Dopo il primo via libera la settimana scorsa dell’Autorità per le Comunicazioni (Agcom) alla riforma di Poste italiane in vista dell’attesa privatizzazione, attesa in primis dal governo Renzi, è arrivata nei giorni scorsi agli emissari governativi della Rappresentanza permanente di Bruxelles una missiva della Commissione europea.
La lettera di tre pagine agita già il periodo di consultazione pubblica di 30 giorni deciso da Agcom e apertosi venerdì 27 marzo in vista della pronuncia definitiva per l’autorizzazione alla consegna della posta a giorni alterni, solo in circostanze o per condizioni geografiche eccezionali. E conseguente notifica a Bruxelles.
La lettera complica però di non poco i piani dell’ad Francesco Caio (si veda l’articolo su Repubblica il 31 marzo scorso). La proposta di Poste, infatti, oltre all’aumento della posta ordinaria e di quella prioritaria – quest’ultima arriverebbe fino a tre euro – chiede una deroga alla direttiva europea introducendo la possibilità di consegne a giorni alterni nel 25% del territorio italiano.
Una salutare cura dimagrante per i conti pubblici nazionali se, però, tale piano non andasse contro le regole decise da tutti gli Stati membri, Italia inclusa, con la Direttiva del 1997 (97/67/CE). Ovvero l’obbligo di recapito per un minimo di cinque giorni a settimana nell’ambito del servizio universale.
La legge quadro europea fissa, infatti, regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio prevedendo deroghe per la fornitura a giorni alterni in base all’art 3 (3), e cioè solo in casi eccezionali. Come in situazioni geografiche remote, si pensi ai territori d’oltre mare come la Guadalupe o alle migliaia di isole sparse sul territorio greco – dove rappresentano l’eccezione numero uno in Europa col 7% del territorio ellenico, o in circostanze estremi (calamità o feste nazionali).
Escludere quasi cinquemila comuni e non recapitare giornalmente la posta a oltre 15 milioni di italiani non può rappresentare quell’eccezione pensata dal legislatore europeo e decisa assieme da tutti gli Stati membri. Un servizio giornaliero che, se non sarà ripristinato, potrebbe costare al nostro Paese, e dunque a Poste, l’inizio di una costosa procedura d’infrazione europea per violazione della citata Direttiva.
Un obbligo dalla spiccata natura sociale, pensato per non discriminare nessun cittadino europeo e confermato anche nel 2008, quando già l’impatto negativo delle email e dei recapiti online alternativi certificati avevano iniziato a incidere al ribasso sul business postale. A questo riguardo va detto, inoltre, che l’Italia, secondo i dati di Erg-P, rappresenta uno dei Paesi Ue con una domanda intermedia, ben al di sopra della Spagna e poco al di sotto della Germania.
Nei prossimi giorni la proposta sarà certamente al centro di fitti colloqui fra Poste e Commissione Ue su entrambe i fronti: la richiesta di modifica ai piani tariffari e, soprattutto, di recapito. Il lavoro dei lobbisti è però tutto in salita: non si tratta infatti solo di iniziare un processo necessario e tendenzialmente giusto che getti le basi per ridefinire la legge europea di fronte a una tendenza generalizzata di calo dei volumi e alla digitalizzazione del mercato, ma di trovare gli argomenti giuridici giusti per poter considerare un’eccezione un quarto della popolazione italiana. Ma non c’è limite alla provvidenza…
Andriko Mouapesi
Foto © 2015 European Parliament