Negli ultimi 20 anni il fenomeno estivo è raddoppiato a Roma, triplicato ad Atene e aumentato in oltre il 60% delle grandi città monitorate
Un’ondata di calore è un periodo di tempo particolarmente caldo, con temperature diurne e notturne insolitamente elevate rispetto alle temperature medie tipiche del periodo e dell’area geografica, con una durata di almeno due-tre giorni e un potenziale impatto sull’uomo e sugli ecosistemi in generale. Le ondate di calore urbane stanno aumentando in frequenza, intensità e durata. I dati sono riportati in uno studio pubblicato sulla rivista Atmosphere da quattro strutture di ricerca fiorentine: Istituto di biometeorologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibimet-Cnr), Centro di bioclimatologia dell’Università, Consorzio Lamma e Accademia dei Georgofili. La ricerca ha monitorato l’andamento delle ondate di calore nelle 28 capitali dell’Unione europea, utilizzando i dati del periodo maggio-settembre dal 1980 al 2015, classificate in base alle linee guida del World Health Organization e del World Meteorological Organization.
«La maggior parte delle capitali ha evidenziato trend positivi della frequenza, durata e intensità delle ondate di calore e un generale anticipo della prima ondata stagionale, con differenze di impatto a livello geografico», spiega Marco Morabito dell’Ibimet-Cnr, coordinatore della ricerca. «Nel sotto-periodo 1998-2015 sono stati osservati, in confronto al 1980-1997, aumenti di durata e intensità delle ondate in oltre il 60% delle capitali europee, in particolare di area centro e sud-orientale: da una frequenza dei giorni di ondata di calore del 7-8% dei giorni estivi al 12-14%».
Il gruppo di ricercatori ha calcolato un indicatore sintetico e informativo chiamato Heatwave Hazard Index (Hwhi) che permette di analizzare contemporaneamente tutte le specifiche dell’impatto dell’ondata di calore: il numero di giorni, il numero delle ondate di calore lunghe e intense e la data della prima. «L’Hwhi è raddoppiato a Vienna, Budapest, Ljubiana e Nicosia, triplicato a Zagabria e Atene. A Roma l’indice è raddoppiato nel 1998-2015 rispetto al periodo precedente e in particolare la frequenza dei giorni di ondata è passata dal 5 al 13%», specifica Morabito. «Abbiamo notato che le differenze di impatto delle ondate di calore nei periodi studiati sono associate a due configurazioni climatiche completamente differenti. Nei primi 18 anni le zone dell’Europa occidentale e settentrionale mostravano i più alti livelli di Hwhi, mentre le aree dell’Europa meridionale e sud-orientale presentavano valori più bassi e maggiore instabilità atmosferica. Nel secondo periodo, invece, si è verificata una situazione diametralmente opposta, con una sensibile persistenza dei sistemi di alta pressione, e quindi di gran caldo, sulle zone dell’Europa meridionale e soprattutto sud-orientale».
Morabito sottolinea, infine, la necessità di programmare strategie di mitigazione e adattamento al caldo: «Sarebbe utile limitare l’uso dei condizionatori e in generale dell’elettricità, ridurre i livelli di emissione di calore dagli autoveicoli, intensificare le aree verdi in ambiente urbano, riducendo l’impermeabilizzazione dei suoli, ricorrere all’uso dei green-roof (tetti con vegetazione) e dei cool-roof (tetti freddi), questi ultimi realizzati con materiali altamente riflettenti ed emissivi che riducono le temperature. Predisporre centri per il raffrescamento in città, come le fontane, aiuta infine a moderare le fluttuazioni di temperatura e a formare microclimi favorevoli”.
Pierfrancesco Mailli
Foto © Cnr (Nell’immagine in apertura, la variazione percentuale dell’indicatore “Heatwave Hazard Index” – Hwhi – nel periodo 1998-2015 rispetto al periodo 1980-1997 nelle capitali dei 28 Stati membri dell’Unione europea. La legenda indica cinque classi. In rosso è evidenziata l’area geografica con le capitali europee che hanno mostrato incrementi di Hwhi superiori al 100%).