Permessi di soggiorno troppo cari, la Corte di giustizia dell’Ue boccia l’Italia

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Sentenza nella causa C-309/14, Cgil e Inca contro Presidenza del Consiglio dei ministri, ministero dell’Interno, ministero dell’Economia e delle Finanze

In Italia il permesso di soggiorno per i cittadini di Paesi terzi (che si trattengono per un lungo periodo) è sottoposto al versamento di un contributo, fra un minimo di 80 e un massimo di 200 euro, secondo il decreto legislativo n. 286/1998, testo unico sull’immigrazione. Gli importi sono precisati da un decreto del 31/12/2011. Inoltre, ai sensi della preesistente normativa italiana, tuttora vigente, oltre ai contributi previsti dal decreto del 2011 deve essere versato un importo complessivo di 73,50 euro.
CGELa Confederazione generale italiana del lavoro (Cgil) e l’Istituto nazionale confederale assistenza (Inca) hanno chiesto al Tar del Lazio l’annullamento del decreto del 2011, sul contributo per il rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno da parte dei cittadini dei Paesi terzi, soggiornanti di lungo periodo. Hanno fatto valere la natura sproporzionata del contributo. Infatti, il costo per il rilascio della carta d’identità in Italia ammonta attualmente a circa dieci euro. Poiché per il permesso di soggiorno l’importo più basso fissato dal decreto del 2011 è di ottanta euro, l’onere economico imposto al cittadino dello Stato terzo per ottenere il rilascio del titolo è circa otto volte più elevato.
curiaIl Tar del Lazio ha ritenuto che occorresse esaminare la compatibilità delle norme italiane con le disposizioni del diritto dell’Unione europea. Si rifà alla sentenza del 26/4/2012, Commissione europea contro Regno dei Paesi Bassi, secondo cui lo Stato membro rispetta i principi espressi nella direttiva 2003/109 sullo status dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo  solo se gli importi dei contributi richiesti non si attestano su cifre macroscopicamente elevate e quindi sproporzionate rispetto all’importo dovuto dai cittadini di quel medesimo Stato per ottenere un titolo analogo, come ad esempio la carta nazionale d’identità. I Paesi Bassi prevedevano un importo pari a circa sette volte l’importo richiesto per la carta d’identità.
CGENella sua sentenza, la Corte di giustizia dell’Ue ricorda innanzitutto che l’obiettivo principale della direttiva è l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo negli Stati membri. La Corte riconosce che questi possono subordinare il rilascio al pagamento di contributi e che, nel fissarne l’importo, dispongono di un margine discrezionale. Tuttavia, tale potere discrezionale non è illimitato, non può compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla direttiva e deve rispettare il principio di proporzionalità; i contributi non devono creare un ostacolo al conseguimento dello status di soggiornante di lungo periodo.
CGE2L’incidenza economica del contributo italiano può essere considerevole a maggior ragione per il fatto che, in considerazione della durata dei permessi e il loro rinnovo, deve essere pagato assai di frequente.
La Corte sottolinea, inoltre, che la metà del gettito prodotto dalla riscossione del contributo è destinata a finanziare le spese connesse al rimpatrio dei cittadini dei Paesi terzi in posizione irregolare. Essa respinge quindi l’argomento del governo italiano secondo cui il contributo è connesso all’attività istruttoria necessaria alla verifica del possesso dei requisiti previsti per l’acquisizione del titolo di soggiorno.
Per questi motivi, la Corte ha dichiarato che la direttiva 2003/109/CE sullo status dei cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, non ammette la normativa italiana, che impone ai cittadini di Paesi terzi che chiedono il rilascio o il rinnovo di un permesso di soggiorno di pagare un contributo di importo variabile tra gli 80 e i 200 euro: siffatto contributo è sproporzionato rispetto alla finalità perseguita dalla direttiva e può creare un ostacolo all’esercizio dei diritti che essa conferisce.
Elena Boschi
Foto © Corte di Giustizia dell’Unione europea
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Elena Boschi
Aretina, classe '81. Laureata in giurisprudenza e storia, si avvicina all'attività multimediale dopo un master e anni di pratica pubblicistica, occupandosi principalmente di politica e cronaca nazionale. Ultimamente la sua attenzione e passione si cimenta con l'attualità europea, grazie anche alla collaborazione con una importante associazione internazionale.

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