“Mia o di nessun altro”. Il lato impervio dell’amore

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Un libro sul coraggio delle Donne che trovano la forza per reagire e combattere la violenza. Perché chi ha avuto la forza di denunciare riuscirà a rialzarsi completamente

«Le storie raccontate in questo libro potrebbero definirsi storie d’amore come tante: nascono con un primo incontro casuale, cene galanti, regali, ma per molte di esse è tristemente diverso il finale». Con queste parole tanto significative si apre la prefazione di Maurizio Costanzo al libro di Catia Acquesta.

Tre le storie principali raccontate in “Mia o di nessun altro” scelte tra tantissimi casi di donne che hanno subito violenza domestica. Daria, protagonista del primo racconto, è una donna che ha avuto il coraggio di lasciare il marito, nonostante continuava a ripeterle «se mi lasci ti ammazzo», per inseguire i suoi sogni che stavano diventando irrealizzabili a causa della possessività e della gelosia di lui. Un marito, Paolo, che ha perseguitato lei e la sua famiglia con minacce verbali e fisiche. Tante le difficoltà, i momenti di sconforto, che ha dovuto affrontare. Siamo nel 1999 e purtroppo non ha nemmeno dalla sua parte la giustizia, non c’è ancora una legge che punisca gli atti persecutori, quindi tutte le sue denunce, all’incirca una ventina, e quelle dei suoi parenti minacciati da lui, non la possono aiutare.

La legge arriverà in suo soccorso solo nel 2009 appunto, con l’introduzione dell’art. 612 bis del c. p. che riconoscerà finalmente il reato di stalking, Paolo solo allora iniziò a modificare, in parte, le sue condotte persecutorie. Ma Daria si sentì finalmente libera solo dal 2013. La forza di questa donna la contraddistingue. Ha fatto della sua vita ciò che sognava facendo appello a tutta la determinazione di cui fosse capace. È andata avanti senza fermarsi mai, i momenti difficili ci sono stati, sono stati tanti, ma non si è mai abbattuta. Ha trovato in sé stessa un coraggio e una forza che nemmeno lei sapeva di avere.

               Catia Acquesta

Nella seconda storia, Catia Acquesta, ci fa conoscere le vicissitudini della vita di Francesca. Mamma, separata, di una bambina di 2 anni che per vivere lavorava come cameriera in un ristorante. Proprio qui incontra Tullio, che la corteggia da vero principe azzurro. Dopo 6 mesi inizia la loro convivenza a casa di lei. Ma purtroppo la verità non tarderà ad arrivare. Tullio si rivela essere molto diverso da quello che le aveva dimostrato di essere. «Iniziò a bere, faceva discorsi strani, non collaborava alle spese, tornava a casa ubriaco, non si usciva più…» Francesca, tra le lacrime, racconta che questo fu solo l’inizio di una terribile storia che purtroppo è andata avanti per più di vent’anni e che, a oggi, non si sa come possa finire. «Ho ancora in mente le dolci parole che mi diceva ogni giorno prima di andare a convivere: “Mi prenderò cura di te e della tua bimba sempre, ci sarò in ogni istante, vi proteggerò da tutti e tutto”». E invece la situazione peggiorò ulteriormente quando ebbero un altro figlio. Francesca si trovò costretta a chiedere il latte per il suo bambino ad un’amica perché lui era partito per una vacanza a Cortina e lei non aveva più soldi. Solo nel 2014, dopo l’ennesima violenza subita, trovò il coraggio di mandarlo via di casa. Ma lui non si arrese e iniziò a perseguitarla, era ovunque lei andasse, dovette cambiare le sue abitudini e la sua vita. Per fortuna quando Francesca si decise a denunciare Tullio, il 20 agosto 2014, la legge sullo stalking era già in vigore e lui venne arrestato.

La terza storia inizia con un biglietto della famiglia Delfino verso la famiglia Multari. Maria Antonietta Multari (detta Antonella) è una ragazza brutalmente uccisa con 40 coltellate in pieno giorno e in pieno centro a Sanremo dall’ex fidanzato Luca Delfino. La stampa ha parlato molto di una lettera, in realtà si tratta di un biglietto, che Rocco e Rosa, i genitori di Maria Antonietta, non vollero mai leggere e che consegnarono in busta chiusa all’avvocato Marco Bosio, loro difensore di fiducia. Catia Acquesta nel libro ci racconta di aver provato a parlare con il padre di Luca, che fino a quel giorno non aveva mai rilasciato interviste. Ma le è evidente che per Giuseppe Delfino è un grande sforzo parlare e che dietro alla ritrosia si avverte un peso insopportabile. Varie sono invece sono le conversazioni con la mamma di Maria Antonietta. Una famiglia segnata da vicissitudini tragiche ma nulla paragonabile alla morte della figlia.

Rosa racconta: «Il dolore non muta col tempo, anzi, col passare degli anni aumenta di continuo. Il pensiero che l’assassino di mia figlia stia già per finire di scontare la sua pena e stia per uscire dal carcere mi angoscia. Delfino verrà a uccidermi. Lo so. Lui mi odia perché io non ho mai accettato la loro storia. Vedrete, andrà proprio così, ve lo sto preannunciando. La prima denuncia contro di lui la feci proprio io. Dopo solo quindici giorni dall’inizio della loro relazione, Antonella cominciò ad allontanarsi da me e da mio marito. Non rispondeva più nemmeno al telefono. Molto preoccupata, decisi di raggiungerla presso la sua abitazione. Luca non le permise di rispondere né al citofono né al telefono.

   A sinistra una foto di Maria Antonietta Multari

Mi diressi a quel punto al commissariato più vicino per sporgere denuncia. L’indomani raggiunsi mia figlia sul suo posto di lavoro ma lei, frettolosamente, mi liquidò dicendomi che non poteva parlare, che stava bene e che non avrei dovuto preoccuparmi. Dal viso di mia figlia, però, trapelava il contrario. Era molto triste e impaurita. Una mamma certe cose le avverte. Tornai a casa e parlai immediatamente con mio marito di questa situazione. Non era per niente tutto a posto. Mia figlia era diversa. Un giorno mi arrivò un sms con scritto non rompere i coglioni, sono sposata con Luca, lasciateci in pace, addio! Era chiaro che non fosse un messaggio scritto dalla mia Antonella. Si conobbero casualmente all’ospedale Galliera di Genova, dove mio marito era ricoverato. Mia figlia scese al piano terra a comprare una bottiglietta d’acqua da un distributore automatico di bevande. Lì incontrò Luca Delfino, il suo futuro assassino. Ne nacque una relazione caratterizzata da persecuzioni e violenze, privazioni e minacce che spinsero mia figlia a interromperla». La decisione di Maria Antonietta di lasciare Luca non fu mai perdonata da lui che il giorno prima del compleanno della ragazza comprò guanti, coltello e una collanina e andò ad ucciderla.

«Professore ma l’amore che cos’è?»
«L’amore è tante cose: sentimento, passione, desiderio, azione attraverso l’attenzione, la cura, l’ascolto, il rispetto e la capacità di fare il bene dell’altro». Nel quarto capitolo Catia Acquesta fa questa domanda al professor Domenico Carbone, psicologo e psicoterapeuta che intervista per capire quali meccanismi scattano nella mente di uno stalker. Nel capitolo successivo vengono descritti gli iter che intercorrono dal commissario alla procura. «Quando arriva un fascicolo di violenza» – narra Eleonora Fini, sostituto procuratore di Roma – «se ci sono motivi urgenti viene subito segnalato e immediatamente assegnato a me o ai miei colleghi. Al massimo entro poche ore da quando arriva la segnalazione. Se il fatto è grave, dopo la denuncia alla polizia giudiziaria si passa all’ufficio ricezione atti, dopodiché viene assegnato al sostituto procuratore che è di turno quella settimana. Da quel momento si inizia a esaminare il fascicolo, a prendere visione dei documenti allegati, vengono ascoltati eventualmente familiari o amici con i quali la parte offesa si è sfogata e si acquisisce tutta la documentazione che attesta il reato di persecuzione».
La scrittrice all’interno del libro inserisce gli articoli e le agenzie stampa della battaglia giornalistica che ha portato avanti con l’associazione Lettera22 per avere una legge sullo stalking. La quale dopo varie vicissitudini e ripensamenti da parte della classe politica è divenuta tale.
Non mancano le similitudini con i tempi antichi in cui le donne erano, in alcuni casi, ridotte a schiave sessuali o brutalmente uccise da assassini mai condannati.
La scrittrice con questo libro vuole anche riportare l’attenzione su un punto davvero importante, ma a volte sottovalutato. Dopo una condanna del suo carnefice come sta una donna? Si fiderà ancora di un uomo? Sicuramente avrà bisogno di un sostegno psicoterapeutico e di persone che le vogliono bene vicino. Sarà dura ma se ha avuto la forza di denunciare riuscirà a rialzarsi completamente. Tante donne ce l’hanno fatta e da questo libro si può avere ispirazione e coraggio per affrontare situazioni difficili in cui non si vede una via d’uscita, prima che sia troppo tardi.
“È un inferno essere amati da chi non ama né la felicità, né la vita, né sé stesso, ma soltanto te”.
Elsa Morante

 

Ginevra Larosa

Foto © Caosfera, Ernesto Bitonte, La Riviera

 

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