Torna il mito della città scomparsa di Platone attraverso il ritrovamento di due città sprofondate, per ragioni ancora ignote, nel mare con i loro segreti ancora intatti
Spesso la storia insegna che le grandi invenzioni, o le grandi scoperte, avvengono quasi per caso, lasciando sorpresi gli stessi autori che improvvisamente si trovano davanti a qualcosa che neanche immaginavano l’esistenza. È il caso di due scoperte effettuate nelle profondità del mare greco che, come vedremo, possono riscrivere la storia dell’umanità, almeno come l’abbiamo sempre studiata.
Nel primo ritrovamento alcuni archeologi della Soprintendenza alle Antichità Subacquee dell’Università di Ginevra e della Scuola svizzera di Archeologia Kilangha Bay erano impegnati nella ricerca di reperti risalenti a 8 mila anni, in pieno neolitico, nelle acque poco distanti dalle spiagge di Atene. Sapevano che in quel luogo doveva esserci un ricco deposito di manufatti, quando invece si sono imbattuti nei resti di una città dell’età del bronzo risalente almeno al terzo millennio assolutamente sconosciuta che nessuno, fino ad allora, aveva mai sospettato per di più così vicino alla capitale greca.
Sono rovine assolutamente originali, uniche; non si conoscono, infatti, ritrovamenti archeologici simili: con una serie di strutture a forma di ferro di cavallo vicino alla linea delle mura, probabilmente i resti delle torri di difesa della città, con fondamenta massicce erette con una tecnica mai studiata in Grecia e il tutto si sviluppa per una superficie di oltre un chilometro quadrato, ma l’ampiezza totale del sito non è ancora nota.
Secondo la cronologia ufficiale, le mura sono contemporanee ad altre grandi civiltà come le piramidi di Giza, costruite, almeno secondo la scienza ufficiale, intorno al 2600-2500 a.C.,alla civiltà Cicladica, 3200-2000 a.C., oppure ai primi insediamenti minoici dell’Isola di Creta, 2700-1200 a.C., anche se, da studi più attenti, in quest’ultimo caso l’insediamento è precedente di circa un migliaio di anni alla grande civiltà micenea.
Ciò che ha reso questa scoperta appassionante sono la quantità di reperti fin’ora ritrovati, come ceramiche, arnesi in ossidiana e strumenti in pietra con un “bottino” di circa 6 mila reperti fino ad ora recuperati. Sicuramente era una città importante dedita al commercio, con un certo tenore di vita, ma sono solo supposizioni, in realtà non sappiamo assolutamente nulla e ne tanto meno abbiamo traccia della sua esistenza tra i storici greci, insomma una vera città fantasma apparsa dopo millenni per raccontarci un passato incredibile e sconosciuto.
Una storia quasi simile riguarda la seconda scoperta: una città, Pavlopetri, trovata quasi per caso nel 1967 dall’oceanografo Nicholas Flemming, durante una immersione al largo delle coste della Laconia, dove si ergeva Sparta, per studiare l’innalzamento del livello del mare e l’anno dopo, nel 1968, un team di archeologi dell’Università di Cambridge eseguì una mappatura dettagliata del sito.
Sebbene la scoperta abbia suscitato nel mondo accademico un grandissimo interesse archeologico, nessun’altra esplorazione fu eseguita negli anni successivi, almeno fino al 2011, quando John Henderson, ricercatore presso l’Università di Nottingham, ha riportato in vita l’interesse su quella che è stata definita la “Pompei subacquea” filmando un fondo marino con quindici edifici, cinque strade, due cimiteri e trentasette tombe. Veramente un sito archeologico unico nel suo genere con una datazione che può facilmente risalire a più di 5mila anni.
Le prime supposizione, vista anche la datazione dei manufatti, è che questa città potrebbe essere uno dei porti più antichi del Mediterraneo se non addirittura il primo nella storia greca, ma ciò che stupisce il ricercatore è che tutto si è perfettamente conservato sotto le acque del Peloponneso.
Dai reperti numerosissimi si è potuto supporre la vita della città certamente portuale e che accoglieva una società ricca e sofisticata, con case costruite su due piani con giardini, cortili e mura di confine ben definite e una topografia stradale ben pianificata, con sistemi per la gestione dell’acqua, insomma, una città molto simile alle nostre zone residenziali suburbane. Il grande numero di ritrovamenti ipotizza che la sua struttura fosse in possesso di un sistema centralizzato di archiviazione complesso, con operazioni di carico e scarico per una gestione amministrativa e contabile anche per le importazioni e le esportazioni.
In questo contesto, è assai credibile che queste operazioni fossero registrate per iscritto, quindi Pavlopetri avrebbe avuto una prima forma di scrittura in Europa, anche se nessuna prova definitiva è stata ancora trovata. Infine, come le due città siano affondate non si sa esattamente anche se sono visibili i segni di violenti terremoti che probabilmente le hanno portate ad inabissarsi, insieme ai suoi abitanti. Insomma non una, ma due nuove Atlantide sconosciute che ci riportano alla misteriosa città di Platone e alla nascita della civiltà.
Antonello Cannarozzo
Foto © Wiki e Creative Commons
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Per saperne di più:
Archeologia marittima del mediterraneo. Navi, merci e porti dall’antichità all’età moderna
di Carlo Beltrame
ed Carrocci
Navi e città sommerse. La storia riemerge dal mare
di Giovanni Lattanzi
ed Laterza
Introduzione all’archeologia subacquea
di Giovanna Bucci
ed Sogese
Civiltà sommerse
di Hancock Graham
ed Tea, collana I Grandi Misteri della Storia
Archeologia subacquea, studi, ricerche e documenti
edizioni Ist. Poligrafico dello Stato collana Archeologia
Navi e marinai dell’antichità
di Lionel Casson
ed Mursia, Biblioteca del mare