Terapeutico e paradisiaco: è il giardino di Derek Jarman

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In un angolo desolato del Kent, vicino a una centrale nucleare, il regista e artista inglese ha saputo creare un luogo di rara bellezza. Raccontato in un libro, finalmente in italiano

A volte i sogni fioriscono nei luoghi più imprevedibili. Come una landa desolata ricoperta di ciottoli, arida e sferzata dai venti impregnarti di salsedine provenienti dal mare, e vista sulla sagoma mastodontica di una centrale nucleare. Chi mai penserebbe di creare un giardino in una terra del genere?

Ci voleva lo sguardo di un artista, nonché scenografo e regista, come Derek Jarman (1942-1994) per vedere in uno sperduto cottage a Dungeness, nella contea inglese del Kent, quello che non c’era: lo spazio ideale per creare un giardino al contempo rifugio e paradiso. È un’avventura iniziata per caso un giorno del 1986, quando Jarman si ferma per pranzo in un locale di “fish and chips” in zona e proseguita fino alla scomparsa del poliedrico artista, stroncato dall’Aids  quando ancora non esisteva la terapia antiretrovirale.

Grazie a un libro finalmente disponibile in italiano merito dell’editore Nottetempo e intitolato Il giardino di Derek Jarman – corredato dalle splendide fotografie di Howard Sooley – è possibile seguire l’evoluzione di questo luogo magico diventato per il suo artefice una ragione di vita e una sorta di testamento spirituale. Perché seminare vita – le piante sono un ottimo paradigma – significa lasciare un segno nel paesaggio del nostro passaggio terreno. Jarman ha fatto di più: ha ideato un giardino che abbina verde e arte.

«Ho sempre avuto la passione per i giardini: i fiori ravvivavano col loro splendore la mia infanzia come fosse la pagina di un manoscritto medievale», scrive il regista. La passione per il verde lo accompagna per tutta la vita. A Dungeness, Prospect Cottage è circondato da una terra così desolata che un giardino sembra un’utopia. Derek Jarman incomincia piantando con una rosa canina, poi poco alla volta valorizza esemplari della flora locale – come il cavolo marino dalle foglie arricciate verdi violacee, e altre infestanti dalle fioriture spettacolari, come l’altea, la bonaga, la silene bianca, dando “un tocco di natura selvatica”.

Il sogno di Derek Jarman è un giardino perfettamente ambientato nella natura autoctona. Niente prati verdi innaffiati a dismisura, nessun prodotto chimico. Cespugli di santolina, di elicriso, di cisto, di salvia, costellati da iris e fiordalisi a primavera, sembrano sorridere sotto il sole sbeffeggiando la centrale nucleare che li guarda da lontano. Qua e là, pezzi di legno, conchiglie, frammenti di metallo e detriti si ergono come bizzarre sculture, segnando una presenza antropica in un luogo che sembrerebbe frutto di un’alchimia magica della natura.

Giardino come paradiso, giardino come terapia dell’anima. L’energia e l’amore infusi da Derek Jarman in questo progetto emergono dalle pagine di questo diario, che è una sorta di testamento. Il giardino di Derek Jarman si legge rapidamente (e, aggiungo, con avidità, ndr) ed è anche un piacere visivo grazie alla bellezza delle 150 immagini racchiuse, che accompagnano di stagione in stagione alla scoperta di un luogo magico e del suo artefice. Che è stato anche un grande giardiniere: una persona capace di ascoltare la natura, di assecondare il clima e il terreno e di favorire biodiversità. È un libro perfetto per «vedere un mondo in un granello di sabbia, e un cielo in un fiore selvatico, tenere l’infinito nel cavo di una mano e l’eternità in un’ora», come scrisse William Blake. E come è riuscito a fare con il suo giardino Derek Jarman.

 

 

Maria Tatsos

Il giardino di Derek Jarman, con fotografie di Howard Sooley. Nottetempo, 2019, € 28

Foto © Howard Sooley, per gentile concessione casa editrice Nottetempo

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Maria Tatsos
Giornalista professionista, è laureata in Scienze Politiche e diplomata in Lingua e Cultura Giapponese presso l'IsiAO di Milano. Attualmente lavora come freelance per vari periodici femminili, collabora con il Museo Popoli e Culture del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime) e con il Centro di Cultura Italia-Asia. Tiene corsi di scrittura autobiografica ed è autrice di alcuni libri, che spaziano dai diritti dei consumatori alle religioni asiatiche. È autrice del romanzo storico "La ragazza del Mar Nero" sulla tragedia dei greci del Ponto (2016) e di "Mai più schiavi" (2018), un saggio su Biram Dah Abeid e sulla schiavitù in Mauritania, entrambi editi da Paoline. Nel tempo libero coltiva fiori e colleziona storie di giardini, giardinieri e cacciatori di piante che racconta nel corso "Giardini e dintorni".

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