Dopo le recenti elezioni di Polonia e Danimarca, il Vecchio Continente ha completato una svolta politica decisa tutta da interpretare
Su 28 Paesi membri, ben 15 hanno dei governi di centro-destra. Negli ultimi due anni, quando oltre ai problemi della recessione economica si sono aggiunti quelli dovuti all’immigrazione, sono stati molti gli Stati che hanno deciso di puntare su un governo “forte” e quindi di votare a destra. Se da una parte è storicamente accertato che nei momenti di maggior incertezza gli elettori decidano di votare un partito più conservatore e con un maggior nazionalismo, di certo l’eccessiva retorica nazionalista di alcuni di questi partiti preoccupa non poco l’intellighenzia europea.
Infatti non solo sono aumentati i partiti al governo di centro destra, ma nello stesso tempo sono nati e si sono rafforzati molti movimenti di estrema destra che hanno avuto seggi nei parlamenti nazionali. Si pensi alla Nuova Alleanza Fiamminga in Belgio, l’Ataka bulgaro, il Partito Popolare Danese, il Front National della Le Pen, l’Alba Dorata Ellenica.
La preoccupazione, naturalmente, è che questi partiti oltre ad essere ultranazionalisti spesso hanno anche connotazioni xenofobe se non razziste. I punti di forza di questi partiti, quelli che fanno più presa sull’elettorato sono l’euroscetticismo e la paura per il grande flusso migratorio che si sta riversando sull’Europa a seguito, ma non solo, della guerra in Siria.
Alcuni puntano anche su temi religiosi e rivendicano la propria cristianità, come il Partito Popolare Danese o i democratici svedesi, il cui leader Jimmie Akesson ha dichiarato «I musulmani sono i comunisti dei nostri tempi». Dentro i partiti moderati di destra troviamo invece nazionalismo, localismo, rivolta fiscale, opposizione all’euro.
Anche al di fuori dei Paesi membri, nell’Europa centro-orientale assistiamo allo stesso fenomeno: connotazioni ultranazionaliste e fasciste per il Partito della Grande Romania, l’Hrvatska Stranka Prava croata, il Partito Radicale Serbo, il Partito Nazionalista Slovacco.
E le istituzioni comunitarie cosa possono fare? Innanzitutto Bruxelles dovrebbe iniziare a tenere in considerazione la popolazione europea nel calcolo delle proprie politiche. L’idea che i patti e le leggi europei debbano essere applicate contro tutti e tutto senza considerare le situazioni nazionali dei Paesi forse ha dato prova di non essere un buon modo per portare avanti la bandiera dell’Europeismo. E’ in corso senza dubbio un movimento disgregatore all’interno dell’Europa, far finta che esso non esista e che i governi nazionali riusciranno in qualche modo a tenere a freno queste spinte centrifughe è un ottimo modo per accelerare la fine dell’Unione. Occorre maggiore sensibilità e flessibilità.
Questi movimenti stanno senza dubbio dicendo qualcosa: spogliate le idee degli slogan offensivi, della retorica neofascista in certi casi, rimangono delle idee di fondo – delle paure – che forse andrebbero ascoltate sia dai governi nazionali che dal Parlamento europeo.
Prima di preoccuparsi della sfida dell’Euro e della crisi, forse varrebbe la pena ascoltare ciò che i popoli europei stanno dicendo e aggiustare il tiro delle politiche europee.
Ilenia Maria Calafiore
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