Vivian Maier, la bambinaia che si scoprì fotografa

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Esposte 120 immagini in bianco e nero realizzate tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. Un “caso” che proietta l’artista americana tra i grandi del Novecento

Non aveva mai pensato di fare fortuna con le sue fotografie; ne ha scattate migliaia non per esporle né per pubblicarle mentre era in vita, ma sembra soltanto per mero godimento estetico. La maggior parte dei suoi rullini non sono stati sviluppati.

È Vivian Maier, nata a New York nel Bronx il 1° febbraio 1926, figlia di Maria Jaussaud, nata in Francia, e di Charles Maier, di origine austriaca. Ben presto i genitori si separano e la figlia viene affidata alla madre, che si trasferisce presso un’amica francese, Jeanne Bertrand, fotografa professionista.

La separazione provoca nella bambina Vivian un isolamento che si accentua in gioventù ma confortato dalla inseparabile, amata Rolleiflex, acquistata con il ricavato della vendita di un terreno appartenuto alla madre. Non si è mai sposata, ma l’amore per i bambini (ha fatto la tata per tutta la vita) e per la macchina fotografica, proiezione del suo sguardo artistico, rappresentano il binario lungo il quale si consuma la sua ottuagenaria vita.

Ora è possibile ammirare l’arte di “Vivian Maier Una fotografa ritrovata” nella retrospettiva al “Museo di Roma in Trasteveresino al 18 giugno attraverso 120 fotografie in bianco e nero realizzate tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso insieme a una selezione di immagini a colori scattate negli anni Settanta, oltre ad alcuni filmati in super 8.

La conoscenza di queste foto d’arte è venuta fuori come in un romanzo di appendice. Nel 2007 John Maloof, agente immobiliare, acquista durante un’asta parte dell’archivio della Maier confiscato per un mancato pagamento. Si rende conto ben presto di aver trovato un tesoro prezioso e da quel momento non smetterà di cercare materiale riguardante questa misteriosa fotografa, arrivando ad archiviare oltre 150.000 negativi e 3.000 stampe. «Nel 2007, mentre lavoravo a un libro sulla storia degli abitanti di Portage Park – scrive Maloof -, una comunità nel Nordest di Chicago, mi sono imbattuto casualmente nell’archivio fotografico di Vivian Maier. La serie di eventi scatenata da questa scoperta ha scombussolato non solo il mondo della street photography ma anche la mia vita. Ciò che è cominciato come una sfida personale ha ben presto suscitato l’interesse del pubblico e mi ha portato negli ultimi tre anni a dedicarmi all’archiviazione e alla conservazione dell’ampia opera della Maier, rimasta sconosciuta per più di mezzo secolo».

La signorina con il cappellino (tratto distintivo della sua personalità) ha messo a punto una serie di foto delle due città dove aveva vissuto (New York e Chicago) con uno sguardo curioso, attratto da piccoli dettagli, dai particolari, ma anche dai bambini, dagli anziani, dalla vita che le scorreva davanti agli occhi per strada, dalla città e i suoi abitanti in un momento di cambiamento sociale e culturale. Immagini di una sorprendente bellezza che rivelano una grande fotografa.

Colpisce nelle foto esposte la presenza di numerosi autoritratti, quasi un dono a un pubblico con cui non ha mai voluto o potuto avere a che fare. Non è usuale tra i grandi fotografi (e Vivian Maier lo è) trovare così tanti autoritratti come ha fatto Vivian, una sorta di selfie del secolo scorso. Il suo sguardo austero, ironico, riflesso nelle vetrine, nelle pozzanghere, nella strada, la sua lunga ombra che incombe sul soggetto della fotografia diventano un tramite per avvicinarsi a questa misteriosa fotografa.

Come scrive Marvin Heiferman «Maier si dedicò alla fotografia anima e corpo, la praticò con disciplina e usò questo linguaggio per dare struttura e senso alla propria vita, conservando però gelosamente le immagini che realizzava senza parlarne, condividerle o utilizzarle per comunicare con il prossimo. Proprio come Maier, noi oggi non stiamo semplicemente esplorando il nostro rapporto col produrre immagini ma, attraverso la fotografia, definiamo noi stessi».

 

Enzo Di Giacomo

 

Museo di Roma in Trastevere

Piazza di Sant’Egidio, 1/b Roma

17 marzo – 18 giugno 2017

Orari: martedì-domenica ore 10-20, chiuso lunedì e 1 maggio

Catalogo Contrasto di Anne Morin e Alessandra Mauro

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Enzo Di Giacomo
Svolge attività giornalistica da molti anni. Ha lavorato presso Ufficio Stampa Alitalia e si è occupato anche di turismo. Collabora a diverse testate italiane di settore. E’ iscritto al GIST (Gruppo Italiano Stampa Turistica) ed è specializzato in turismo, enogastronomia, cultura, trasporto aereo. E’ stato Consigliere dell’Ordine Giornalisti Lazio e Consigliere Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Revisore dei Conti Ordine Giornalisti Lazio, Consiglio Disciplina Ordine Giornalisti Lazio

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