Meraviglie dell’arte islamica in mostra alle Scuderie del Quirinale

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Un’esposizione di alto profilo estetico, ma anche un invito al dialogo e alla comprensione fra Oriente e Occidente

In questo particolare momento storico, caratterizzato dalla cruda contrapposizione fra Oriente e Occidente, una mostra sull’arte islamica come quella allestita presso le Scuderie del Quirinale, forte dei pezzi migliori tratti dalla straordinaria collezione dello Sceicco al-Sabah del Kuwait, a molti potrà apparire come un azzardo. Si tratta invece di un momento di riflessione necessario per penetrare a fondo in una cultura sovente fraintesa, un invito al dialogo e alla comprensione reciproca.

Ostacolo ad una esatta collocazione del fenomeno il suo carattere sintetico, ricchissimo di suggestioni le quali vengono assimilate e trasformate in un qualcosa di completamente nuovo. Ne risulta un cosmo lontanissimo dall’autoreferenzialità, nutrito dei contributi più variegati. L’arte islamica non è dunque unitaria, e non è sempre agevole rendere conto delle sue innumerevoli sfaccettature. Per comodità classificatrice l’esposizione si concentra sui tre grandi imperi sorti nel sedicesimo secolo: quello Ottomano turco, quello Safavide in Iran e quello Moghul in India.

263Altro mito da sfatare, la presunta iconoclastia della religione islamica. Certo il monoteismo inflessibile e l’abbattimento degli idoli alla Mecca conducono l’arte, in particolar modo agli inizi, verso nuovi percorsi. Eppure la rappresentazione di forme umane o animali non è esplicitamente proibita dal Corano, come erroneamente si continua a ripetere. La distruzione delle statue antiche da parte degli estremisti deriva da una interpretazione radicale delle sacre scritture, ma in nessun luogo viene sancita ufficialmente. Il Corano in realtà non dice molto riguardo l’espressione estetica. Non potendo entrare in competizione con Dio nell’ambito della creazione, l’artista sfugge la pignola e veritiera imitazione del reale per non cadere nella tentazione di credersi onnipotente. Dio è infinito e quindi irrappresentabile. L’uomo, in quanto limitato, può solo intuire e accennare alla grandezza del creato.

Casomai occorre distinguere fra l’ambito pubblico e quello privato. Lo spazio della moschea, luogo di aggregazione e simbolo della comunità, non ammette rappresentazioni antropomorfe ma predilige il segno astratto, i caleidoscopi decorativi che distaccano i fedeli dai limiti del contingente. Onnipresente la scrittura quale veicolo principe del messaggio religioso, il marchio calligrafico inciso sulle pareti di tutti gli edifici sacri. Altra cosa è l’ambito privato. L’arte della miniatura, con le sue straordinarie e puntigliose narrazioni, fiorisce nelle committenze delle classi più agiate.

Il repertorio dell’arte islamica è naturalmente portato verso l’arabesco e le forme geometriche, espressioni alle quali vengono dedicate due sezioni della mostra. Il motivo del tralcio foliato deriva dalla cultura classica, ma nelle mani degli artisti musulmani diviene occasione per sfuggire la temporalità. Il decorativismo elude la rappresentazione realistica per farsi archetipo. La geometria diviene poi il luogo dell’infinito. Stante l’impossibilità di rappresentare Dio, se ne suggerisce l’onnipotenza tramite procedimenti astratti e privi di una conclusione.

293Fra gli artisti prevale l’anonimato (sovente fanno eccezione proprio i copisti e gli scrivani, a sancire il ruolo egemone della scrittura). L’Islam si trova agli antipodi rispetto al culto della personalità occidentale. Nel suo romanzo Il mio nome è rosso lo scrittore turco Orhan Pamuk, a proposito dei miniaturisti del XVI secolo, parla dell’idea di firmare le proprie opere come una tentazione da sfuggire. Lo scontro fra la tradizione ottomana e la ritrattistica veneziana, con la sua pretesa di assoluta verosimiglianza, domina la trama del libro.

Completa il percorso espositivo una sezione dedicata ai tesori della gioielleria islamica, in gran parte provenienti dal subcontinente indiano e legati alla dinastia Moghul. Oggetti di incredibile fattura che, lungi dal rappresentare una forma artistica minore, forniscono un’idea dell’altissimo livello raggiunto dalla cultura islamica.

Riccardo Cenci

Arte della civiltà islamica. La collezione al-Sabah, Kuwait

Scuderie del Quirinale – Roma

dal 25 luglio al 20 settembre 2015

Orari: dalla domenica al venerdì dalle ore 12.00 alle ore 20.00. Sabato dalle 12.00 alle 23.00.

Biglietti: intero € 8,00 ridotto € 6,00

www.scuderiequirinale.it

Catalogo: Skira

Immagine in alto. Mattonella ottagonale di ceramica con corpo in “pasta fritta” proveniente dal mausoleo
di Khwaja Rabi’ a Mashhad (Iran nord-orientale), decorata con un esagono centrale (iscritto col
motto “Oh Protettore”, invocazione a Dio), dal quale si sviluppa un motivo di tralci
arabescati che da esagonale diviene ottagonale
Iran orientale, Mashhad,
1620 circa
Ceramica stampata, ingobbiata, dipinta in blu e nero sotto un’invetriatura trasparente
incolore, altezza 20,5 cm, larghezza 20,5 cm
Inv. LNS 290 C

Al centro. Pagina staccata da un album con la rappresentazione di un pittore vestito in modo sontuoso intento a comporre una miniatura in stile persiano o del Deccan. Probabilmente da attribuire all’artista Moghul Manohar. E’ “firmato e datato” in basso a sinistra “Opera di Bihzad 894” (1488-89 d.C.): in realtà è l’indicazione che si tratta di una copia di un disegno originale del famoso miniaturista del tardo periodo Timuride Bihzad
Inv. n. LNS 57 MS
Inchiostro, tempere policrome e doratura su carta, 33×27.8 cm
India Settentrionale, primo ventennio del XVII secolo d.C.

In basso. Huqqa (hooqah), o contenitore di giada bianca, ageminato con motivi floreali in rubini e smeraldi. Il collo lavorato da un singolo blocco. Le placche sul corpo sono lavorate separatamente e applicate successivamente su una sottile base di rame.
Inv. n. LNS 635 HS
Nefrite scolpita, incisa e polita con strumenti lapidari. Le placche di giada e le pietre preziose inserite con a tecnica kundan, 19.6×18 cm.
India, probabilmente Deccan, fine XVII-XVIII secolo d.C.

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Riccardo Cenci
Riccardo Cenci. Laureato in Lingue e letterature straniere moderne ed in Lettere presso l’Università La Sapienza. Giornalista pubblicista, ha iniziato come critico nel campo della musica classica, per estendere in seguito la propria attività all’intero ambito culturale. Ha collaborato con numerosi quotidiani, periodici, radio e siti web. All’intensa attività giornalistica ha affiancato quella di docente e di scrittore. Ha pubblicato vari libri (raccolte di racconti e romanzi). Attualmente lavora come Dirigente presso l’Enpam.

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