socialdemocratici tedeschi: nella loro stizza nei confronti dell’inatteso successo del tycoon statunitense si sono lette chiaramente la preoccupazione e la paura per i riflessi che la vittoria di Trump potrà avere sul Vecchio Continente, dove molti movimenti euroscettici e populisti già prima delle elezioni “tifavano” per il magnate newyorkese e si riconoscevano nella sua politica, e altri sono saliti sul carro del vincitore subito dopo. Per la verità, non è che ci sia tutta questa somiglianza tra il Partito Repubblicano di Trump e i vari Ukip, Pvv, Front National, Alternative für Deutschland, Fpö e Movimento 5 Stelle: tuttavia, l’interpretazione di un voto di protesta anti-establishment data alle elezioni dell’8 novembre ha portato tali schieramenti a far propria quella vittoria, ognuno scovando nella scelta degli elettori statunitensi delle affinità con il proprio elettorato. E tanto è bastato ai vari Nigel Farage, Marine Le Pen (la prima a festeggiare con un tweet), Frauke Petry, Norbert Hofer, Beppe Grillo e Matteo Salvini a ipotizzare un’onda lunga che, partendo dagli Usa, si sarebbe presto abbattuta sull’ Europa dei burocrati, delle banche e degli immancabili poteri forti.

EP-043250A_Schulz-CETADal referendum sulla Brexit dello scorso giugno è cominciata per l’Ue una lunga e delicata stagione elettorale che avrà i suoi momenti cruciali il 4 dicembre (elezioni presidenziali in Austria, in cui è favorito il leader nazionalista del Fpö Hofer, e contemporaneo referendum in Italia sulla riforma costituzionale voluta dal governo, dove è in vantaggio il No), in primavera (presidenziali e legislative in Francia con possibile sfida a destra tra i gollisti e il FN) e in autunno (rinnovo del Bundestag in Germania con incognite sulla tenuta della Große Koalition Cdu/Csu-Spd e sulla crescita dei nazionalisti della AfD): è chiaro che i partiti euroscettici abbiano colto la palla al balzo per portare acqua al loro mulino cercando similitudini con il voto americano, ma si è trattato essenzialmente di propaganda elettorale: di grande effetto mediatico, certo, ma pur sempre propaganda. Che un primo risultato l’ha già ottenuto: ha fatto saltare i nervi a Juncker e Schulz, a conferma di come nei palazzi istituzionali di Bruxelles e Strasburgo in queste ore la serenità sia solo un ricordo dei tempi andati.

Marine Le PenUna tensione la loro che è in gran parte ingiustificata, perché se è vero che ora The Donald è divenuto l’icona degli anti-Sistema europei, è altrettanto vero che difficilmente l’esito delle elezioni americane modificherà in maniera decisiva le intenzioni di voto nel Vecchio Continente. Per intenderci, sono ormai lontani i tempi in cui il voto al Front National equivaleva ad un voto di protesta: se Marine Le Pen a maggio dovesse giungere all’Eliseo, avverrebbe grazie al lungo percorso politico avviato anni addietro dalla bionda leader dell’ultradestra francese, capace cioè di togliere voti sia alla destra gollista che alla sinistra socialista e comunista e di presentarsi come leader affidabile tanto da essere eletta presidente. L’effetto-Trump, vuoi anche per i mesi che saranno intanto trascorsi, in questo caso influirebbe poco o nulla, come poco o nulla influirà sulle elezioni in Germania in autunno, dove Alternative für Deutschland non vincerà, perché al momento l’inattesa crescita del partito di Frauke Petry è solo un’espressione del malcontento tedesco verso la Merkel.

donald_trump_laconia_rally_laconia_nh_4_by_michael_vadon_july_16_2015_15-jpgÈ davvero sorprendente vedere i massimi vertici della Commissione e del Parlamento Ue non comprendere tutto ciò, e lasciarsi andare a dichiarazioni, quelle sì, che possono mettere le ali agli schieramenti euroscettici: già, perché l’attacco a Trump suona anche come una critica agli elettori statunitensi, che mandando alla Casa Bianca uno dipinto come un incapace vengono mostrati a loro volta come incapaci di esercitare la sovranità attribuitagli dalla Costituzione. E questa riluttanza delle Istituzioni comunitarie a riconoscere una scelta forse di protesta, ma genuinamente libera e popolare, viene già utilizzata dal fronte eurofobico a conferma di come “gli euro-burocrati” non abbiano rispetto per il voto degli elettori, specie quando questo è rivolto contro di loro. Ma i rapporti tra Europa e Stati Uniti non saranno messi in crisi da un neoeletto presidente un po’sopra le righe e da chi al di qua dell’Atlantico pensa di liquidarlo come un Lukashenko qualunque: c’è una Storia condivisa, fatta di settant’anni di relazioni internazionali e un sistema costituzionale di pesi e contrappesi importato negli Usa dall’Illuminismo europeo, che consentirà alle due sponde dell’Oceano di continuare a lavorare insieme, forse solo in modo differente rispetto al passato. Tuttavia a Bruxelles e Strasburgo, evidentemente, qualcuno di questo sembra essersene dimenticato.

Alessandro Ronga
Foto © Wikicommons/Skidmore, European Community

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Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

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