A Roma la nuova sede BNL-BNP Paribas

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“La magia della metamorfosi di un luogo”, raccontata dall’architetto Alfonso Femia, co-fondatore dello studio 5+1AA che ha progettato l’edificio

E’ in perfetta soluzione di continuità rispetto al complesso infrastrutturale della nuova Stazione ferroviaria Cavour – Stazione Tiburtina di Roma (lo snodo principale dell’alta velocità sulla direttrice nord-sud) che il gruppo BNL – BNP Paribas ha identificato l’area in cui collocare la nuova sede operativa per le proprie attività finanziarie. Un nodo nevralgico urbano che, una volta a regime, concentrerà un flusso di 3.600 persone, tra amministratori, dipendenti e collaboratori, di cui la stragrande maggioranza, utilizzerà i mezzi di trasporto pubblico per andare a lavoro. Una rivoluzione virtuosa del modo di vivere la città, che, come ci racconta l’architetto Alfonso Femia, co-fondatore dello studio 5+1AA che ha progettato la struttura, colloca il progetto “al fianco delle operazioni urbane internazionali tra le più virtuose”. 

Di seguito proponiamo dunque un’intervista a tutto campo, sottoposta all’illustre ed encomiabile Architetto italiano, Alfonso Femia.

F.A: «Nell’opera “La ricerca dell’assoluto”, nel 1834, Honorè de Balzac affermava: “I fatti della vita umana, pubblica o privata, sono così intimamente legati all’architettura, che la maggior parte degli osservatori possono ricostruire le nazioni o gli individui in tutta la realtà delle loro abitudini dai resti dei monumenti pubblici o dall’esame delle loro reliquie domestiche”.  La progettazione delle sedi istituzionali (sedi legislative e di governo, istituzioni economiche  e bancarie) ha da sempre rivestito una grande importanza non solo per la funzionalità rispetto alle funzioni istituzionali, ma anche per la propria valenza simbolica e comunicativa, perché riflesso della cultura e tradizione di un popolo.  La nuova sede della BNL-BNP Paribas, seppure ancora in costruzione, già risulta altamente comunicativa: un mix di idee, principi e valori, quali trasparenza e pubblicità, ma anche la suggestione di un viaggio, di un’esperienza e  di un’organizzazione solida e sicura. Quanto di tutto questo c’è in questo entusiasmante progetto?»RBN ©L. Boegly 25 (1)

 

A.F.: «Comincerò a rispondere partendo da una parola che amo molto, viaggio. Amo pensare che il progetto sia una forma di viaggio. Per me tutto rientra in questa parola magica, introversa ed estroversa allo stesso tempo, inclusiva ed esclusiva, reale e immaginaria. Da sempre ritengo che il progetto deve narrare una storia, e ogni storia si muove all’interno di un viaggio che apre portali in mondi diversi secondo una logica circolare che poi alla fine fa tutto tornare al punto di partenza, l’idea, l’azione che ha creato la reazione del progetto.

Cosi vivo, viviamo, l’esperienza unica di pensare il progetto come uno strumento di dialogo, che non vuole mettere tutti d’accordo ma che sicuramente vuole provare a portare i temi ad una unità laddove oggi tutto diventa frammentato, non definito, possibile per superficialità e irresponsabilità non per progresso culturale. Nel viaggio ricerchiamo sempre compagni con cui condividere le nostre domande, i nostri dubbi che possano portare a possibili risposte. Spesso questi non sono “viventi” e nemmeno architetti e pertanto sono i più preziosi, i più sinceri.

I temi che sottoponi nella tua domanda restano presenti nel solco della ricerca del progetto ma personalmente non guidano e non devono guidare il progetto per non rischiare di fare accademia o pura citazione e rimando a ciò che è stato e a ciò che non sappiamo essere.

Il progetto è lettura e scrittura e pertanto ciò che è stato è come un libro che hai letto di cui ti porti dietro le note che hai scritto a margine delle pagine, ciò che dovrà essere è quello che devi scrivere, raccontare, che devi avere il coraggio di affrontare.

Diversi sono i viaggi all’interno dello stesso viaggio, diversi i movimenti, i mezzi, diverse le velocità. Nel viaggio del progetto per Bnp Paribas la guida non è stata l’esigenza di dover creare un simbolo, un luogo di comunicazione, ma affermare ciò che crediamo nell’architettura come azione responsabile di una continua metamorfosi del reale che deve essere portatrice di un sogno, di futuro ed essere empaticamente viva attraverso la sua corporeità che prende vita con la ricerca materica e la sua continua dialettica con la luce alla ricerca di una percezione sempre differente in ogni ora del giorno, in ogni giorno della settimana, in ogni settimana del mese, in ogni mese dell’anno, in ogni anno a venire… così facendo l’edificio appartiene a tutti e risponde alla nostra idea di concepire ogni edificio come pubblico, collettivo indipendente dall’uso e/o dalla proprietà ».

F.A: «Un progetto di forte impatto anche sul versante  della riqualificazione urbana di un’area territoriale storica e fortemente legata alla propria tradizione, il cui progetto di sviluppo, nel rispetto dell’attitudine del territorio, è strettamente connesso alle nuove opportunità della mobilità, della viabilità e dei trasporti della nuova Stazione Tiburtina.  Quanto è stato complesso conciliare innovazione e tradizione?»

©5+1AA & RSI Images_vista ovest

A.F.: «Innovazione e tradizione sono le facce di una stessa medaglia. Non concepiamo questi due aspetti come due momenti distinti, anzi personalmente rifiuto di ragionare attraverso un metodo fatto di categorie, tutte modalità forse utili per raccontare il lavoro di altri o per conquistare posizioni in caselle alla moda e pertanto finire per definirsi o essere definiti sostenibili, innovativi, tradizionali, lowtech, hightec etc …

Io amo una idea del Sud come luogo in cui le cose, i pensieri, si stratificano, si fondono e pertanto rendono le cose uniche. Allora può essere che semplicemente noi siamo attratti da una idea di  tradizione con cui dialogare perché amiamo la storia e le storie che hanno saputo raccontarsi attraverso alcuni progetti che si sono occupati di una idea del costruire, della materia, dell’artigianato, dell’ingegneria come parte integrante del pensiero di progetto e ricerchiamo l’innovazione come riaffermazione del dialogo virtuoso tra progetto, artigianato, arte, cultura, impresa, industria e committente. Questa è la rivoluzione reale che mettiamo in atto come nel recente progetto realizzato per i Docks di Marsiglia».

F.A.: «Passando alla struttura. La stessa è evidentemente il riflesso della cultura finanziaria attualmente imperante sia a livello nazionale che europeo e internazionale. In un momento certamente difficile, il Gruppo BNL-BNP Paribas, si assume la responsabilità di lanciare un messaggio molto forte al mondo finanziario ed economico: un invito a guardare al futuro e coltivare importanti ambizioni.  In che misura il progetto comunica questo messaggio?».

5+1AA_Alfonso Femia (3)©C. Guillaume

A.F.: «Il progetto comunica una idea di uso del territorio, della città, di messa in valore del patrimonio esistente anche se recente. Mette in atto una architettura che ricerca un dialogo con il contesto, con la luce di Roma, attraverso contrasti, reazioni inattese, percezioni mai univoche. È il principio per cui rifiutiamo una certa logica commerciale di matrice anglosassone per cui devi mettere un insegna per affermare una identità. Per noi l’architettura specifica del progetto afferma l’identità di un luogo in tutte le sue accezioni. A Marsiglia la comunicazione sulla facciata nord dove ogni anno è vista da decine di milioni di persone l’abbiamo sviluppata realizzando il più grande muro di parole di scrittori e poeti che hanno “Incontrato” la città, dove il ricamo grafico permette una lettura a diverse scale dell’identità del luogo rivoluzionando completamente la logica di un modo di pensare questi luoghi. Per questa ricerca in fase di cantiere abbiamo coinvolto uno degli studi più importanti di grafica come Tapiro di Venezia e il suo fondatore Gigi Pescolderung avviando un viaggio insieme per riportare in maniera contemporanea la scrittura a far parte dell’architettura e della città, esperienza che personalmente avevamo già avviato con il progetto della Villa Sottanis a Casarza Ligure dedicato a Gianni Rodari e a Venaria Reale dedicando un muro di parole alle poesie d’amore, rimando alla nascita leggendaria della stessa città.

Anche a Roma sta succedendo questo, l’architettura sta già parlando dell’headquarter di BNP-BNL, attraverso la sua scrittura di cantiere, fatta di trame, sequenze, ritmi,  luce, riflessi senza che questo sia ancora completato o vissuto. La magia della metamorfosi di un luogo».

F.A: «Quali sono le scelte tecniche e di materiali utilizzati per la realizzazione del progetto? E perché si è optato per tali soluzioni?».

A.F.: «Il diritto alla materia. Il buon senso versus una sostenibilità fatta spesso di sola comunicazione e non di contenuti sinceri e profondi. L’ingegneria che deve essere parte integrante dell’atto fondativo del progetto.

Da anni portiamo avanti questi tre concetti come modalità e battaglia per affermare la centralità del progetto, la responsabilità al dialogo, l’esigenza di essere veri e autentici.

Ritornare a lavorare con la materia, con le aziende, con le industrie italiane che sono tra le migliori al mondo oggi vuol dire recuperare una tradizione importante del nostro Paese, rappresenta ri-creare una cultura del progetto, significa ricostruire il circuito virtuoso committenza, progettista, artigiano/artista, industria, impresa.

A Roma ho portato avanti la nostra ricerca sulla ceramica e sulla modellazione della stessa variandone geometricamente lo spessore al fine di creare un dispositivo che reagisca alla luce sempre in maniera cangiante. Con Casalgrande Padana, dopo che lei aveva “vinto” questa sfida che avevo lanciato a molte aziende italiane, da alcuni anni abbiamo realizzato il “diamante boa”, un modulo con cui abbiamo realizzato un intervento residenziale a Brescia e ora stiamo realizzando un intervento a Parigi. Abbiamo riproposto una nuova piastrella in ceramica per la sede di BNP-BNL, con formati più grandi e con un lavoro tridimensionale che parte dai bordi e una finitura cangiante che si chiama Snake. Affianco alla ceramica, vi è l’altra ricerca sulla materia per cui abbiamo un grande interesse ovvero il vetro. Il vetro come sistema tecnologico ormai avanzato rispetto a pochi anni fa, il vetro come dispositivo capace di dialogare con la luce esso stesso in maniera cangiante ma non per semplice effetto inatteso e/o di sorpresa ma secondo un processo che riesca a definirlo attraverso il progetto.

Tutto ciò per noi rimanda al lavoro di Giò Ponti e del Mediterraneo per la ceramica e ai vari lavori di artisti come Buren, Eliasson, Graham, Ghirri, etc. per quanto riguarda l’arte».

F.A: «Ogni sfida comporta delle difficoltà direttamente proporzionali al livello di ambizione. Quali sono state le maggiori difficoltà in questo progetto e con quale spirito sono state superate?»

A.F.: «Citando Louise Bougeois in una sua mostra alla Tate “Be Calm”, la difficoltà maggiore ormai per un architetto è restare calmo e concentrato per tutto il percorso che porta un progetto ad essere realizzato indipendentemente dal ruolo conferito al progettista, in quanto oramai, nella logica perversa di frammentazione del ruolo di chi deve gestire un progetto, non è mai garantito il risultato se non attraverso una significativa e generosa vicinanza al progetto in maniera continua ricercando il dialogo come strumento stesso del progetto. Nel caso specifico la Committenza è sempre stata all’altezza dell’ambizione del progetto e pertanto ha sempre garantito lo strumento del dialogo. L’esperienza di altri progetti complessi ci ha aiutato a gestire i momenti delicati che fisiologicamente ogni volta arrivano nello sviluppo e nella realizzazione di un progetto, grande o piccolo che sia, soprattutto quando gli si delega la responsabilità di narrare una storia, che credo fermamente sia il compito dell’architettura affinché essa non sia solo per gli architetti».

F.A: «Si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo. Data l’imponenza di questo progetto, quale sarà, secondo lei, l’impatto positivo dello stesso in termini di slancio emotivo, rigenerazione civica e ispirazione urbana?»

A.F.: «La domanda è molto generosa nell’attribuire un’importanze tale al progetto, ma vi sono dei temi che il progetto ha messo come atti fondativi che dovrebbero perlomeno creare il dubbio della domanda da porsi se le cose dovessero funzionare.
Scegliere un nodo infrastrutturale per concentrare 3600 persone a lavorare quotidianamente vuol dire più di qualsiasi frase retorica aver deciso responsabilmente e realisticamente che oltre il 90% degli addetti useranno i trasporti pubblici per recarsi al lavoro e poi ritornare a casa, collocando il progetto al fianco delle operazioni urbane internazionali tra le più virtuose (Londra, Paris, NY). Questo a Roma.
Inoltre l’infrastruttura della stazione Tiburtina non è mai diventata un “luogo” urbano in quanto priva della energia che possa essere capace di generare flussi nelle due direzioni. La nuova sede BNP-BNL genererà un flusso importante, irrigherà il territorio urbano circostante e potrà rigenerare il quartiere di Pietralata e Nomentana in maniera differente, potendo diventare la prima mossa di un effetto domino che può e deve riqualificare tutta l’area intorno alla Stazione, riconferendo valore strategico e urbano alla stazione stessa.
L’impatto positivo pertanto spero possa essere culturale, ovvero la dimostrazione che cambiare con visione, innovare con responsabilità, evolvere con strategie, dialogare con il contesto è cosa buona, utile e fondamentalmente necessaria!».

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F.A: «Lei è originario di Taurianova, in provincia di Reggio Calabria. Questo progetto contribuisce certamente a rendere grande il nome e la fama dei calabresi nel mondo, che ovunque, si distinguono per merito, determinazione, eccellenza.  Qual è il suo legame con il territorio di origine e in che misura crede che un processo di rigenerazione urbana e infrastrutturale anche al Sud, potrebbe conferire alle città e ai cittadini uno slancio propositivo anche sul versante della crescita sociale ed economica?»

A.F.: «Io sono nato in Calabria. Ho vissuto pochi anni nel mio paese prima di crescere nella Riviera di Levante vicino a Genova senza mai smettere di frequentare periodicamente la mia terra ogni anno per diciott’anni.

Mi sento calabrese in tutto e amo Genova, città che ho scelto e che considero mia maestra.

Genova è il luogo dove ormai da dieci anni, da quando abbiamo aperto uno studio a Parigi, amo partire e ritornare per viverla e frequentarla come una amica appassionata. Una città di mare che si mette a confronto con Milano e Parigi le due città che frequento maggiormente durante la settimana e che profondamente diverse completano al meglio una mia idea di città ideale.

La Calabria è un amore che attende di essere consumato affinché non sia solo una compagna di ricordi.

La Calabria è la sintesi assoluta di tutte le contraddizioni del nostro Paese e di una idea di bellezza che troppo spesso viene sopraffatta dalla complessità di un Paese incapace di porre la giusta attenzione a tutte le sue parti e di non sapere mettere i valori il proprio patrimonio, arrivando a dimenticarsi troppo spesso che questa esiste, ha un cuore, un popolo forte, capace e appassionato.

La Calabria è l’unica regione italiana che negli ultimi decenni non ha avviato alcun percorso vero, profondo, specifico di identità e rigenerazione direi territoriale prima che urbana. Esistono sì degli episodi virtuosi e di impegno e interesse, (e penso per questo ai molti lavori di un amico calabrese impegnato per la Calabria come il prof. Pino Scaglione) ma io parlo di una coscienza della Regione e della sua politica, delle sue parti migliori, dei suoi molteplici territori, del suo paesaggio unico, delle sue potenzialità enormi.

Sarebbe importante che alcune città piccole o grandi che siano, si attivassero per compiere una vera e profonda rivoluzione culturale e di metodo, mettendo al centro una idea di progetto strategico, una visione di futuro, che dialoghi a livello nazionale e internazionale, per aprirsi ad una mentalità nuova pensando che tutto è possibile se lo si affronta passo dopo passo in maniera continua e con obiettivi importanti.

Allora questo sarà il modo con cui i giovani stessi si potranno identificare e molte realtà esterne potranno vedere con occhi diversi un territorio magico.

Non è una visione semplice delle cose è un modo diretto e sincero affinché le cose escano dalla retorica e possano accadere passo dopo passo, centimetro dopo centimetro, giorno dopo giorno, innescando anche lentamente se non è possibile diversamente, un processo culturale che faccia crescere luoghi e persone e che inneschi un punto di non ritorno su quanto non permette di poter credere alla Calabria come un luogo di destinazione, come un “capitale” del Mediterraneo».

F.A: «Il paradosso italiano: da una parte tanto lavoro da fare sul versante dello sviluppo urbano sostenibile; dall’altra, i più elevati livelli di disoccupazione giovanile. Un Paese in cui la professione di architetto non è riconosciuta come nel resto del mondo.  Quale suggerimento darebbe ai giovani architetti italiani?  E’ più difficile andare via dall’Italia, o rimanere e tentare comunque di investire sul territorio e costruire un futuro?»

A.F.: «Occorre avere una visione europea, sentirsi appartenenti ad un contesto che è quello che io riconduco al concetto di Mare Nostrum latino ovvero dal Nord Africa al Nord Europa e non solo quello del Paese dove si nasce. Cambiare la visione permette di vedere in maniera differente i valori e i limiti del Paese dove si cresce. Affermo fermamente questo concetto perché questo modo di vedere ci può permettere di leggere in maniera diversa le cose e tradurle con altri significati. Il tema non è più restare o andare via ma essere parte di un perimetro più ampio dove decidere da dove partire e dove ritornare.  Ritengo che sia importante partire e ritornare e farlo dentro una specie di quotidianità mentale, un moto che può essere perpetuo per un periodo. Questo ci permette di concentrarci sulle cose positive, di adoperarci per risolvere i problemi e non esclusivamente per discuterli, ci permette di esplorare, conoscere, confrontare, entrare in dialogo. Cosa vuol dire tutto ciò? Che occorre viaggiare, nelle modalità differenti con cui ognuno preferisce, ma occorre farlo, soprattutto per un architetto. L’architettura è la metamorfosi del reale, dobbiamo conoscere il reale, in tutte le sue declinazioni, frequentarlo e vivere le sue metamorfosi.

Il ruolo del progetto e dell’architetto e pertanto dell’architettura in Italia è qualcosa di incomprensibile e contraddittorio allo stesso tempo. Esistono bravi architetti, ottimi giovani, studenti appassionati, ma il sistema, nella sua complessità, non ha fatto alcunché per ridare un ruolo centrale e di rispetto ad una professione che è strategica e fondamentale per la qualità del futuro di ogni cosa che ci circonda, città, territorio, infrastrutture, paesaggi, luoghi privati e collettivi. Non è una questione che riguarda solo gli architetti, tutt’altro. Non è una semplice professione e occorre rifiutare il concetto che sia una prestazione di servizi come la legge in questi anni l’ha sempre più tradotta frammentandola. E’ un deficit istituzionale e politico che abbraccia ogni tanto il tema solo per episodi mediatici e/o momenti che spesso nulla hanno a che fare con l’esigenza quotidiana, capillare di una cultura del progetto. Si pensa che l’architettura sia un tema per pochi o per addetti al settore, nessun quotidiano se ne occupa regolarmente come un aspetto che riguarda a tutti i cittadini a differenza di moltiPaesi europei. Ciò che si fa con l’architettura è qualcosa che ha sempre un significato pubblico e collettivo anche se chi la promuove è un privato, in quanto attua un processo di metamorfosi che ognuno di noi percepisce. Occorre impegnarsi in maniera positiva e propositiva attraverso la propria esperienza affinché passo dopo passo tutto ciò possa cambiare. Sono ottimista per le generazioni future che nascono già con una non-definizione del proprio perimetro di crescita. L’architetto italiano deve ritornare ad essere come nel Rinascimento e nei secoli successivi,  ovvero un nomade del progetto con radici culturalmente ancorate nel nostro Paese, cuore del Mediterraneo, cuore della cultura del Mondo».

Francesca Agostino

*F.A.: Francesca Agostino; A.F: Alfonso Femia

Foto © L. Boegly – Immagine in evidenza e immagine cantiere

Foto © 5+1AA & RSI – Immagine Vista ovest edificio

Foto © C. Guillaume – Immagine Arch. Alfonso Femia

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Francesca Agostino
Esperto tecnico-legislativo, con pregressa e pluriennale esperienza maturata in ambito parlamentare a supporto dell’attività legislativa di commissioni e gruppi parlamentari di Camera e Senato. Esperienze pregresse in ambito legale maturate presso l’ufficio giuridico dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e la Direzione Affari legali di ENI SpA. Doppia laurea (Scienze Politiche e Giurisprudenza), collabora con enti territoriali a processi di innovazione turistica del Sud Italia. Critico d'arte e letterario, ha ideato e diretto per 6 anni il festival letterario "San Giorgio. Una rosa, un libro". Fondatrice di "Network Mediterraneo", comitato promotore della candidatura del Tramonto sullo Stromboli come patrimonio dell'Umanità, che ha raccolto l'adesione di 18 comuni calabresi e del Consiglio Regionale della Calabria.

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