Scomodare la Storia: 28 aprile 1945 moriva Mussolini

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Vicende e fatti emersi dopo anni di buio. Un’altra versione di come andarono le cose nei giorni successivi alla Liberazione del Belpaese. Per una pacificazione nazionale

Sono trascorsi esattamente 73 anni dalla morte di Benito Mussolini e di Claretta Petacci, avvenuta a Giulino di Mezzegra provincia di Como, sabato 28 aprile 1945. Ancora oggi vi sono dubbi sulla esecuzione e sulle affermazioni fatte dal comandante partigiano, Walter Audisio, detto colonnello Valerio che disse di essere stato lui l’autore dell’uccisione. Secondo l’Audisio i due sarebbero stati fucilati davanti al muretto del cancello di Villa Belmonte ove erano stati portati la sera prima e ospitati, ma don Luigi Barindelli, parroco di Giulino di Mezzegra in una intervista qualche anno dopo disse che il 29 aprile del 1945 un fotografo di Azzano aveva immortalato quel muretto e risultavano fori provocati dai proiettili di mitra sulla struttura del muretto alto solo cm.126 mentre Mussolini era alto 166.cm e la Petacci non superava il metro e 58. Entrambi furono colpiti al petto e le munizioni fuoriuscite dai corpi avrebbero dovuto passare sopra la recinzione in muratura, ma non ve ne era traccia.

A Giulino il colonnello Valerio aveva sì sparato sul muretto di cinta per simulare una falsa fucilazione. Lo storico Franco Bandini ha raccolto una testimonianza in cui si specificava che il sangue davanti al cancello di villa Belmonte era poco, quasi Mussolini fosse stato trasportato di peso già morto. Lia De Maria la padrona di casa ove i due preziosi ostaggi erano stati tenuti prigionieri nella notte tra il 27 e 28 aprile disse di «aver sudato sette camice per pulire il sangue dal pavimento dell’ingresso della sua abitazione» e don Barindelli precisò che il fotografo del muretto ebbe il consenso di fotografare la camera dove avevano pernottato il Duce e Claretta, solo quattro giorni dopo l’avvenuta fucilazione. In una trasmissione televisiva di qualche anno fa, in cui si trattava di questo eccidio, un telespettatore qualificatosi come boscaiolo, affermò di aver visto ammazzare la Petacci in una abitazione poco distante dal cascinale dei contadini De Maria. Sugli avvenimenti di Dongo il colonnello Valerio fu accusato di aver detto molte “stupidaggini”. Quello di accollarsi la responsabilità dell’omicidio di Claretta lo disse chiaramente ai suoi superiori. L’unica colpa che aveva la giovane donna fu quella di essere stata l’amante di Mussolini. I comunisti Armando Cossutta e Luigi Longo, numero due del PCI dell’epoca, dissero chiaramente «che non c’era l’intenzione di fucilare la Petacci, anche se il popolo italiano la odiava perché era stata l’amante del Duce» come riportò il Corriere della Sera del 24 gennaio 1996.

Gli alleati avevano dato ordine al CLNComitato di Liberazione Nazionale – che se Mussolini fosse stato arrestato doveva essere a loro consegnato. L’ex segretario di Palmiro Togliatti, Massimo Caprara, parlando di Walter Audisio ha dichiarato: «il rag. Audisio era un impiegato del cappellificio Borsalino di Alessandria. Era uno più adatto a misurare le teste che a tagliarle». Ricordiamo che Il colonnello Valerio, fece anche fucilare a Dongo i gerarchi fascisti che stavano fuggendo verso la Valtellina e formavano la Colonna Mussolini, si trattava di: Barracu, Bombacci, Casalinuovo aiutante di Mussolini, Coppola rettore dell’Università di Bologna, Daquanno dell’Agenzia Stefani (oggi Ansa), Gatti, Liverani, Mezzasoma, Nudi, Pavolini, Porta, Ultimperghe, Zerbino. Tra di loro c’era anche un innocente, il capitano d’aviazione Pietro Calistri, un pilota da caccia scambiato erroneamente per quello del Duce che, arrestato dai partigiani, aveva una sola colpa, quella di aver chiesto un passaggio per tornare a casa in Friuli. Nonostante avesse proclamato a gran voce all’Audisio la sua innocenza, fu messo tra i fucilandi. Questi dovevano essere in numero di quindici pari cioè a quello dei patrioti antifascisti che erano stati giustiziati a Piazzale Loreto poco meno di un anno prima, il 10 agosto 1944.

                    Giulino di Mezzegra

Per raggiungere quindi il numero l’Audisio fece mettere tra i fucilandi anche Marcello Petacci il fratello di Claretta, catturato perché accompagnava la sorella che non volle staccarsi dal Duce. Marcello aveva dichiarato di essere un diplomatico spagnolo che si recava in Svizzera con la famiglia, infatti erano con lui anche la moglie Zita e i due piccoli figli, Ferdinando e Benvenuto. Quest’ultimo da una finestra dell’albergo “Dongo” dove erano stati alloggiati, vide morire il padre. La mente del giovane non resse all’eccidio, e avrebbe trascorso il resto della sua vita in un istituto psichiatrico. L’ordine era quello di ucciderli tutti. Da un libro di Mirella Serri intitolato “I Profeti disarmati” si viene a conoscenza di un fatto poco noto riguardante colui che verrà denominato colonnello Valerio. L’Audisio scontò cinque anni  di confino nella colonia penale di Ponza in compagnia di personaggi storici come Umberto Terracini e Mauro Scoccimarro e rientrò ad Alessandria nel giugno del 1939 con un atto di clemenza di Mussolini. Gli venne restituita la sua dignità sociale e lo stipendio nel cappellificio Borsalino, non perché i termini del confino fossero scaduti ma perché, recita un documento di Pubblica Sicurezza datato 16 marzo 1939, ”segnatamente tra i comunisti più convinti della colonia, l’Audisio dimostra seri propositi di redenzione…facendo abiura dei principi politici finora professati”. Dopo l’esecuzione di Dongo, sparirono ingenti valori, oggetti d’arte, gioielli e danaro dei gerarchi passati per le armi dai partigiani. Del tesoro facevano parte anche 51 chilogrammi in lingotti d’oro e centinaia di milioni di lire che ogni ministro che accompagnava Mussolini aveva con sé per il suo dicastero. Alle tre del mattino del 29 aprile tutti i corpi furono messi su di un camion e trasportati  a Milano ed esposti a Piazzale Loreto.

Era la quarta domenica dopo la Pasqua, giorno del Signore.

 

Giancarlo Cocco

Foto © Senato, Archivio Istituto Luce (nell’immagine di apertura Walter Audisio, il colonnello Valerio, ripreso durante un comizio tenuto alla basilica di Massenzio)

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Giancarlo Cocco
Laureato in Scienze Sociali ad indirizzo psicologico opera da oltre trenta anni come operatore della comunicazione. Ha iniziato la sua attività giornalistica presso l’area Comunicazione di Telecom Italia monitorando i summit europei, vanta collaborazioni con articoli sul mensile di Esperienza organo dell’associazione Seniores d’Azienda, è inserito nella redazione di News Continuare insieme dei Seniores di Telecom Italia ed è titolare della rubrica “Europa”, collabora con il mensile 50ePiù ed è accreditato per conto di questa rivista presso la Sala stampa Vaticana, l’ufficio stampa del Parlamento europeo e l’ufficio stampa del Ministero degli Affari Esteri. Dal 2010 è corrispondente da Roma del quotidiano on-line delle Marche Picusonline.

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