L’Unione europea rimandata all’esame di potenza globale

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I tragici fatti di Bruxelles, l’emergenza-migranti, le spaccature interne: l’Ue si mostra impreparata dinanzi alle crisi per la cui risoluzione serve un approccio da vera potenza

Le lacrime in mondovisione di una Federica Mogherini sconvolta dalle notizie che arrivavano dalla capitale belga hanno suscitato umana comprensione, perché la pur capace Lady Pesc è parsa quasi una studentessa impreparata che scoppia a piangere perché non sa rispondere alla domanda pòstale dalla commissione d’esame. Diventare attore politico a livello globale non è semplice, men che meno quando si deve trovare un compromesso tra Ventotto membri che non la pensano alla stessa maniera. Ma l’attualità degli eventi rende più di una priorità l’esigenza di un’Europa che sia unita dal punto di vista meramente politico, con strutture che ne simboleggino, al suo interno e al di fuori dei suoi confini, una sorta di statualità.

Al di là delle metafore, quel pianto incontrollabile ha suscitato soprattutto perplessità, poiché emblema di un’Istituzione che è parsa molto indietro, e in modo preoccupante, nel suo piano di studi per conseguire la laurea in potenza globale. Un traguardo che consiste nel mostrare di aver finalmente BELARUS-UKRAINE-RUSSIA-EU-SUMMITuna politica estera comune: l’esperienza del vertice di Minsk tra Ue, Russia e Ucraina dell’agosto 2014 ha rappresentato una best practice, non fosse altro per aver consentito l’avvio del dialogo tra Mosca e Kiev e di aver coinvolto nelle trattative un soggetto terzo, la Bielorussia, che può rivelarsi un utile mediatore, essendo formalmente amica dei russi ma ultimamente molto più disponibile verso Bruxelles di quanto non fosse stata in precedenza. Il buon successo di Minsk è stato incoraggiante per provare a ricostruire i rapporti con la Russia, ma soprattutto per ridurre le divergenze tra l’Europa occidentale, più possibilista nella trattativa con Putin, quella orientale, storicamente anti-russa e più intransigente. Già se la brava Mogherini riuscisse a ripartire dall’opera della Ashton, potrebbe annoverarlo come un successo. Ma intanto quelle lacrime denotano la frustrazione di un’Europa che pare non riuscire a venire a capo di una situazione obiettivamente difficile.

Beata_Szydło_September_2015_(cropped)L’Europa orientale è l’origine della frattura che oggi rende debole l’Ue. Non bastasse l’ungherese Orban, ora a creare problemi ci si è messo anche il governo ultranazionalista di Beata Szydlo in Polonia, che con le sue leggi sul controllo dei media pubblici e sulla limitazione dei poteri della Corte Costituzionale sembra aver lanciato una sfida alla Commissione e soprattutto al Consiglio europeo, presieduto da quel Donald Tusk che i seguaci di Jaroslaw Kaczynski detestano visceralmente. Stesso dicasi sul processo d’ingresso della Turchia nell’Unione: Varsavia è la capofila del fronte euroscettico del “No”, e anche su questo servirà lavorare molto per superare le divisioni e avere una linea comune, che servirà soprattutto a imporre i fondamenti dell’Europa comunitaria ai chi intende diventarne parte e a chi è già membro, ma pare esserselo dimenticato.

Reception Centre for Migrants in CalaisSolo se riuscirà a ricucire i rapporti tra i suoi componenti e se si mostrerà compatta l’Ue avrà la chance di far valere il suo ruolo di potenza globale dinanzi alle gravi crisi della contemporaneità. A cominciare da quella dei migranti che già ha varcato le sue porte, perchè le radici stesse dell’Europa le impongono di tracciare un indirizzo politico nei Balcani, nel Vicino Oriente e in Africa, dove ciurme di disperati mettono in gioco la propria vita per cercarne una migliore.

Ma anche qui l’ostruzionismo non controllabile dei Paesi dell’Est non fanno altro che ritardare una soluzione non più procrastinabile, che si intreccia con i destini politici della Turchia ma anche di Serbia, Fyrom (ex Repubblica jugoslava di Macedonia), Bosnia, Montenegro, Albania e di chiunque voglia entrare nella grande famiglia europea. L’allargamento è parte stessa del grande ideale europeista, e come tale non può prescindere dal rispetto specifici valori, perchè l’Ue nasce dalle macerie di una guerra civile europea, scatenata da chi riteneva la libertà di stampa e il rispetto delle minoranze come delle zavorre di cui liberarsi.

Donald TrumpCominciare a studiare da potenza globale è un obbligo. Fra meno di un anno gli Usa, partner primario dell’Ue, avranno un nuovo presidente. Il che per Washington potrebbe comportare continuità rispetto al passato, ma anche una nuova linea politica. Donald Trump, che probabilmente sarà il candidato del Partito Repubblicano alla Casa Bianca, ha ridestato un carattere isolazionista del Grand Old Party che non si vedeva dai primi del Novecento. E questa politica piace alla base degli elettori repubblicani, per il quale il motto First America! suona come un prima risolviamo i nostri problemi, poi quelli degli altri. Se gli Usa dovessero nei prossimi anni optare per il disimpegno dalle principali crisi mondiali, l’Europa dovrà colmare il vuoto lasciato da Washington. E per farlo, dovrà essere in grado di gestire crisi nelle aree più prossime ai confini dell’Ue, come in Medio Oriente e in Africa. Un’eventualità non così remota come si pensi, per la quale bisogna cominciare a prepararsi.

Alessandro Ronga

Foto © European Community, Wikicommons/Skidmore

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Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

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