Budapest è solo il più recente caso di una legislazione antiterrorismo accusata in tutto il mondo di essere eccessivamente invasiva o repressiva
Ennesima bocciatura da parte di Strasburgo per l’Ungheria. La Corte europea dei Diritti Umani ha rigettato la normativa anti-terrorismo varata nel 2011 in materia di sorveglianza segreta in quanto viola il diritto alla privacy dei cittadini.
La norma infatti sembra non contenere «garanzie sufficientemente precise, efficaci e complete» sulle misure previste e non rende noto il modo in cui i cittadini possano far ricorso contro la norma.
La Corte di Strasburgo è intervenuta a seguito del procedimento, avviato nel 2014, da parte di Máté Szabó e Beatrix Vissy, membri di una organizzazione non governativa con sede nella capitale. Szabò e Vissy si erano in un primo momento rivolti alla propria Corte Costituzionale chiedendo che la legge prevedesse una maggiore protezione dei diritti dei cittadini, in quanto essi sarebbero potuti potenzialmente essere soggetti a misure intrusive e sproporzionate a seguito dell’applicazione della legge anti-terrorismo in materia di sorveglianza segreta. La Corte nazionale ha rigettato il caso, spingendoli ad adire la Corte europea per la violazione degli articoli 6 e 13 della Convenzione dei diritti umani (CEDU) ratificata da tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa compresa l’Ungheria.
I difetti della legislazione criticata dalla Corte sono tre:
-La sorveglianza segreta potrebbe violare la privacy di qualunque cittadino, potenzialmente anche non coinvolto in attività terroristiche.
-L’autorizzazione per l’applicazione delle misure proverrebbe interamente dall’esecutivo senza alcuna valutazione preventiva effettuata da un giudice o da un organismo imparziale in grado di valutare se le misure «siano strettamente necessarie» e monitorare a posteriori la loro attuazione.
-L’impossibilità per i cittadini di ricorrere contro il governo per l’uso di misure estremamente intrusive.
L’anno scorso era stata la volta della Polonia e ancora prima quella della Macedonia, entrambi accusati di aver violato di diritti fondamentali di alcuni sospettati e averli estradati senza assicurarsi che essi non sarebbero stati torturati o giustiziati.
In tutto il Vecchio Continente, negli ultimi anni, si sono varate nuove leggi per combattere il terrorismo o si è dato maggiori poteri alla normativa esistente.
La dialettica “misure di polizia vs rispetto delle libertà fondamentali” è vecchia almeno di quindici anni: del 2001 è il Patriot Act, misure straordinarie post 11 settembre varate dal governo americano, poi dichiarate anticostituzionali.
E’ indubbio che grazie a queste leggi la lotta la terrorismo a tutti i livelli, nazionale ed internazionale, abbia tratto degli enormi vantaggi. Ed è anche vero che per riuscire a difendere i cittadini da una minaccia così capillare contro chi “gioca senza regole” non è possibile utilizzare i canali tradizionali. Tuttavia i diritti e le libertà dei cittadini, così faticosamente ottenuti e non ancora del tutto rispettati, rischiano di venir meno proprio a causa di chi quei diritti dovrebbe come primo compito proteggerli.
Dal Regno Unito alla Malesia passando per l’Egitto, sono tantissimi gli Stati europei e non contro cui organizzazioni come Human Rights Watch hanno dovuto lanciare l’allarme.
Se la lotta al terrorismo è fondamentale per la nostra sicurezza, la lotta per la salvaguardia dei diritti umani e libertà quali libertà di spostamento, diritto alla privacy, libertà di parola e altri ancora, sono ugualmente fondamentali per la dignità dell’essere umano.
Ilenia Maria Calafiore
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