Parla Mario Monti: io, l’Europa e Renzi

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Il senatore allo Spazio Europa di Roma: Juncker è l’uomo adatto per guidare la Commissione. Renzi? L’Ue ha fiducia in lui

Esprime giudizi positivi sul nuovo presidente della Commissione Ue e gli suggerisce anche qualche iniziativa per rafforzare la concorrenza, ma loda anche Matteo Renzi per la sua prima volta in Europa e lo incoraggia a portare avanti i suoi progetti di riforme: parole del senatore Mario Monti, ospite della terza ed ultima intervista-dialogo condotta dal giornalista Rai Angelo Polimeno su “Le priorità della legislatura UE 2014-2019″, iniziativa organizzata a Roma dalla Rappresentanza dell’Ue in Italia. Ecco alcuni estratti dell’intervista.

L’alleanza tra il Ppe e il Pse tiene: Juncker è presidente della Commissione Europea. Che Commissione sarà?

«Una Commissione che nasce con un quid in più, ovvero il ruolo che ha avuto il Parlamento Europeo nel dibattito per la scelta del nuovo Presidente. Juncker è una figura più comunitaria che intergovernativa e che può dare alla Commissione un’impronta simile. È uomo del Ppe, ma negli incarichi di governo che ha ricoperto in Lussemburgo si è sempre caratterizzato per un’attenzione al sociale tipica di un rappresentante del socialismo europeo. Non a caso è un fautore della cosiddetta “economia sociale di mercato”: presta ad esempio attenzione alle tematiche del lavoro e ha un buon rapporto con il mondo sindacale, aspetti ovviamente graditi al Pse che hanno permesso una convergenza sul suo nome. È un politico che si sente a suo agio nella vita comunitaria. Durante l’ultima presidenza lussemburghese dell’Ue ha permesso l’approvazione di direttive fondamentali riguardanti la fiscalità di base. In occasione della mia esperienza a Palazzo Chigi avemmo modo di conoscerci meglio: lui era a capo dell’Eurogruppo, e dai nostri colloqui capivo che sosteneva gli sforzi di risanamento in cui era impegnata l’Italia».

Da molte parti si chiede a Bruxelles una svolta, ovvero: l’Ue deve acquisire una fisionomia politica ben determinata. E invece, abbiamo un altro presidente di Commissione eletto da un’alleanza tra socialisti e popolari: possibile che questa svolta debba essere guidata dai partiti contro i quali la svolta viene richiesta?

«Sì, perchè una svolta è possibile proprio quando si ha l’esperienza per capire cosa non ha funzionato e per questo lo si vuol cambiare. Ppe e Pse sono essenziali per l’Europa, e non mi meraviglia affatto che la svolta possa partire da loro. Personalmente, non penso serva una svolta, perché questa è già in corso. All’indomani della crisi greca la governance dell’Eurozona ha avuto un’ evoluzione: si è creata maggiore stabilità con la limitazione dello spread, simbolo di un nuovo clima di pensiero. Non è però sufficiente. Serve maggiore attenzione sulla spesa pubblica, serve più tutela dei vincoli di bilancio: la disoccupazione di oggi deriva dal mancato rispetto di questi ultimi, ovvero da una mancanza di Europa nelle politiche degli anni passati. Vi sembra etico che i governi possano indebitarsi a loro piacimento a spese delle generazioni future?».

Il modo con cui l’Italia cerca più attenzione per la crescita va corretto? Renzi è stato male interpretato sulla flessibilità?

«Finora no. Una richiesta di tal genere proveniente dall’Italia poteva dare origine a un’interpretazione sbagliata. Avrebbero potuto pensare: “Ecco, i soliti italiani che non vogliono rispettare le regole”. Renzi tuttavia gode di buoni giudizi in Europa: c’ è rispetto per chi dimostra di avere successo politico e di imporsi sull’elettorato».

Renzi ha fatto bene a ricordare alla Germania le sue difficoltà di bilancio dei primi anni Duemila e il sostegno ottenuto dall’Ue?

«L’ho ricordato anche io ai tedeschi. Ma voglio specificare che la Commissione presieduta da Prodi nel 2003 non fece sconti a Berlino. Fu invece il Consiglio che sugli sforamenti tedeschi passò oltre, anche con contributo italiano. Nacque allora la convinzione che una situazione come quella non avrebbe più dovuto ripetersi. Renzi ha mostrato maturità».

E’ un successo dell’Italia il fatto che si parli di flessibilità negli investimenti pubblici?

«Già ad inizio 2013 come governo ci battemmo per questo, con l’aiuto della Francia. Bene anche il risultato conseguito per il saldo dei debiti della Pubblica Amministrazione. Bisogna proseguire su questa strada. La forza di un leader politico in Europa dipende dalla forza con cui rovescia il tavolo. L’Italia finora sta facendo bene».

Ci sono legami tra la battaglia di Renzi per le riforme e la flessibilità richiesta?

«Più tenui di ciò che si pensi. Le riforme sono comunque ben viste all’estero. Quella istituzionale è apprezzata, ma le riforme sul lavoro e in campo economico cambierebbero la percezione dell’Italia molto di più di quella del Senato, perché mostrerebbero la capacità di prendere decisioni efficaci e robuste».

Che provvedimenti prenderebbe se guidasse lei la Commissione?

«Avrei troppe risposte. Attuerei un mercato sociale e costringerei i governi ad abbandonare nazionalismi energetici. Varerei una strategia per creare un mercato unico dell’energia, e sceglierei di ristrutturare il mercato interno per renderlo più fluido».

Cosa pensa delle accuse alla Mogherini di essere “filorussa”?

«Un’accusa che è normale, visto da dove proviene: non ci possiamo certo aspettare che i Paesi baltici abbiano la stessa sensibilità di altre nazioni nei confronti della Russia. La sfida di Mosca valorizzerà ancor di più il ruolo dell’ Alto Rappresentante per la Politica Estera».

La scelta di chiedere per l’Italia la Politica Estera è stata criticata: questo ruolo non servirebbe ad avere un maggior peso sulle decisioni a Bruxelles.

«Il Rappresentante per la Politica Estera è la colonna portante del nuovo edificio europeo. Certo, il suo ufficio è il mondo: ma siamo certi che dirigere un portafoglio strategico per gli interessi italiani rappresenti un vantaggio? Io non credo. Ricordiamoci anzitutto che qui parliamo di un mercato unico e di concorrenza: dopo tre votazioni in cui fai gli interessi solo del tuo paese nessuno ti darà poi più un briciolo di credibilità».

Debito pubblico e disoccupazione non sono in linea con le attese.

«Dopo le elezioni 2013 si è perso del tempo prezioso su questioni non prioritarie. Adesso bisogna  riprendere il discorso sulla spending review e sulle riforme strutturali. Il mio governo dipendeva da un Pd che era legato alla Cgil, mentre oggi Renzi ha il vantaggio di essere il padrone del partito, e proprio per questo non deve rinunciare alla sfida. Con il varo delle riforme chi ci osserva dall’ Europa sarebbe anche più tollerante sulla tenuta dei nostri conti».

Renzi le esclude, ma dobbiamo temere manovre correttive? Saremo in grado di rispettare scadenze come la riduzione del debito pubblico senza ulteriori manovre?

«Oggi ci viene riconosciuto, a livello internazionale, che lo sforzo compiuto per l’ultima riforma delle pensioni ha indiscutibilmente avuto un impatto positivo sui nostri conti pubblici. Ciò che è da temere è un eventuale referendum abrogativo di quella legge: ci riporterebbe indietro, con conseguenze negative facili da immaginare».

Alessandro Ronga

Foto © Eurocomunicazione / A. Ronga, 2014

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Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

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