“Viva Arte Viva” la Biennale di Venezia si veste di contemporaneo

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La 57a edizione sarà aperta al pubblico dal 13 maggio al 26 novembre. Curatrice Christine Macel, sono 23 gli eventi collaterali e tanti i party e le mostre

Da domani la Biennale d’arte di Venezia, dopo l’annuncio delle mostre di Damien Hirst e Mark Tobey già aperte in queste settimane, è pronta ad indossare i paramenti della megalopoli dell’arte contemporanea. La città lagunare è pronta a trasformarsi per più di sei mesi in un palcoscenico dedicato alle diverse tendenze del fare cultura oggi. Previsti non solo 23 eventi collaterali, ma anche decine di mostre e party più o meno esclusivi in ogni angolo del centro storico.

Christine Macel e Paolo Baratta alla conferenza di presentazione

Saranno migliaia, al solito, gli “addetti ai lavori” nei tre giorni della vernice, dal 10 al 12 maggio – mentre l’apertura al pubblico sarà dal 13 maggio al 26 novembre – , per questa Biennale d’arte che supera il traguardo dei 120 anni dalla fondazione. Come ha dichiarato il presidente Paolo Baratta l’intenzione, ancora una volta, è quella di dare un segnale di novità-ricerca sulla linea del «libero dialogo tra artisti e tra questi e il pubblico».

Per la 57a edizione della Biennale la curatrice francese Christine Macel ha deciso di mettere da parte il verbo del “tema” per lasciare libero spazio alla voce degli artisti. Il titolo scelto è “Viva Arte Viva“, con l’intenzione di invitare 120 artisti da ogni angolo del mondo di cui 103 per la prima volta presenti alla Biennale di Venezia. Saranno loro – tra loro sei italiani – a scrivere, attraverso un prologo e nove “capitoli o famiglie di artisti”, una mostra che sarà, a dirla con la curatrice, «con gli artisti, degli artisti e per gli artisti».

Un’esposizione che non si sottrae alle diverse problematiche della società contemporanea (dalle migrazioni, alle diseguaglianze sociali, al lavoro o alla crisi dell’Europa, tipo Brexit). Per Macel, l’arte di oggi, «di fronte ai conflitti e ai sussulti del mondo testimonia la parte più preziosa dell’umanità, in un momento in cui l’umanesimo è messo in pericolo». L’arte – sottolinea ancora – «ci costruisce ed edifica». Un arte del fare, non della sola parola, che si mette a confronto, dialoga, indica una possibile strada.

Non è un caso, quindi, che il percorso espositivo cominci dal Padiglione centrale, ai Giardini, con Dawn Kaspar che per sei mesi lavorerà, realizzerà performance e interagirà con il pubblico nella sala Chini o ci sarà l’atelier di Olafur Eliasson dove saranno prodotte da migranti o rifugiati delle lampade. Ma ci saranno anche le opere del primo ministro albanese Edi Rama, che da artista è diventato uomo politico ma che produce arte negli interstizi del tempo dedicato al lavoro.

Il percorso si snoderà attraverso nove Padiglioni, a partire da quello «degli artisti e dei libri» fino a quello del «tempo e dell’infinito», passando per quello «delle gioie e delle paure» o «dello spazio comune» (che apre l’Arsenale) dove ci s’interroga sul modo di costruire una comunità, un collettivo in un’epoca «inquieta se non indifferente», o «della Terra» sulle utopie e i sogni legati all’ambiente o al mondo animale, a quello «delle tradizioni», con uno sguardo di rilettura del passato, o «degli sciamani», fino a quello dionisiaco e «dei colori».

Tante le performance in programma (anche un artista a cavallo seguito da 70 donne) e attesa per la novità della “Tavola Aperta”, con un artista che pranzerà ogni settimana con il pubblico (serve prenotazione) «per evocare la sua pratica e dialogare con esso». Attesa, poi, per i padiglioni nazionali – 86 i Paesi presenti, tre per la prima volta – con occhi puntati su Stati Uniti (Mark Bradford) e Gran Bretagna (Phyllida Barlow), ma attenzione anche al padiglione polacco (Sharon Lockhart) o al francese (Xavier Veilhan). Al padiglione Italia tre artisti: Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi e Adelita Husni-Bey.

 

Keiko Jiménez

Foto © Biennale d’arte di Venezia

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